Espandi menu
cerca
Giallo, horror...passando per il quartiere Coppedè di Roma
di maghella ultimo aggiornamento
post
creato il

L'autore

maghella

maghella

Iscritto dal 15 aprile 2010 Vai al suo profilo
  • Seguaci 191
  • Post 321
  • Recensioni 456
  • Playlist 103
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

Ci sono posti magici, nati per esserlo, uno di questi è sicuramente il quartiere Doria a Roma, meglio conosciuto come il “quartiere Coppedè”, dal nome dell'architetto che l'ha progettato: Gino Coppedè (Firerenze 26 settembre 1866, Roma 20 settembre 1927). Architetto visionario, che fondeva i vari stili liberty, classico, bizantino, dando alle sue opere aspetti unici, particolari, assimetrici...favolosi. Ed è proprio da favola che sono le sue opere: castelli e ville, palazzi lussuosi, e questo quartiere signorile nel centro di Roma: il quartiere Coppedè.

Perchè parlo di questo? Perchè intanto si entra in questo favoloso quartiere attraverso un arco suggestivo ispirato alla scenografia di un film italiano: “Cabiria” (1914), ed è forse proprio questa ispirazione iniziale che ha contribuito a dare all'intero quartiere quell'aspetto scenografico che l'ha contraddistinto negli anni.

Passato l'arco si entra in piazza Mincio, al numero civico n.2 c'è un'entrata di un palazzo che appare come una bocca gigantesca fatta di archi concentrici, che sembra voler ingoiare tutto quello che vi entra, una porta speciale e misteriosa che è stata la protagonista di molti film gialli e horror a me cari, comincio con l'elencarli:

 

“La ragazza che sapeva troppo” (1960) di Mario Bava, il portone è l'entrata della casa dove la protagonista va dopo aver ricevuto una lettera anonima. Un bianco e nero senza sfumature, di notte sotto un cielo nuvoloso (nel film il giorno è caldo e assolato, la notte nuvolosa con le strade bagnate da una pioggia invisibile), la ragazza entra cauta nell'appartamento disabitato, stanze vuote, corridoi lunghi, una voce registrata, l'appartamento sembra proteggere l'assassino o forse addirittura può essere il luogo di un possibile omicidio. Questo è il primo film dove l'entrata di questo misterioso palazzo appare, e Mario Bava lo rende subito suggestivo, caricandolo di simboli, chi meglio del regista che aveva girato poco prima “La maschera del demonio” poteva individuare in una Roma moderna un palazzo che richiamasse l'idea di un castello antico e maledetto?

Il secondo film dove appare il portone “malefico” è “Il profumo della signora in nero” (1974) di Francesco Barilli, qui addirittura il palazzo è il protagonista principale, tanto che la prima scena si apre proprio con il mostrare l'entrata e due inquilini che si salutano dai balconi adiacenti. L'interno del palazzo si presenta come un inferno dantesco, dove ogni piano è un girone infernale, dietro ad ogni porta chiusa si nascondono segreti, fantasmi, incubi irrisolti. Tutto il film gira intorno al quartiere, che di per sé è pieno di simboli, sembra sempre di non riuscire a distinguere ciò che è vero da quello che non lo è, e questa è un po' la caratteristica dell'opera di Coppedè, che ha riempito le palazzine e i villini del quartiere di disegni, scritte, richiami a mondi fantastici, citazioni con il passato e con leggende, personaggi storici...insomma un vero e proprio percorso nell'immaginario, nel fantastico.

Il terzo film dove il palazzo di piazza Mincio appare è in un film straniero: “Il presagio” (1976) di Richard Donner, qui il quartiere appare di sfuggita, e l'entrata è quella della dimora del protagonista, l'ambasciatore americano. L'entrata del palazzo e l'arco del quartiere sono il simbolo di una Roma misteriosa, non conosciuta, dove si insinuano pericoli celati da figure solo apparentemente innocue. Il film aveva bisogno di mostrare una Roma non da cartolina, ma da scoprire, ombrosa e maestosa allo stesso tempo...il quartiere Coppedé era il luogo adatto.

Il quarto film dove ho visto l'architettura del quartiere romano è “Inferno” (1980). La famosa entrata, e ormai familiare per me, è quella della biblioteca romana dove Eleonora Giorgi si reca per cercare il libro delle “Tre madri”. Anche in questo caso Argento necessitava di un luogo che di per sé fosse già colmo di simboli e significati, e la “bocca-porta” di piazza Mincio è davvero una caverna dove entrare, carica di mistero e di culture celate, forse mai esistite. La biblioteca del film, infatti, è anche la dimora dell'alchimista-stregone che insegue la povera Giorgi, che, per sfuggirgli, si ferirà proprio uscendo dal portone, che la ferisce ad un braccio “mordendola”.

In verità Argento già ne “L'uccello dalle piume di cristallo” aveva ambientato alcune scene nel famoso quartiere, ma senza inquadrare il “famigerato” portone.

 

Si dice che girando per il quartiere Coppedé si abbia la sensazione di essere spiati dalle persiane, che non vi siano i nomi sui citofoni, che le strade appaiono disabitate anche se piene di gente, che le figure misteriose e fantasiose che adornano i palazzi abbiano occhi che seguono i movimenti, che insomma sia un quartiere “vivo” nelle strutture architettoniche, che gli abitanti veri non siano gli inquilini dei palazzi ma i palazzi stessi...è forse per questo che il portone del numero civico n.2 di piazza Mincio mi appare come una grossa bocca, che mi voglia raccontare storie fantastice e di paura, o forse i registi di questi quattro film che ho menzionato hanno saputo ascoltare le belle e macabre storie che il portone, il quartiere tutto, gli ha saputo raccontare? Ah...magia del cinema!

 

 

Ti è stato utile questo post? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati