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Era il candidato belga all'Oscar per il miglior film straniero. Nominato nella cinquina finale è stato forse il più serio e accreditato concorrente al film di Sorrentino. Girato interamente in fiammingo a Ghent, in Belgio, racconta una storia d'amore, musica (country) e dramma: una sorta di testimonianzia di come una relazione felice e romantica venga minata di fronte all'irrompere dell'emergenza radicale. Chi lo ha visto ne dice già molto bene. Il punteggio di 8,2 è già molto e ha una solida base. Un po' più severo il parere di Alice Cucchetti, pubblicato sulla rivista Filmtv, che parla di momenti in cui il melodramma decolla - a suo parare - troppo, con eccessiva insistenza sulle questioni etiche, cha appaiono posticcie. Ma è abbastanza sola a pensarla così.

Toto Cutugno, Al Bano, Raffaella Carrà, Robertino Loretti (!!!). Cosa hanno in comune questi grandi nomi della musica italiana con Rocco Granata, personaggio protagonista della pellicola (di nuovo belga e italiana) del regista Stijn Coninx (che fino ad oggi si è già interessato di musica e soprattutto di figure del cattolicesimo), autore di pellicole che hanno sbancato i botteghini in patria?

La risposta è nel titolo. Marina è infatti il celebre brano, scritto nel 1959, con cui Rocco Granata, figlio di migranti calabresi in Belgio, divenne famoso prima in Belgio e in Germania, per poi decollare un po' in tutto il mondo, entrando nel novero dei cantanti italiani che hanno sfondato anche e soprattutto all'estero.

La storia è biografica quindi - la gioventù e l'ascesa del cantante, ancora oggi vivo e residente ad Anversa - e il voto è alto ma si basa su una sola recensione. quella del nostro stimato OGM, che ha apprezzato soprattutto la veridicità del racconto e la solidità degli interpreti - Lo Cascio e il giovane Matteo Simoni.

Non resistiamo a mostrarvi il video (che però è già del 1974) con l'interpretazione originale di Rocco Granata.

Julianne Moore è per molti sinonimo di qualità. Quindi è doverosa la segnalazione per il film di Craig Zisk, qui al suo primo lungometraggio ma già famoso per la regia di molte serie di successo. 

La storia che ci viene raccontata è tutta centrata sul personaggio femminile interpretato dalla Moore: una donna che vive in modo separato la sua vita professionale (insegna in un liceo) e quella intima e privata e che troverà in un allievo lo stimolo a far combaciare il suo fuori e il suo dentro.

Il dottore del titolo è tedesco, ma il film è argentino. La regia è firmata infatti da Lucia Puenzo - figlia d'arte che magari ricorderete per il suo film XXY (vincitore del Gran Premio della Regia della Semaine a Cannes 2007). E quando si parla di tedeschi e di Argentina si parla anche e soprattutto dei nazisti rifugiativisi dopo la guerra. Quello del titolo è un pezzo grosso: niente meno che Josef Mengele, che sfuggì alla cattura vivendo in Sud America sino alla morte, nel 1979. E quella che qui si racconta è una storia che lega il medico di Auschwitz  e i suoi orribili esperimenti alla vicenda di una ragazzina argentina, in Patagonia, alla fine degli anni '50.

Il film - presentato al Certain regard - è stato recensito con entusiasmo da OGM e Alan Smithee. Ma la recensione più votata è quella di Spopola, bravissimo nel presentare e ricollocare il film all'interno della filmografia della Puenzo.

Il suo prossimo film - The Captive - è nella line-up del festival di Cannes prossimo venturo. Ma intanto chi ama il cinema di Atom Egoyan, la sua passione per l'adolescenza, le menzogne, il rapporto sempre ambiguo tra cio che appare e cio che è, troverà in Devil's Knot, legal thriller ispirato a una vicenda reale, pane per i suoi denti. O meglio, per la sua mente.