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Overlook Hotel Italia
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Overlook Hotel Italia

Realtà del film e film della realtà.

Rovito (Cosenza) 3 marzo 2014 - Una donna di 43 anni, Daniela Falcone, ha ucciso il figlio di 11 anni con un paio di forbici e poi ha tentato di suicidarsi. Il fatto è avvenuto a Rovito, in provincia di Cosenza. La donna e il bambino, Carmine, erano scomparsi sabato, quando lei era passata a prenderlo a scuola. Ora la Falcone si trova ricoverata in ospedale dove è piantonata dagli agenti della polizia. La 43enne, che ha subito un intervento chirurgico, non è in pericolo di vita.
 
 
SEGNI (ROMA) 16 marzo 2014 - Orrore alle porte di Roma dove una donna, Maria Manciocco di 48 anni, è stata uccisa a martellate dal marito, Eraldo Marchetti. Secondo quanto si apprende dalle prime notizie la tragedia si è consumata davanti agli occhi dei bambini della coppia, due gemelli di 9 anni che hanno avvertito i parenti.
A scatenare la furia dell'uomo, ufficiale dell'Aeronautica sarebbe stato l'ennesimo litigio scoppiato per la causa di separazione in corso tra marito e moglie. L'uomo, di 53 anni, si è costituito negli uffici del commissariato di Colleferro.
 
Omicidio Segni, marito uccide la moglie a martellate davanti ai figli



Lecco, 21 marzo 2014 - «Ha cominciato a ricordare i fatti». L’avvocato Andrea Spreafico conferma che la sua assistita per la prima volta ha iniziato ad accennare a quanto avvenuto nelle prime ore di domenica 9 marzo scorso, nell’appartamento di corso Bergamo 87. Sono i primi flash che riaffiorano alla mente di Edlira Copa - trentasette anni, di origini albanesi - che in quella notte tragica ha ucciso a colpi di coltello le sue tre figlie, Simona (13 anni), Keisi (10) e Sidny, che di anni ne aveva solo tre.
(...)
Un delitto atroce di cui peraltro si è subito assunta la piena responsabilità (è in stato di arresto con l’accusa di omicidio plurimo aggravato) di fronte al sostituto Silvia Zannini, titolare dell’inchiesta, alla quale aveva confessato di temere per le sue bimbe un futuro di stenti dopo la separazione dal marito, Bashkim Dobrushi, e le conseguenti difficoltà economiche emerse anche per un lavoro che non aveva. Una motivazione tanto assurda quanto follemente razionale sulla cui attendibilità dovranno pronunciarsi gli esperti nella perizia psichiatrica.
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Shining si apre con la visione aerea di uno specchio d'acqua a perdita d'occhio, in cui si riflettono perfettamente gli alberi, le montagne e le nuvole. Sembra quasi che tutto sia sospeso; che il paesaggio fluttui armoniosamente nell'aria. Sono immagini dotate di una forte carica simbolica, che ci introducono in una dimensione dove ogni cosa è duplice, speculare, simmetrica, capovolta, ambivalente. Le note del Dies irae fanno il resto preparandoci emotivamente all'impatto con un epilogo rivelatore, apocalittico. I più appassionati di cinema e, in particolare, del genere horror, avranno notato un'analogia con le trasposizioni di Dracula; ma anche gli altri avranno colto qualche suggestione. Jack come Jonathan percorre i tornanti di quella che appare come la versione americana dei Carpazi, diretto al castello del celeberrimo principe nosferatu, non-morto. Il protagonista è atteso per un colloquio di lavoro in qualità di custode invernale dell'Overlook Hotel. Le domande che il direttore gli rivolge ricordano tanto quelle che si porrebbero ad un aspirante astronauta. Innanzi tutto, è richiesta una spiccata predisposizione all'isolamento completo dal mondo esterno, eccetto che per il telefono e la televisione. In casi estremi, qualora dovessero saltare le normali linee di comunicazione - come immancabilmente accadrà - si potrà adoperare una spartana centralina radio in collegamento con la stazione della forestale. Jack acconsente con un tono di spavalda sicurezza nelle sue capacità di resistenza, di autonomia psicologica nonché di autocontrollo pur non avendone esperienza. Era proprio quello che cercava: 5 mesi di assoluta pace da dedicare alla scrittura di un componimento non meglio specificato (“a writing project” in inglese, più sbrigativamente “romanzo” in italiano). Le mansioni sono abbastanza semplici: dovrà solo tenere sotto controllo la strumentazione di “bordo” e all'occorrenza praticare delle piccole riparazioni. Proprio come sulla “Discovery”, insomma. Al di fuori dell'azione drammaturgica, un modo per connettere il macrocosmo al microcosmo secondo lo schema della mise en abyme. All'esterno uno spazio siderale, con temperture talmente rigide da essere rischiose per l'incolumità umana, come attesta il telegiornale. “Non ti sei stancato di gettare bombe per l'universo?” Chiederà Jack al figlio di ritorno dalla sua esplorazione, almeno nella versione nordamericana. Nulla è lasciato al Caso tranne ciò che gli appartiene dalla notte dei tempi. L'intervista si svolge in uno spazio angusto verniciato di rosso ( che a me sembra “melograno”, nome dato a questa tonalità nel 1919 – wikipedia - ma anche frutto sacro per eccellenza altamente simbolico per gli ebrei e naturalmente il frutto dei morti. E se invece fosse una delle tante allusioni al popolo dei cosiddetti “pellerossa” per impregnarne l'ambiente? ) alla presenza silente (nella versione europea) di un ombroso individuo che sembra avere il compito di supervisionare (overlook) l'incontro. Si chiama Bill Watson (come l'assistente dell'investigatore romanzesco più famoso del mondo. Chissà?) e i suoi tratti somatici fanno pensare a discendenze tutt'altro che caucasiche. Diciamo pure che Kubrick ha sparso all'interno del film i sussurri di uno spirito giudicante (Dies irae in primis) a vari livelli, in quanto è la forma di fobia più diffusa nella nostra civiltà. Quella che provoca in tutti un forte senso di disagio relazionale. La prova che convince definitivamente Mr. Ullman sull'idoneità del candidato è la sua reazione di fronte alla notizia di una carneficina avvenuta nel 1970 nell'ala ovest dell'hotel (in italiano “l'ala di là”: per problemi di sincronismo labiale o per coprire il riferimento all'epopea western?) e che ha coinvolto un precedente custode. Costui ha ucciso a colpi d'accetta le sue due figlie di 10 e 8 anni prima di spararsi in bocca. Quante ne stiamo sentendo di notizie del genere? Jack si mostra affatto turbato, anzi, accentua l'esibizione di selfcontrol con una lieve battuta di spirito. Assicura il capo che informerà la moglie, anticipando, comunque, che non eccepirà in quanto grande appassionata dei film horror. Nel prosieguo della storia si avrà il forte dubbio che abbia mentito, anche perchè, come si noterà, ha una certa dimestichezza con le bugie. Tutto lascia intendere che sia un tipo al quanto problematico, per non dire frustrato, depresso a causa di una situazione lavorativa precaria aggravata da un cattivo rapporto con il fallimento. Forse semplicemente uno che si arrovella eccessivamente sul perché della sua condizione esistenziale. Tutte cose che minano la sua autostima, il suo ego di maschio dominante; sentimenti che finiscono inesorabilmente per proiettarsi sul figlio, il doppio paterno, con cui sembra non esserci molta sintonia. O forse il bambino dentro di sé? Danny ha una sensibilità fuori norma, dotato di poteri extrasensoriali che si manifestano per la prima volta, proprio contemporaneamente all'assunzione del padre, con orribili visioni premonitorie. Tutto l'orrore che il genitore ha così superficialmente liquidato con un sorrisetto è rivissuto integralmente da Danny. Il bambino ha tentato anche, attraverso il suo amico immaginario, di avvertire la madre ma in vano. Le sue capacità medianiche sono derubricate come sintomi passeggeri di un trascurabile trauma psicologico. Così, il giorno della chiusura estiva dell'Overlook, la famiglia Torrance ( dalla forma essenziale trinitaria - madre, padre figlio - come in tutti i film di Kubrick), si mette in marcia verso il castello stregato. Durante il viaggio apprendiamo che la strage dell'Overlook non è l'unico fatto di sangue avvenuto da quelle parti. Si rammenta la spedizione Donner al tempo della conquista del west: un noto caso di cannibalismo. Non solo, Mr. Ullman nel fare da cicerone, racconta che l'hotel è stato edificato tra il 1907 e il 1909 sopra un cimitero di indiani e che l'area è stata teatro di sanguinose battaglie con le tribù indigene. D'altronde lo spirito dei nativi connota fortemente gli interni dell'albergo attraverso manufatti ed elementi di decor dal design tipicamente indiano. A livello emotivo d'ora in avanti l'associazione, conscia o inconscia che sia, con i fatti raccontati è ineludibile. L'assoluta disinvoltura con cui si comunicano e si recepiscono notizie del genere comincia a provocare qualche disagio. All'esterno l'hotel ricorda molto i tipici edifici dei film dell'orrore (vedi Gli invasati), quasi fosse una riproduzione espansa della casa di Psyco con i suoi chiaroscuri e i suoi verticalismi architettonici, la tinta cinerea del prospetto. L'atmosfera è ulteriormente caricata di mistero dal picco incombente (overlooking) sul paesaggio – antica sede delle divinità primordiali (la montagna sacra presente in tutte le culture all'origine della nostra civiltà). Wendy non nasconde di essere un po' inquietata dall'hotel, come rivela al marito e conversando con il cuoco lo paragona ad un labirinto. “Mi sa che dovrò lasciare una scia di briciole ogni volta che mi ci addentrerò”. A questo labirinto interno (...e interiore) ne corrisponde uno oggettivo all'esterno. Dunque, ancora, il dentro come il fuori, un doppio uguale e contrario. E ce n'è pure una versione in scala ridotta – il grande e il piccolo - che verrà adoperata per una delle sequenze più suggestive del film paragonabile per potenza emblematica a quella dell'osso lanciato in aria che in una immaginifica staffetta evolutiva diventa un modulo orbitante in 2001. Il labirinto è un esplicito riferimento mitologico oltre a rappresentare la condizione esistenziale, la vita intrapsichica. Da qualche parte, ho letto che a quell'altitudine il tipo di pianta necessario per realizzarlo non può sopravvivere. E non credo affatto che fosse un particolare ignorato da Kubrick conoscendo la sua mania per i microdettagli. I fatti si svolgono nel mese dei morti, novembre. Il che accentua ancor di più la valenza mitologica dell'opera, nel senso di una discesa agli inferi, propedeutica alla rivelazione, alla manifestazione finale della verità in sé per sé. Nel sentimento degli antichi l'inverno era concepito come il periodo in cui la dea della vita vegetale andava sotto terra nel regno di Ade. Per cui è un tempo funesto, insomma, in cui la bellezza si ritira dal mondo. E' come se K. ci volesse comunicare che la nostra civiltà rappresenta l'inverno della storia umana. O forse è quello che voglio vederci io, anche se l'idea aderisce perfettamente al film. Da qualche tempo, è mia convinzione che la civiltà - già messa in dubbio da Jung come espressione di barbarie - corrisponda ad un'inversione del giusto senso di marcia, flusso, delle cose. All'apparenza stiamo procedendo in avanti, in realtà, stiamo andando indietro, contro corrente e non come salmoni. Un po' come per l'inversione della polarità dell'asse magnetico del pianeta. Sono fasi dell'essere la cui legge è il paradosso. Il progresso tecnologico è un falso mito, un'illusione - un'euforia dei tempi - esaltato essenzialmente da uomini che vogliono credere al culto della loro superiorità ontologica, intellettuale, razziale ovvero evolutiva. E' tutti gli altri si accodano come quelli che vogliono una relquia del santo; che vogliono farne parte.

Comunque sia, i temi mitologci sono ben nascosti nel sottotesto, inseriti più per suscitare una reazione psicologica che per indicare una direzione teoretica. E' quella sensazione di indefinito, di enigmatico, di spazi vuoti da riempire, che stuzzica lo spettatore ad approfondire la conoscenza dell'opera. Niente esoterismo magico, però, o nozionismo letterario pedante. Siamo in un'arte nuova tutta da esplorare, il lunguaggio delle immagini. Per esempio, nella scena della prima apparizione delle sorelline nella sala giochi in alto a sinistra si nota un poster che ritrae il salto di uno sciatore talmente in controluce da apparire come una figura nera. Domina sul capo delle sorelline e sembra addirittura indicarle. E' così brutta, in sé per sé, come fotografia, che non può avere altro senso che cinematografico. Ossia è stata messa lì per contribuire a caricare l'inquadratura di un senso d'inquietudine. La posa, a dirla tutta, mi ricorda quella tipica di antiche divinità maschili, signori della montagna e dominatori sugli elementi naturali, ossia, nell'atto di scagliare saette, tipo Baal. Di fatti, abbiamo a che fare con un'eccezionale tempesta di neve, come non accadeva da tempo. Comunque, quello che conta è la suggestione trasmessa. Kubrick è il più autentico erede dell'homo sanza littere e non può tollerare dottrine ascondite settarie, esclusive, per pochi eletti che si credono superiori (over), come si può facilmente dedurre dalla visione di Eyes Wide Shut. C'è un principio comune al fondo di ogni cosa che tutti siamo in grado di cogliere egualitariamente, al di là della razionalità che è solo un livello superficiale di elaborazione dei fenomeni.

“Sei libero di speculare come desideri sul significato filosofico e allegorico del film ma non intendo esplicitare una road map verbale (...) che ogni spettatore si senta obbligato a seguire o, magari, che faccia temere di averne smarrito il senso. “
Intervista di J. Gelmis 1970.

Ad un'attenta osservazione il cinema di Kubrick rivela un'impostazione filosofica profondamente umanista, ossia centrata sull'uomo come misura di tutte le cose, e, particolarmente, dalla parte delle donne contro il concetto storico-religioso di supremazia maschile. Prendiamo ad esempio la scena che si svolge durante il viaggio in auto. Jack racconta l'episodio della spedizione Donner con tono cinicamente ironico destando una leggera nota di disappunto nella madre. Prontamente Danny la rassicura affermando di sapere già tutto sull'argomento per averlo “visto” in televisione. Al che il padre reagisce con una smorfia sarcastica rimarcando la frase del figlio. Il dialogo porta a galla un insieme di conflitti: adulto vs. bambino, intelligenza razionale vs. intelligenza emotiva, cultura della parola o letteraria vs. cultura dell'immagine o visuale. Anche la moglie è, a più riprese, oggetto di atteggiamenti beffardi da parte di Jack. Insomma, Jack li guarda (look) dall'alto (over) in basso. A conforto di questa interpretazione c'è il dato della sua professione e la quantità di libri in possesso. L'appartamento delle prime scene si presenta quasi come un magazzino di volumi sparsi alla rinfusa, impilati in tutta la casa; sulle televisioni, sui tavoli, sui comodini, dapperttutto.
 
“Ad un certo punto in 2001 al Dr. Floyd si chiede dove andrà e lui rispode: "Sto andando a Clavius," che è un cratere lunare. In seguito a questa battuta si hanno più di 15 stacchi del veicolo spaziale di Floyd che si approssima e atterra sulla Luna, ma un critico espresse confusione poiché pensava che la destinazione di Floyd fosse un pianeta di nome Clavius. I giovani, d'altro canto, che sono più visualmente orientati per effetto della nuova televisione quale loro ambiente, non avevano tali problemi. I ragazzi sanno che siamo andati sulla Luna. Quando chiedi loro come lo sanno essi rispondono "Perchè lo abbiamo visto!"
“Così il problema è che alcune persone sono solo in ascolto e non prestano davvero attenzione con i loro occhi. Un film non è teatro – e finché questa lezione sostanziale non sarà imparata temo che saremo incatenati al passato e ci perderemo parte delle più grandi potenzialità del medium. “ "The Film Director as Superstar" (Doubleday and Company: Garden City, New York, 1970) by Joseph Gelmis

In pratica, Kubrick ci sta dicendo che Jack è uno di quelli che presumono di conoscere bene come va il mondo per istruzione letteraria (si tenga presente che Kubrick è un autodidatta) e dunque di averne il controllo. Basta ricordare le espressioni baldanzose che Jack fa davanti al direttore/presidente degli Statiuniti, probabilmente, sentendosi anche lusingato di essere finalmente introdotto nel mondo dorato (the golden room) della gente che conta, presidenti e stelle del cinema, e di avere la sua (american) chance; salvo poi essere tirato giù dai sui sogni di gloria quando gli viene mostrato l'appartemento dimesso in cui dovrà alloggiare per il resto dell'inverno (homey... cozy). E' sempre quella la logica: nel confronto tra gli opposti emerge la contraddizione, il conflitto, lo squilibrio, la diseguaglianza. In tal caso il protagonista riconosce la reale considerazione altrui dietro la maschera democraticamente informale e amichevole del capo. Ciò vale come una denuncia del classismo statunitense.
Che il film parli degli Usa e del genocidio dei nativi americani su cui poggia l'edificio delle sue istituzioni è reso più che innegabile per innumerevoli dettagli. Innanzitutto, il riferimento al Ballo del 4 Luglio, l'Indipendence Day, su cui Shining stende una macchia nera come il catrame e non credo che sarà stato tanto gradito dai centri di potere. Poi naturalmente oltre ai dati storici sono disseminate tutta una serie di tracce che contribuiscono a connotare il contesto: le bandiere, i simboli nazionali, l'esibizione delle merci, l'estetica pop, il baseball, i cartoons... Per evitare ogni possibile fraintendimento il contesto viene delimitato persino geograficamente per bocca di Jack: Portland Maine o Portland Oregon (“if that matter”); come a dire da una sponda all'altra del Nordamerica. K. si è saputo conquistare negli anni e gradualmente una libertà di giudizio sulla way of life stellestrisce come mai nessun altro né prima né dopo di lui. Che le sue opere siano politicamente connotate è evidente soprattutto all'establishment politico cui sono riservate le frecciate più ficcanti. Non a caso, per poter lavorare con la necessaria tranquillità e autonomia è dovuto emigrare a malincuore. Si può ben affermare che rappresenti la più alta espressione di coscienza critica dei nostri tempi. Il sentirlo nostro è, indubbiamente, una conseguenza dell'espansionismo della cultura massmediatica nordamericana su tutto il pianeta ma è anche dovuto alla puntuale sublimazione cinematografica dello schema universale su cui si regge la coscienza umana nonché il mondo.

La presenza pervasiva dei cartoons è l'altra faccia, l'aspetto complementare, di una cultura intrisa di violenza. In pratica, Biancaneve e i sette nani serve a ricoprire le tracce dei massacri che hanno dato i natali alla nazione. Si pensi ai soldati in marcia di Full Metal Jacket, che cantano “Viva Topolin”. Da noi la stessa funzione catartica è ricoperta da una comicità demenziale a sfondo erotico acefala (in cui il cervello viene messo compleamente da parte), con gli anni diventata sempre più sconnessa dalla condizione sociale; che fa passare una massiccia mole di ingiustizie sociali per occasioni di innocuo umorismo (una sproporzionata sdrammatizzazione). Penso a spettacoli superseguiti come Zelig. Più il malessere sociale aumenta più cresce per compensazione il bisogno di credere alla positività o alla normalità degli accadimenti. Così funziona l'uomo. Oggi il marchio distintivo opposto su porte e vestiti - e vabbè, nulla di grave. Domani le vetrine frantumate dei negozi - e vabbè, incidenti di piccolo cabotaggio. Dopodomani le bande punitive ai danni dei soggetti discriminati in quanto tali - e vabbè le teste calde esistono dovunque non si può imputare alla società intera il bullismo di pochi o giustificare dicriminazioni al rovescio. E così via, gradino dopo gradino, si scende fino all'indifferenza verso i campi di concentramento (vedi cie) o di sterminio o fino alle pire umane in pubblica piazza di cristiana memoria che ancor oggi molti trovano il modo di giustificare. Non ribadirlo sarebbe come favorire la sua rimozione.

La sfida che K. deve essersi posta è stata quella di riuscire a scavalcare le tenaci resistenze psicologiche degli spettatori, ridotti a fruitori passivi, portandoli a mettere in discussione se stessi e, assieme, tutto il sistema sociale da cui sono condizionati. Come è facile comprendere, certi argomenti non possono essere affrontati direttamente poiché causerebbero un moto controproducente di rigetto da parte di molti potenziali spettatori e di pubblica riprovazione a fini politici. In questo caso la seduzione pubblicitaria anch'essa partorita dalla genio di Kubrick è più che giustificata. E' stato detto che è il film più commerciale di K.; certamente ma non un commerciale fine a se stesso. La rimozione collettiva rende assuefatti (sordi e ciechi) agli orrori circostanti finché la pressione dovuta al loro accumulo psicologico (anche la dimenticanza non sfugge alle leggi della termodinamica o della geofisica) non diventa tanto insostenibile da eruttare in reazioni incontrollate. Attribuirle a fenomeni totalmente irrazionali, assolutamente indipendenti dal tempo e dallo spazio, è solo un altro modo di sfuggire all'idea di una corresponsabilità. “Ricordati Danny, sono come figure di un libro.” La causa va attribuita a qualcosa di più profondo, alle contraddizioni irrisolte che l'uomo coltiva dentro di sé. I fantasmi sono solo la manifestazione, l'epifanica proiezione (il fenomeno, nel senso di patina esteriore, l'involucro sensibile ) di dinamiche interiori. Ci sono due momenti del film, che valgono come testimonianza dell'interferenza di questi spiriti con la realtà. La prima è indiretta e riguarda l'aggressione di Danny da parte della donna della stanza 237. La seconda è (semi)diretta e riguarda la scena della liberazione di Jack dalla dipensa in cui è stato rinchiuso da Wendy. Fatti che in sostanza causano una confusione tra i piani di percezione della realtà. Non dovevano essere solo figure di un libro? Nemmeno Tony c'azzecca. “Ma, allora, sono veri!” “Kubrick ci crede o non ci crede?” In effetti, sono solo ombre riprodotte su uno schermo cinematografico. Kubrick non se la sente di screditare una verità diffusa - con che diritto? -; ciò non toglie che abbia le sue idee a rigurdo. Certo che sono presenze vere ma di una verità particolare; sono forze ctonie, insieme inconscie e cosmiche. La vita è contraddittoria, paradossale e tutti noi, nessuno escluso, persino Kubrick, ignoriamo cosa sia. Se l'umanità avesse il coraggio di aprire gli occhi sulla realtà così com'è e non per come vorrebbe che fosse, per un irralizzabile desiderio di sicurezza assoluta, magari, tante atrocità, comportamenti distruttivi, sarebbero risparmiati. Anche il solo fatto di non sminuire certi processi psicologici (come nel caso della particolare sensibilità di Danny) potrebbe sortire degli effetti benefici; al limite, aiutandoci a vivere meglio il presente; a dominare anziché essere dominati dai giochi interiori. L'ottimismo di K. sta nella convinzione che una coscienza più elevata è possibile ma solo in un prossimo futuro.

“Il dato comune è la loro reazione subconscia emozionale; e penso che un film capace di comunicare a questo livello può avere uno spettro di impatto molto più profondo che qualsiasi altra forma di comunicazione tradizionale.”
Intervista di Gelmis.

Il genere horror si presta bene a tale scopo. La genialità di K. è stata quella di far apparire realistico qualcosa di programmaticamente fasullo al fine di dimostrare che i nostri sensi ingannano e c'è chi ne approfitta. Siamo oltre il surrealismo. La realtà stessa è un film, un sogno ad occhi aperti. Le immagini possono essere illusorie, specialmente quelle lavorate dall'uomo. “Badate bene, che nessunno v'inganni!”. I principali elementi ingannatori sono la nitidezza razionale delle linee architettoniche o scenografiche e la estrema semplicità della trama. E' solo ad un occhio attento che l'Overlook appare come un disegno di Escher. Occorre “overlook” le immagini, aguzzare la vista, per coglierne l'illusione ottica; per accorgersi che le entrate e le uscite dei personaggi sono al quanto improbabili specialmente nel finale. E' veramente come trovarsi in un labirinto magico, nel senso giocoso del termine. Ci sono vistosi artefatti che appaiono e scompaiono, o cambiano di posto, e intenzionali bizzarie dissimulate di cui la più grossa è quella delle tazze da cesso per avventori totalmente disinibiti. Da dove è saltato fuori quell'album con ritagli di giornale e fotografie? Chi ce l'ha messa la chiave nella toppa? Possibile che quella sia un'altra stanza 327? Che ci fanno dei fiori freschi in pieno inverno? Come rivela il documentario Room 327 è del tutto implausibile quella finistra nella stanza del direttore, stretta tra un corridoio di servizio e l'ascensore. Ma non è la sola incongruenza. Quella sorta di siepe che si scorge dall'interno nel riquadro delle finestre non sembra avere corrispondenza all'esterno. Le porte rosse sono di tre tipi, non solo ascensori, e non tutte hanno una precipua utilità.
Il montaggio visuale degli ascensori e dei vani scala tra un piano e l'altro è disorientante. Il labirinto esterno manca nella panoramica dall'alto e c'è una differenza di posizionamento tra il prima e il dopo – a voi la scoperta. I corridoi del personale fanno girare la testa al solo ripensarci. Confesso di non essere riuscito a ricostruire la collocazione dell'ascensore sanguinante che appare dopo l'attraversamento del corridoio smaltato di un rosso cupo unico in tutto il film, sicuramente rappresenta un vicolo cieco o morto (dead end) del labirinto. Le finestre chiuse e il loro disegno a griglia ortogonale producono una sensazione di prigionia. Mentre tutte quelle scritte alle pareti dei corridoi di servizio (divieti, istruzioni, avvertimenti, direttive) accentuano un'atmosfera repressiva. Nella versione americana appare, addirittura, un “MUST” a caratteri cubitali. In pratica i personaggi sono prigionieri inconsapevoli, come tutti noi, d'altronde. “E graffiamo e grattiamo ma solo l'aria, solo tra di noi. E per quanto facciamo non ci scostiamo di un millimetro. Io ci sono nato nella mia” parola di Norman Bates. Altre somiglianze con Psyco sono la scena della vasca con la tendina da doccia con l'apparizione di una venere (la resurrezione di Marion/Janet Leigh?), e la precedente ripresa in soggettiva della porta che si apre lentamente al tocco cauto di Jack ad imitazione dell'inquadratura che rivela la mamma impagliata di Norman. Inoltre alle pareti sono appesi quadretti di uccellini come nella stanza del Bates motel, magari sono gli stessi.

L'Overlook hotel è il vero protagonista del film, ritratto come un organismo mnemonico o una macchina del tempo in cui le epoche si sovrappongono e si giustappongono. Non a caso le sue pareti sono tapezzate di fotografie. E' una estroversione di ciò che accade interiorimente e viceversa. Per esempio, sebbene la strage sia avvenuta nel 1970 le vittime della tragedia sono abbigliate nello stile anni 20. Le ultime inquadrature ci rivelano che Jack appartiene ad un passato, in dissolvenza; ad un contesto cinico ed insensibile che festeggiava sul sangue appena versato. Così, dal totale del paessaggio delle prime inquadrature si giunge alla fine del viaggio, al primissimo piano di Jack congelato eternamente nel frame di una fotografia nonostante sfoggi un sorriso beffardo rivolto a tutti noi spettatori. Quasi a voler dire: non v'illudete, anche voi fate parte di una foto. Probabilmente è il sorriso dello stesso regista che deride la presunzione comune di trovare una soluzione rassiurante. Il tempo si riavvolge. Insomma, siamo reclusi – come in un altro grande film, L'angelo sterminatore di Bunuel - in una casa predisposta da altri a loro volta, e come tutti, imprigionati in un'altra casa trascendente e includente la prima con cui confligge essenzialmente a causa dell'inconsapevolezza dominante. Si viene, così, a determinare una scala di livelli di coscienza corrispondente a diversi livelli di percezione della realtà. Danny è l'individuo involontariamente consapevole. Wendy è inconsapevole ma in equilibrio con le forze trascendenti. Halloran è perfettamente consapevole e forse prevede addirittura la sua morte. Jack è totalmente inconsapevole per cui agisce come un burattino nelle mani degli eventi.

Al di là di tutto, sono talmente tante le anomalie che uno si chiede come sia stato possibile non farci caso. Per cui il film risulta ancora più inquietante di quanto non fosse già alle prime visioni. L'Overlook non è solo un dedalo è anche una ghost ship, una nave fantasma, come sentenzia Wendy. Anche Jack rimarca questa metafora durante la conversazione con il barista fantasma – lo sguardo più penetrante di tutto il film -, farfugliando di avventurose navigazioni in giro per i 7 mari. Dei due è lei ad avere i piedi per terra e le risorse per reagire adeguatamente alla sitazione. Jack costantemente intrappolato nel suo sogno americano si atteggia a uomo di mondo (recita); è un po' la versione maschile di Emma Bovary. I maschi non fanno una bella figura nel cinema di Kubrick: sbadati, arronzoni, smemorati, megalomani, presuntuosi, pazzoidi, anche ingenui. All'inizio di Eyes wide shut Bill commette in rapida sequenza una serie di disattenzioni. All'opposto, Wendy è premurosa, amorevole, gioviale, altruista, e, soprattuto, pur non essendo stata assunta direttamente, fa tutto il lavoro al posto del marito che, invece, gioca con la pallina in vana attesa dell'ispirazione. Gli prepara la colazione, si preoccupa del suo stato d'animo, lo conforta e contemporaneamente accudisce e intrattiene il figlio ponendosi al suo stesso livello. L'autenticità dei sentimenti di Wendy è rivelata, in modo elegantemente ellittico, dall'accuratezza con cui prepara la colazione anche da un punto di vista estetico. Nella versione americana la vediamo venire dall'altra parte l'hotel mentre trasporta il suo carrellino elegantemente apparecchiato con aria soddisfatta di sé. Scommetto che tanti, al primo impatto, la reputano solo una stupida, una svampita (effetto voluto), senza rendersi conto che dietro giudizi del genere opera un condizionamento culturale. E' finita allora che la violenza permea la realtà sociale, specialmente quella nordamericana condizionata dalle lobbies delle armi – checché ne dica Jason Reitman, perfetto esempio di americano figlio di papà, in Thank you for smoking. Difatti, si finisce per confondere amore e sottomissione e, magari, senza accorgersi del proprio stato di sudditanza. E' stato detto da uno dei suoi stretti assistenti che Kubrick non lavorava senza la presenza sul set della moglie. Dunque non è casuale nemmeno che in Shining, come in E.W.S. appaiano i dipinti realizzati da Christiane. Dall'altra parte, Jack non se ne lascia scappare una allo sguardo (Berlusconi style) oltre a non portare l'anello nuziale (come Ullman). I loro dialoghi riproducono fedelmente quelli tra marito e moglie. Pare che persino un genialone come Einstein avesse maniere tutt'altro che tenere con la moglie. Così si comporta chi pensa di avere alte responsabilità sul destino dell'umanità. “ Hai mai pensato alle responsabilità che ho nei confronti dei miei superiori? Non ti è mai passato per la mente che ho accettato di badare all'Overlook hotel fino al 1 maggio? Ho firmato una lettera d'impegno, un CONTRATTO... Hai la minima idea di cosa significhi avere dei principi morali ed etici? Ci hai pensato cosa potrebbe accadere al mio futuro se fallissi nell'esercizio delle mie responsabilità? ... ”. “Ogni volta che sto per realizzare qualcosa mi crei problemi...” Dalle mie parti si dice: la gallina fa l'uovo e al gallo brucia il culo. Per dire che sono problematiche universali. L'assoluto realismo di tali parole mi induce a pensare che siano basate su dati autobiografici; di Kubrick o di King o di entrambi. Se non altro, la mia identificazione è stata pressoché totale. Wendy somiglia a mia madre, solo meno nevrotica e frustrata, dunque, dispotica, volendo essere onesti. Mio padre è spiccicato anche come aspetto, solo un po' più represso e tanto ignorante, ma di una ignoranza presuntuosa da italiano medio.
La cosa che, a mio parere, Kubrick ha trovato interessante nello shining è la possibilità di visualizzare in modo efficace ed immediato la crisi emotiva di un bambino che ascolta i furibondi litigi dei suoi genitori. Cose che ho vissuto personalmente... e chissà quanti altri? Suppongo la maggioranza. Non credo che sia una coincidenza il mio sentimento di familiarità con le dinamiche messe in scena. Caso ha voluto che, persino durante la stesura del presente discorso, assistessi ad una violenta scenata tra mia sorella e suo marito in presnza dei figli. In quel momento Danny ha la morte nel cuore ed è terrorizzato come lo sarebbe chiunque alla sua età. Esperienze che col tempo finiscono stipate nell'oblio della mente, in uno dei suoi tanti cassetti; ma non si cancellano, restano sottoforma di ferite psicologiche difficilmente rimarginabili. L'ansia di trovare un rimedio definitivo si fissa dentro di noi e ci attira in situazioni che riproducano quelle esperienze drammatiche con finali non sempre lieti. E' un'illusione culturalmente predisposta. L'unico rimedio è imparare a convivere con la ferita. L'inconscio si comporta come un regista o una regista, se preferite. Il film mette in luce (o riporta alla...) tutto questo, come una maddalene di Proust.

Detto questo, per come la vedo, è pretestuoso andare alla ricerca di significati troppo intellettualemente elaborati. Anche l'eccesso di analisi corrisponde ad una volontà di rimozione; ad una fuga dalla realtà delle emozioni. Per esempio, è rimozione quella del documentarista americano che sposta il fuoco del contenuto dal genocidio dei nativi nordamericani allo sterminio nazista, per non parlare della teoria della falsificazione dell'allunaggio – pure congetture sensazionalistiche a fini commerciali. L'unico riferimento netto agli ebrei è una lattina di cibo kosher nella dispensa. E' logico che lo sterminio degli indiani abbia risonanze universali ma bisogna stare attenti a giustificare il male, le ingiustizie, con facili generalizzazioni. E' in atto un processo di rimozione se non ci si accorge che il film in filigrana mette in scena tutta una serie di atteggiamenti discriminatori: classista, razziale e sessista, come un dato culturale acquisito. Riflettendoci bene tutto quel viavai di suppellettili che vediamo all'inizo ha un che di insensato. Vuole forse alludere ad un formicaio, cioè al lavoro di operai sudditi? Non è accidentale che il fantasma dell'omicida e la sua controparte reale si riferiscano al cuoco Halloran con l'epiteto “negro”. Altrettanto, si nota una differenza di trattamento nel dialogo delle guardie forestali con Wendy e con Halloran. Con la donna il primo uomo di servizio è simpatico e quasi ci prova mentre con il cuoco un secondo impiegato risponde con tono distaccato e un marcato accento sudista. Mi ha meravigliato scoprire che, persino, uno come Ghezzi nel suo saggio su Kubrick usi lo stesso epiteto in riferimento al cuoco con una disinvoltura che denota un'inconsapevole appartenenza culturale, tanto più significativa in quanto non credo che Ghezzi sia un razzista. Non è una ragione sufficiente dire che è cultura, peggio ancora, identità culturale. Gli italiani sono ancora ben lungi dall'acquisire uno spirito egalitario, ovvero, antidiscriminatorio, nonostante l'invasiva propaganda cristiana sui media o forse proprio per questa. Sospetto, allora, che non sia tanto casuale che nel doppiaggio, si perda un'espressione proverbiale che connota in senso razzista Jack. “white man's burden... white man's burden” Fardello dell'uomo bianco. In italiano: “E' il dovere che ci frega” Stranamente assonante a “Burden sharing” parola d'ordine delle operazioni militari della Nato richiamata da un politico di destra a giustificazione del supporto italiano al fianco degli Usa alla guerra in Afghanistan. In realtà, Halloran è il personaggio più buono fra tutti, esempio di altruismo disinteressato: parte da Miami e affronta un'eccezionale tempesta di neve pur di soccorrere Danny e la sua famiglia. E' grazie al suo sacrificio che madre e figlio riescono a mettersi in salvo. E' lui che arresta la mano del killer: è lui che porta un gatto delle nevi funzionante. In altre parole, funge da capro espiatorio della storia. L'agnello sacrificale con allusione alla storia del popolo afroamericano.
Ma veniamo alla stanza 237. La sua collocazione è sopra la sala Colorado in corrispondenza del grande camino (un simbolo sacrificale? Un forno? Lo troviamo anche in cima alla scalinata, della stessa sala, somigliante ad una piramide azteca), dietro l'arazzo indiano che sembra il disegno stilizzato di razzi allineati su una rampa di lancio. Nello stesso corridoio si vede una seconda porta a doppia anta. Il numero si trova su quella sinistra e Danny ci passa accanto due volte ma se ne accorge solo gettando l'occhio dalla sinistra. Ciò che accade lì dentro è un gioco di specchi; ha a che fare essenzialmente con la seduzione delle apparenze o immagini, a cui il sesso maschile è particolarmente sensibile. Tuttavia, l'aspetto seducente della donna - Venere che esce dalle acque - non è altro che la maschera della paura della morte rappresentata dalla sua trasformazione in zombie ghignante. Si instaura un'equivalenza tra il tabù del sesso e quello della morte che fa da motore della società orientata al cazzo – disegnato ovunque in Arancia meccanica come nelle nostre città. Siamo al fulcro di tutto il racconto perciò accade lì. Nulla è ciò che sembra. D'altra parte, la meraviglia della bellezza rimanda a qualcosa di misterioso che ci sovrasta (overlooking) e ci domina e, dunque, è, insieme, minacciosa. E' ciò che per Aristotele ha spinto gli uomini a fare flosofia, a ragionare sulle cause prime e ultime dell'esserci. A differenza dei maschi, le donne sanno andare più facilmente al di là delle apparenze. La scissione interiore del maschio, messa in scena da frequenti riflessi nello specchio di Jack , corrisponde allo sdoppiamento oggettivo della figura femminile, come nel caso delle due sorelline. Vale a dire che la donna del bagno è la manifestazine oggetiva dell'alterego di Wendy. La puttana opposta alla santa. Mentre Wendy resta se stessa, mantenendo l'equilibrio, dall'inizio alla fine, Jack cova un alterego, una personalità antitetica, dentro se stesso (Mr. Hide) che alla fine prenderà il sopravvento scardinando ogni passata illusione di controllo sulla realtà. La risata della megera in putrefazione è quanto mai emblematica. Ha i toni di una rivincita, di una sfida. Da cosa? Come se fosse inaspettatamente resuscitata. E qui c'entrano le universali radici abramitiche che hanno seppellito il principio femmineo. Povero illuso! Vittima delle sue stesse illusioni, di un orgoglio smisurato che lo ha reso indifferente ai giochi con la moglie e il figlio. “All work and no play make Jack a dull boy”. “Tutto lavoro e niente gioco fanno di Jack un ragazzo ottuso” (“Il mattino ha l'oro in bocca” è un non-sense insignificante alla luce del dramma). Purtroppo per lui, è grazie al gioco che Danny impara a cavarsela nel mondo enigmatico/ enigmistico del labirinto. Anche il gioco ha un senso ambivalente; diventa una risorsa a patto di superare l'iniziale timore (per esempio, Ullman, l'altro maschio dominante se ne tiene fuori per paura) “ Chi arriva per primo pulisce l'America” dice Danny all'ingresso del labirinto. (nel doppiaggio italiano il riferimento all'america sparisce. Servilismo povinciale?) Più chiaro di così si muore. La mazza da basball rappresenta il gioco che all'occorrenza può diventare un'arma d'offesa. E' ironico che i simboli fallici siano impugnati da Wendy.

Naturalmente non è uno spettacolo consolatorio; non funziona come uno specchio abbellente; non asseconda l'estetismo propagandistico del cinema Hollywoodiano. In genere da un film horror convenzionale il pubblico si aspetta un tot di scene sanguinolente e di effettacci. Qui invece assistiamo ad un'unica azione omicida. Credo che la ragione sia da ascrivere al fatto che Kubrick sia sempre stato umanisticamente contrario alla catena di montaggio di immagini ad alto tasso di violenza, proprio per l'accennato discorso sulla rimozione e la conseguente assuefazione. Lo spettacolo d'intrattenimeno imbottito di morti ammazzati ha un effetto anestetizzante sullo spettatore impedendo l'immedesimazione ad un livello più profondo. Fa parte di una logica di propaganda bellica su cui si basa il capitalismo nordamericano, e che, nel tempo, ha prodotto i suoi effetti sulla cultura giovanile. Una morte è una tragedia, milioni di morti è statistica. Disse a suo tempo Stalin (efficace citazione da Room 327). (Sto sempre di più convincendomi che quest'ordine mondiale è più stalianiano di quanto vogliono farci credere. Forse è l'occidente che si sta sovietizzando piuttosto che la Cina occidentalizzando.) Ragion per cui un film con l'obiettivo di smuovere qualcosa nella coscienza delle persone deve concentrarsi intimamente e dettagliatamente su uno o pochissimi casi emblematici. Teoria di Hitchcock. In questa prospettiva l'horror non è altro che un espediente, un mezzo. Di innovativo c'è il fatto che gran parte dell'effetto illusionistico è affidato alla contemporanea invenzione della steadicam senza cui Shining non sarebbe stato minimamente possibile. Stesso discorso di necessità vale per lo sforzo produttivo profuso, ingiustamente inteso da qualcuno come il capriccio di un artista megalomane un po' misantropo. Kubrick porta all'estremo la tecnica ideata da Hitchcock per la scena della doccia e la estende a tutto l'Overlook. Per entrambi la scelta della storia è subordinata alla disponibilità delle innovazioni tecnologiche. E' notorio che K. conservasse in un cassetto le sue storie aspettando giusto che il mezzo fosse perfezionato.

Per ultimo qualche considerazione sulle differenze tra la versione nordamericana e quella europea. Ci si chiede se non rispondano a diverse concezioni cinematografiche derivanti da una diversa impostazione culturale. Nell'adattamento statunitense ci sono più scene e più dialoghi. C'è una lunga scena dedicata all'analisi medica della crisi di Danny, che fa sospettare un'intolleranza degli americani per i vuoti di spiegazione. La scena con l'apparizione degli scheletri soddisfa un gusto per il gore. Interessante anche la scelta di diversi formati della pellicola, 4/3 anziché il 16/9 della copia statunitense. Molto probabilmente ha a che fare col fatto che noi europei siamo più portati a concentrarci sul contenuto che sulla forma dello spettacolo. La scelta di tagliare le fasce laterali dell'immagine suggerisce che Kubrick non le ritenesse indispensabili. Ciò dimostra che era tutt'altro che quel maniacale e freddo calcolatore descritto da certa stampa sensazionalistica. Nelle immagini degli scheletri c'è indubbiamente un'eccesso d'ironia che scivola nel ridicolo sbilanciando il tono realistico dell'insieme. Gli americani ci sono più abituati di noi. Il 4/3 comporta una minore dispersione dell'attenzione dal centro dell'immagine conferendo al film il giusto tono esistenzialista, in opposizione all'universalismo del suo sottotesto. Inoltre adattandosi alla cornice dell'immagine finale precisa meglio l'analogia tra film e fotografia. Comunque sia, trovo che la doppia versione sia il compimento della filosofia distillata nell'opera.

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Psyco

  • Thriller
  • USA
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Shining

  • Horror
  • USA, Gran Bretagna
  • durata 119'

Titolo originale The Shining

Regia di Stanley Kubrick

Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers

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Proprio in questi giorni è giunto a farci visita sua altezza Mr. president Obama, preoccupato per la sorte della commessa degli F35. Anche un po' per reclamizzare loRenzi il magnafico. Qui pro quo. Come dice Hannibal the Cannibal. Quale migliore occasione per rammentare le idee di Kubrick sul sistema politico del suo paese.

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La dolce vita

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 178'

Regia di Federico Fellini

Con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux, Magali Noël

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L'amico intellettuale del paparazzo ammazza i figli e poi si toglie la vita.

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