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IL FASCINO DELLA MORTE-PICCOLA PROSPETTIVA SUL BURTON CHE AMO, ASPETTANDO BIG EYES
di NOODLES98 ultimo aggiornamento
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NEL POST SONO PRESENTI MOLTEPLICI SPOILER DA QUASI TUTTI I FILM DEL REGISTA.

 

Mi guardo intorno e vedo (e sento) molti pareri diversificati, la cui maggior parte arriva a una comune (e drastica) conclusione: Tim Burton, regista molto apprezzato da critica e pubblico, piccolo genio che ha avuto la sua massima espressione artistica negli anni novanta, ha perso (così almeno si dice) la sua stessa linfa vitale per strada, e dopo la metà del duemila non ha più girato film degni di questo nome. Persino una rivista più che buona come FilmTv ha liquidato Frankenweenie, ultimo lavoro di Burton, con una semplice frase più che sbrigativa: "per chi non è stanco dell'eterno ripetersi dello schema Burton", senza accorgersi che il suddetto film è un tripudio di invenzioni visive e narrative, citazioni succulente, con un bianco e nero fenomenale e una regia che rende incredibile (nel senso proprio di impossibile da credere) la sua realizzazione con dei semplici pupazzi. Quindi, perché molti (non tutti, per carità) hanno cominciato a criticare Burton senza, a parer mio, una vera e propria motivazione se non quella di distruggere un regista che sta avendo adesso il suo momento di maggior successo (se non artistico, economico)? 

 


Della totale filmografia del regista di Burbank mi mancano solo l'esordio con Pee-Wee e il remake Planet of The Apes (che cercherò di recuperare al più presto), perciò credo di poter dire di essere in grado di farmi un'idea generale sul percorso artistico di questo ormai controverso regista.

Partiamo subito dal fatto che Burton ha proprio creato una sua poetica, figlia, se non evoluzione, di quella del grandissimo scrittore Edgar Allan Poe (al quale dice apertamente di essersi ispirato) e anche di tutto il gotico cinematografico in generale. Fin dal suo secondo film, BeetleJuice-Spiritello Porcello, è riuscito a mescolare ed infine fondere il gothic con il pop più puro, l'horror con l'uomorismo, piazzando come protagonista niente meno che una carogna. Già in questo film (del 1987) è assente anche solamente la parvenza di una paura della morte, come sarà in tutta la filmografia del regista americano. In Burton la morte è in realtà piena di fascino, un fascino macabro, ed è, sempre qualcosa di migliore rispetto alla nostra vita sulla terra (non a caso il drammatico finale di Sweeney Todd, se si guarda all'idea di Aldilà del regista, perde-in positivo-moltissima della sua fatale tristezza). In tutti i film di Burton al terreno si preferisce l'ultraterreno, al normale il paranormale, al conscio l'inconscio, al maschio la donna, come dimostra la strana mania di Johnny Depp in Ed Wood.

Considerandosi lui stesso uno "strano", Burton non poteva far altro che popolare (letteralmente) i suoi film di "freaks", dall'esordio (non strettamente un suo film, in quanto Pee-Wee Herman era già un comico affermato) fino a Dark Shadows, non c'è un protagonista veramente normale, forse anche per rispecchiarsi da solo nelle sue stesse opere. E' questo che alcuni critici considerano reiterazione di una formula avariata? Anche Scorsese, seppur con ottimi risultati, con The Wolf Of Wall Street ha solamente aggiornato ciò che aveva già detto vent'anni fa con Quei Bravi Ragazzi e Casinò, ma pochi sembrano rinfacciaglielo. I Freaks di Burton raggiungono l'apice nei primi anni Novanta con il miglior cinefumetto di sempre: Batman-Il Ritorno, film che in realtà ha dichiarato di non aver avuto voglia di dirigere.

Dopo aver sperimentato una delle sue esperienze più brutte (seconda solo alla collaborazione con la Disney) girando il primo Batman, Burton cambia le regole e decide di realizzare il SUO film. Infatti di fumetto c'è poco o niente (non a a caso i fan del comic si imbestialirono), ma di cinema ce n'è a palate e, in particolar modo, c'è molta di quella poetica e visione Burtoniana del mondo. Gli "strambi" si moltiplicano rispetto al primo capitolo, mentre il numero di villain, in realtà, rimane invariato. Catwoman, interpretata da una bellissima e sensualissima Michelle Pfeiffer al massimo del suo splendore, non sceglie mai da che parte stare, ma è un'esiliata, come un gatto rognoso, una vittima del crudele meccanismo del mondo. Al contrario, il reazionario (in fondo si tratta di questo, no?) Bruce Wayne è isolato da tutto e da tutti tanto quanto Selina Kyle, ma consciamente e volutamente. Il Pinguino del miglior Danny De Vito di sempre è stato schiacciato dalla borghesia prima ancora di raggiungere l'anno di vita, allevato da un esercito di pinguini e ora vuole la sua vendetta. E come contraddirlo? Burton non ci riesce e così concentra tutto il male (il male puro) in un unico personaggio, l'unica persona "normale" di tutta la trama: Max Shrek, affarista senza scrupoli che, con la faccia (e soprattutto i capelli) di Christopher Walken, pur di ottenere ancora più soldi degli altri, nella sua corsa edonistica a un Eden immaginifico ricoperto di soldi, è disposto a buttar giù dalla finestra una segretaria (la stessa che finirà per ucciderlo) e a metter al potere di Gotham City un pazzo come il Pinguino. Come il barbiere malato di Sweeney Todd, come Ed Wood o come Albert Finney in Big Fish, Burton salva ancora una volta i suoi amati Freaks, perché sono gli unici che riescono a vedere (e a vivere) il mondo in modo (in)sensato. 

Così gli anni Novanta passano e, che ci crediate o no, Burton non sbaglia un film. Passa da Edward Mani di Forbice (che coniuga ancora una volta in modo perfetto il gotico e il pop, in una storia tristissima) a Ed Wood, per approdare al primo vero e proprio capolavoro della sua carriera: Mars Attacks!, satira cattivissima e divertentissima sulla società americana (e anche mondiale), di cui fa a pezzi (ancora una volta, letteralmente) tutte le istituzioni e punti di riferimento. Realizza anche un gotico puro, anche se meno riuscito rispetto ai capolavori che l'hanno preceduto, ovvero Il Mistero di Sleepy Hollow, prima di regalarci forse il suo film migliore (ad oggi): Big Fish.

Non è uno dei film di Burton sui quali si puntano maggiormente i riflettori. Ingiustamente. Nonostante né il soggetto né la sceneggiatura siano frutto della sua mente, il film sprizza Burton da tutti i pori, e tira le somme di tutto ciò che ha contraddistinto la sua filmografia precedente: c'è il gotico, c'è il pop, ci sono i freak, c'è un romanticismo decadente e perso (in se stesso?). In più, il film sceneggiato da John August (che ha riadattato anche Frankenweenie) si espande ancora, e il regista si avventura anche in terreni ignoti come il dramma familiare o l'amore filiale. Anche estrapolandolo dalla sua filmografia, anche mettendo da parte il mio amore per il regista, Big Fish rimane un capolavoro. Non a caso, questo film fu il primo che vidi, alle elementari, del regista e, non conoscendo neanche il nome di Burton, lo adorai, anche per il modo in cui riesce a passare da una situazione divertente all'horror più puro come nella scena della strega della musa Helena Bonham Carter manco fosse il John Landis di Un Lupo Mannaro Americano a Londra. 

A conti fatti, quali sono i film sbagliati, non riusciti o brutti di questo regista (che, per non dimenticare, dal 2005 al 2007 ha realizzato La Sposa Cadavere, La Fabbrica di Cioccolato e Sweeney Todd, tutti film lodevoli e riusciti di cui però è raro sentir parlare)? Uno: il famigerato Alice In Wonderland. E' un film sbagliato, in quanto non ricalca la storia classica del primo libro di Lewis Carroll che tutti conosciamo, ma la trasforma (prendendo spunto dal più cupo Dietro Lo Specchio) in un fantasy simil-Signore degli Anelli, fallendo in partenza, nonostante visivamente si tratti di un film mozzafiato e che la scena della famosa caduta nel buco del Bianconiglio valga il prezzo del biglietto. Dopo questo insuccesso artistico (personalmente mi sono sentito un po' tradito finita la proiezione), ma non al botteghino (dove è stato il più grande successo della sua carriera), Burton gira l'adattamento di una serie di culto (in America). Il film in questione, Dark Shadows, ha dalla sua 3/4 di pellicola davvero divertenti, che sprizzano energia e inventiva da ogni fotogramma. Purtroppo fallisce in parte nel climax, con rivelazioni anche fuori luogo (Chloe Moretz licantropa sopra tutte), nonostante la resa dei conti sia di molto superiore e intelligente a qualsiasi altro film d'intrattenimento recente. Un altro pro va alla cattiveria (ereditata da Mars Attacks?) divertita che perpetra per tutto il film e che raggiunge il suo apice nel massacro compiuto a malincuore dal protagonista Barnabas Collins di un gruppo di innocenti hippy. D'altronde, la fame chiama. E forse è anche questo un po' il problema di Dark Shadows, la sua voglia di raccontare di tutto e di più, di inserire più cose possibili, senza riuscirci sempre (il flashback nel manicomio è fenomenale, altre digressioni lo sono molto meno), la sua insaziabile fame. Ciò è però a dimostrazione che Alice In Wonderland non è stato l'inizio di un lento declino, ma un piccolo incidente di percorso, visto che Burton ha recentemente realizzato il bellissimo Frankenweenie. 

Aspettando con impazienza Big Eyes (che segna il ritorno di Burton nel biopic dopo Ed Wood, con il quale condivide gli sceneggiatori), si riguardano i film di un regista ingegnioso, che ha di fatto inventato un nuovo genere, impossibile da imitare senza finire nella mera emulazione (ci sono riusciti solamente Henry Selick, Chris Buck e Guillermo del Toro, tutti registi che però hanno sviluppato -soprattutto l'ultimo- una loro poetica che li contraddistingue), che si merita un posto nei registi più importanti della seconda metà del Novecento. E, continuando a rivedere le sue pellicole, ci si domanda cosa detraggano i detrattori (così come accade con Tarantino), ma si risolve facendo spallucce e perdendosi nella Danza Macabra che i suoi film riescono a mettere in atto. Preferendo allegramente l'ultraterreno al terreno, l'inconsio al conscio e il paranormale al normale. Lasciandoci affascinare dalla morte, insieme (o grazie?) a Tim Burton.

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