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Fra Metal, horror e fantascienza - al cinema con la Vergine di ferro
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Italia, principio degli anni ’80. Eravamo appena usciti dai mitici anni ’70 che in realtà allora più che mitici sembravano tragici, un decennio di violenze, di eversione (nera e rossa) di disordini sociali, un periodo veramente difficile che conobbe il suo punto di non ritorno nell’affaire Moro (1).

Forse per reazione a tutto quello che era stato appena lasciato dietro l’angolo la gente aveva voglia di evasione e leggerezza, un voglia che si rifletteva nella musica: andavano alla grande le canzoni del festival di Sanremo, che proprio negli anni ’80 incontrò un periodo di rivalutazione dopo un decennio in sordina,  mentre dall’Inghilterra arrivava l’onda lunga del techno-pop e dagli U.S.A. provenivano le note ballerine del funky-soul, senza contare la disco-music di casa nostra e relativi obbrobri (ricordo un tizio avvolto in un mantello che affermava “Il rock è morto!”.....e ho detto tutto…..).
E il punk (qualcuno giustamente si domanderà)? Era arrivato ma non era certo un fenomeno di massa, tutti conoscevano la storia di Sid Vicious ma il punk qui da noi rimase a livello di "curiosità" e i suoi adepti venivano guardati con un po’ di sospetto (come accadde poi con i dark, i metallari etc. etc.).
Comunque si sarà capito che per chi amava il rock c’era poco con cui riscaldarsi, non c’era internet né i canali di diffusione di cui oggi può disporre un adolescente medio, ti dovevi accontentare di quello che passava il convento. Per un ragazzo di quindici anni che guardava agli anni ’70 e a i suoi gruppi storici come al paradiso, la realtà musicale contemporanea era una sorta di incubo da cui cercare di uscire indenni in attesa di tempi migliori.
Poi un giorno, in attesa di fare i compiti, che all’epoca si portavano via tutto il pomeriggio, nella mezz’ora libera prima della condanna da scontare a base di latino e greco, sullo schermo televisivo, tra un video di coloratissime ballerine sculettanti su note funky e un altro in cui veniva propinata l’ennesima canzonetta con le rime “amore….cuore…”, ecco apparire un gruppo di loschi figuri, con i capelli lunghi e le braccia avvolte da borchie.

 

 

Il nostro comincia a sperare, chissà che non avvenga il miracolo. Alza il volume ed ecco un ritmo di chitarre spietate lo avvolge, la batteria che martella senza pietà mentre il cantante si sgola urlando una storia di indiani in fuga verso le colline.

Il miracolo era avvenuto, erano arrivati gli Iron Maiden.
Nati in Inghilterra alla metà degli anni ’70 per iniziativa di un – allora – giovanissimo bassista, Steve Harris (mente pensante della band fino a oggi), gli Iron Maiden dovettero attendere il 1980 per vedere il loro esordio discografico e fu una vera bomba: cavalcate chitarristiche, ritmi serrati e un immaginario preso di peso dai film horror e di fantascienza, la band era la diretta emanazione dei grandi gruppi hard rock degli anni ’70 (in primis i Black Sabbath) con una strizzata d’occhio al progressive (ascoltare The Phantom of the Opera per credere, l’assolo di chitarra sembra arrivare dai Pink Floyd), ma al tempo stesso prendevano le distanze dai mostri sacri che avevano dominato la scena dieci anni prima.

 

 

 

Niente barocchismi, ma un sound essenziale, spietato; da questo punto di vista si può dire che gli Iron Maiden seppero accostare la tradizione dell’heavy rock al punk, creando quelle sonorità che saranno tipiche dell’heavy metal degli anni ’80 (non soli in questo loro percorso, è giusto dirlo, tanto è vero che si parlò di una New Wave of British Heavy Metal).


Quello di cui però vorrei parlare sono le numerose suggestioni cinematografiche di cui era piena la loro musica (ne ho fatto cenno più sopra) e che li rendevano molto più interessanti di quanto non potessero fare da sole le loro canzoni (pezzi comunque notevoli, chi scrive ritiene i primi dischi degli Iron Maiden dei capolavori nel loro genere).
Suggestioni a partire dal nome, quello di uno strumento di tortura, la Vergine di Norimberga, e che ad Harris venne ispirato dalla visione del film L’uomo dalla maschera di Ferro. A proposito del nome va rilevato che i Maiden giocarono spesso sull’accostamento tra questo ed il soprannome dato all’allora primo ministro britannico Margaret Tatcher (Iron Lady) che bersagliarono spesso nelle loro copertine (emblematica quella del singolo Sanctuary).

 

Le citazioni e i rimandi alla letteratura e al cinema di genere sono numerosi e si può anzi affermare che costituiscano la base “intellettuale” dei loro testi, assieme ai numerosi riferimenti a personaggi e a episodi della storia e, sia pur in misura minore, alla mitologia

 

The Phantom of The Opera, canzone cui si è fatto cenno più sopra, autentico capolavoro del loro primo disco, è ispirata al romanzo di Gaston Leroux ma anche al celebre film che ne venne tratto e che vide come protagonista Lon Chaney in uno dei suoi travestimenti più terrificanti.

 

 

 

Nel terzo disco in studio, The Number of The Beast (1982), troviamo invece Children of the Damned ispirata a un classico della SF cinematografica, Il Villaggio dei Dannati, film del 1960 diretto da Wolf Rilla e tratto da un romanzo di John Wyndham. Di questo film John Carpenter realizzò un eccellente remake nel 1995.

Sempre nel terzo disco si trova The Prisoner, omaggio dichiarato, a partire dalla citazione iniziale, alla famosa serie fantapolitica televisiva che affascinò e sconcertò pure il pubblico (non solo inglese ma anche nostrano): Il Prigioniero.

 

 Arriviamo all’album Piece of Mind (1983) e anche qui troviamo due omaggi alla settima arte: Where The Eagles Dare, brano ispirato al celebre Dove Osano Le Aquile, e Quest For Fire, omaggio al film di Jean-Jacques Annaud La Guerra del Fuoco.

Nel 1984 gli Iron Maiden sono ormai una band acclamatissima, probabilmente quella di maggior successo nel filone heavy metal. Testimonianza di ciò è lo straordinario successo di Powerslave (oltre 10 milioni di copie vendute) album che si apre con un omaggio agli aviatori inglesi che contrastarono i nazisti, Aces High. Secondo alcuni la canzone venne ispirata dal film La Battaglia delle Aquile, che però si svolge nella Prima Guerra Mondiale, mentre l’azione di Aces High si svolge nel secondo conflitto (il brano è introdotto dal celebre discorso di Churchill culminante nella frase “We Shall Never Surrender”).
Piuttosto l’attenzione va focalizzata su un altro pezzo, Flash of the Blade, che Dario Argento utilizzò nella colonna sonora di Phenomena

 

 

In Powerslave si trova un altro omaggio al grande cinema: The Duellist, chiaro il riferimento al film di Ridley Scott.
Il momento di maggior gloria della band inglese fu celebrato con un disco dal vivo ormai entrato nella storia, Live After Death, che in copertina reca una citazione di H.P.Lovecraft.

 

Di fatto, almeno ad avviso di chi scrive queste righe, quel bellissimo album sancì la chiusura del miglior periodo degli Iron Maiden, i dischi a venire (e magari molti non saranno d’accordo con questo) non saranno all’altezza di questo straordinario quinquennio.

Nel 1986 la band sforna comunque un album che pur contenendo qualche brano straordinario (Wasted Years su tutti) comincia a mostrare qualche crepa. Somewhere in Time è comunque un disco notevole e la sua copertina è chiaramente ispirata alle atmosfere di Blade Runner.

 

 

 

Da lì in poi non li ho più seguiti se non sporadicamente, ma quando qualche anno fa ho ascoltato le note di The Wicker Man (canzone inserita nell'album New Brave World ed ispirata al celebre ed omonimo film horror britannico del 1973) ho fatto un balzo dalla sedia: La Vergine di Ferro era tornata. anche se solo per una canzone.

 

 

(1) Nota: a scanso di equivoci, gli anni '70 sono stati straordinari sotto molti punti di vista, è onesto però affermare che non fu un decennio facile e chi li ha vissuti non li ricorda affatto come un periodo tranquillo. La tensione era palpabile (me li ricordo bene) e per molti fu un momento di grandi preoccupazioni, da questo punto di vista i maltrattati anni '80 sono stati decisamente più pacifici.

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