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Mother & Son
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Tu, Madre, partorirai con dolore, ma quella sarà forse la parte più facile, perché quella peggiore verrà dopo, quando dovrai dimostrare a te e a tuo figlio di essere capace del compito che ti è stato assegnato e di voler bene non solo a parole.
Se questo non fosse l'inizio di un post ma la prima scena di un film, la macchina da presa ora inquadrerebbe il mio volto dal naso al mento, senza occhi, mi accenderei una sigaretta, tirerei la prima boccata, poi la macchina staccherebbe sulla mia mano che appoggia la sigaretta al bordo del posacenere. Anelli di fumo nell'aria, sospiro, pausa di riflessione. Potrei cominciare a raccontare, lentamente e con qualche tentennamento. Ma non è un film e io in effetti nemmeno fumo, per cui rimarrà per iscritto solo come traccia del mood con cui scrivo.

 

La parte più bella della visione dei film per me è scoprire nuovi autori, e la parte migliore dello scoprire nuovi autori è arrivarci senza saperne assolutamente nulla: è stato il caso di Xavier Dolan, stavolta. Di J'ai tué ma mère non conoscevo nemmeno la trama, sapevo solo che era l'opera prima di un canadese ventenne. Mi sono bastati i primi sessanta secondi per innamorarmene. E i successivi sessanta per cominciare a pensare a Truffaut, ossia a Doinel.
Parlare di Antoine Doinel per me è complicatissimo: la mia immedesimazione è totale, lo è sempre stata dalla prima volta in cui, venti o forse venticinque anni fa vidi Les 400 coups. Perciò il mio schizzare subito col pensiero a lui potrebbe essere conseguenza della mia personale ossessione per il personaggio e per il regista. Qualcuno potrebbe anche dire che proprio per me che amo il personaggio al punto da identificarmici completamente, paragonare un giovane regista canadese a quello che è considerato un maestro sfiora la blasfemia. Ma per me è l'opposto. Proprio perché non ci sono altri registi nella cui emotività mi riveda così puntualmente, leggere in qualcun altro le stesse inquietudini e lo stesso dolore, raccontate citando qualcosa che mi è caro senza la presunzione del confronto ma come semplice dichiarazione d'amore per ciò che cita, ebbene, mi commuove.

 

 

Ma ciò che man mano mi affascina sempre più è la capacità di Dolan di dare nuova vita al problema del rapporto madre/figlio. Di aggiungere livelli, prospettive, ipotesi. E non è Edipo o l'omosessualità, si nasce omosessuale o ci si diventa, la figura materna debole, la figura paterna assente, i neGri hanno il ritmo nel sangue, la pizza solo a Napoli e altre minchiate da psicologo della domenica (chiedo scusa).


È l'intenzione. Il suo bisogno primario di capire come può essere un rapporto quando sembra assolutamente impossibile tenerlo in vita.
Questo Antoine / François non se l'era chiesto. D'accordo, era più piccolo, e dal carattere molto diverso. Antoine aveva delle idee tutte sue sulla vita e sulle persone e sembrava registrare il comportamento della madre per quello che era, senza cercare di spiegarselo, senza addolorarsi apertamente dell'incomunicabilità. O meglio, cercando delle motivazioni alle sue reazioni brusche e alla sua durezza, ma senza scrutarla come sembra fare Hubert / Xavier. Fondamentalmente, interiorizzando e senza buttar tutto fuori violentemente.

 


Ma questo probabilmente nasce da una sostanziale differenza: Truffaut racconta di Antoine da adulto, quando ha ormai avuto il tempo di metabolizzare, studiare, venire a patti con il rapporto doloroso che ha con la madre. Al di là dei Mistons, uscire allo scoperto, per la prima volta, con un lungometraggio in cui svela quel che davvero pensa della donna, è il suo modo per esorcizzare, almeno in parte se non definitivamente, un'assenza che lo ha accompagnato per tanti anni ma che proprio per questo ha finito con l'essere una ferita ormai parzialmente rimarginata. "I miei genitori sentirono il film come una grande ingiustizia, soprattutto perché fu premiato a Cannes. (...) Provai una grande amarezza. Si può affermare che nel film si dice tutto quello che noi non ci eravamo mai detti prima". (cito da Malanga - Tutto il cinema di Truffaut).
Dolan invece racconta di Hubert (e può anche sostituirsi a lui fisicamente, data l'età) negli stessi anni in cui evidentemente vive quel lutto emotivo. La sua ferita è ancora sanguinante, fresca, pulsante, la madre non è una persona fisicamente lontana come nel caso di Truffaut (che se ne era definitivamente allontanato) e dunque il film è pervaso anche del fastidio fisico dell'incapacità di coabitare, quell'irritazione che deriva dal dover avere a che fare tutti i giorni, costantemente, con una persona che si ama ma di cui si finisce per disprezzare perfino il modo in cui mangia (vedi folgorante inizio). Qui, ora, di fronte a me, contrapposto a un Lì, allora, a debita distanza.

 


E questa sostanziale differenza fa sì che Truffaut racconti di Antoine quando ha ormai deciso (o capito) che non c'è rapporto possibile con una madre così diversa e distante, mentre Dolan parla di un rapporto che è ancora tutto da decidere, da verificare, e per cui è disposto a lottare faticosamente, anzi, per cui sente l'urgenza di dover salvare qualcosa prima che sia troppo tardi, fintanto che ci è ancora dentro, fintanto che il legame non si è spezzato del tutto ("È questo che vuoi? Mettermi in un collegio con la forza fino a quando divento maggiorenne? Vuoi che io arrivi a diciotto anni e me ne vada? Perché se me ne vado lo sai che non mi vedi mai più.").

 


Tutto ciò fa sì che all'apparente (apparente!) minore emotività mostrata da Doinel si contrapponga una carnalità dei modi, una violenza verbale, un'irruenza delle esternazioni di Hubert che denuncia, oltre al dramma adolescenziale che in Doinel è ancora germoglio, una ferita ancora sanguinante, mostrata, esibita in tutte le sue sfaccettature, forse con l'ingenuità e il disordine di un adolescente, ma certamente con la stessa sincerità.

Non posso fare a meno di sorridere quando capisco che non è più un caso che il mio pensiero vada a Doinel. Hubert uccide la madre già dal titolo, e poi la uccide facendo credere che sia morta, a scuola, esattamente come Doinel. Descrive esattamente come lui questa madre forse un po' frivola ma certamente non vuota, dando anche spazio a brevi momenti intimi della donna, cosa che Truffaut non aveva fatto, se non per scoprirne gli altarini, quindi nuovamente per giudicarla. No, Dolan cerca punti di contatto, cerca di far proprio anche il dramma della madre, pur se per piccole frazioni di tempo.

 


Non posso fare a meno di notare anche l'altra palese citazione di Truffaut, quando la madre scopre la bugia del figlio, convocata a scuola. Ma la cosa davvero importante per me è scoprire in cosa Dolan supera (nel senso di andare oltre, non di essere migliore) l'analisi di Truffaut.

 

La psychologue: As-tu déjà couché avec une fille ?
Antoine Doinel: Non jamais, mais enfin, je connais des copains qui ont… qui sont allés… alors ils m'avaient dit si tu as vachement envie, t'as qu'à aller rue Saint-Denis. Alors moi j'y suis allé… et puis j'ai demandé à des filles et je me suis fait vachement engueuler, alors j'ai eu la trouille… et je suis parti et puis je suis venu encore plusieurs fois et puis comme j'attendais dans la rue, il y a un type qui m'a remarqué qui a dit :« Qu'est-ce que tu fous là ?» c'était un Nord-Africain, et ben alors je lui ai expliqué, alors il m'a dit, il connaissait sans doute les filles, parce qu'il m'a dit :« Moi je connais une jeune… quoi, qui va… une jeune quoi… avec les… les jeunes gens… et tout ça… », alors, il m'a emmené à l'hôtel où elle était… et puis justement ce jour-là elle n'y était pas, alors on a attendu… une heure… deux heures… comme elle ne venait pas… moi je me suis tiré!

 

 

Sì, mi viene da dire che Truffaut fugge. Per salvarsi sceglie la fuga, sceglie di non confrontarsi più. Come Doinel, che ogni volta fugge, fugge per raggiungere il mare, fugge ad ogni difficoltà, fugge quando per la prima volta lo portano a puttane. Truffaut ha deciso che per sopravvivere deve pensare solo a se stesso, e occuparsi di ciò che lo rende vivo. Dolan cerca di evitare la rottura. Fugge anche lui, ma è sempre raggiungibile: fugge anzi proprio per essere raggiunto, per essere (ri)trovato. Non si sottrae. Spesso cerca l'incontro/scontro con la madre proprio perché non riesce a lasciare irrisolte certe questioni, le questioni importanti, quelle frivole, tutte, dal non volere che la madre si trucchi in macchina al desiderio di andare a vivere da solo per dimostrare la propria maturità e ritrovare (forse) un rapporto più sano con lei. Dolan è oltre Truffaut in questo: esordisce con un analogo urlo di dolore per l'incomunicabilità di cui si sente vittima, ma non si arrende e continua a cercare mezzi per combatterla e trovare un punto di contatto. Truffaut abbandonerà definitivamente il campo di questa battaglia, trasferendo definitivamente le riflessioni, i turbamenti e i fantasmi più o meno in tutta la sua opera, dove più dove meno. Arrivando a racchiudere nel libro che scrive Bertrand Morane, il protagonista / alter ego di L'homme qui amait les femmes la summa del suo rapporto con le donne, ovvero con l'unica donna che non ha mai avuto un rapporto sano con lui, la madre.

 

Dolan forse è ingenuo, magari maldestro, sicuramente privo di tutto il background su cui si era formata la consapevolezza cinematografica e artistica di Truffaut. Ma a differenza di Truffaut, dopo aver lanciato quell'urlo non volge il suo interesse altrove, nella sua ricerca di pace ed equilibrio: rimane dov'è e si ostina. Dolan affronta delle sfumature di testa e pancia che Truffaut aveva lasciato irrisolte o in secondo piano, e forse questa è la cosa che mi ha colpito e attratto più di tutto.


La madre è madre e rimarrà tale sia che la si abbandoni sia che la si affronti. Truffaut la chiude in un libro che viene idealmente offerto alle sue donne da morto, punto d'arrivo del suo percorso, mentre Dolan è giovane e probabilmente con le sue storie ci sta arrivando o ci arriverà un giorno; ma per carità, questa è solo una mia illazione dettata dal voler rimandare la visione degli altri film, per centellinarli. Magari mi smentirò da sola dopo averli visti. In ogni caso, usare un mezzo artistico per trasferire fuori di sé i propri demoni è l'elemento comune a entrambi, è forse l'unico vero elemento comune a chi ha davvero qualcosa da dire che vada oltre il puro intrattenimento.  Ma s'è fatto tardi, ho scritto troppo, ho voglia di non rimandare la scoperta di un film nuovo e la visione di uno vecchio. Doinel e Dolan, state buoni e rimanete qui, che siete in buona compagnia.

 

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