“Già ho inveito contro il confinare le donne all’ago...” Così scriveva la grande filosofa Mary Wollstonecraft nella sua opera A Vindication of the Rights of Woman (1792) (oltre a “indottrinate fin dall’infanzia a considerare la bellezza il proprio scettro, la loro mente si foggia sul corpo, e vagando intorno alla sua gabbia dorata, cerca soltanto di adornare la propria prigione”). Ancora oggi, nelle cinematografie dei due Paesi occidentali socialmente più arretrati (Stati Uniti e Italia), il settore in cui le donne sono più rappresentate è proprio quello dei costumi (meno le scenografie, molto il casting, tradizionalmente il ruolo più irrilevante). Le registe sono numerosissime in Francia, avanzano (lentamente) negli Stati Uniti ma non qui (e figuriamoci), le direttrici della fotografia esistono quasi solo oltralpe (di gran lunga il Paese migliore a riguardo, insieme alla Germania) ed è ben difficile che ci sia una donna a capo di uno studio (produttrici tout court, associate o esecutive quante se ne vogliono). Discreto il numero delle sceneggiatrici un po’ ovunque e notevole quello delle montatrici (anche qui c'entrano le forbici). Ma, per tornare al mio tema, segue una lista dei costumi cinematografici (e delle scene), a mio giudizio opere d’arte, creati da donne e da uomini (spesso gay: anche loro, in quanto sedicenti “effeminati”, colpiti dal pregiudizio che relega gli “inferiori” alla futilità dell’agghindarsi e dell’arredamento... E meno male che si è spesso riusciti a sfruttarlo a scopo artistico). P. S. Perché ho messo anche uomini? Perché non ne posso più del “ghetto” e dell’apartheid - donne da una parte e uomini dall’altra, dai cessi alla cultura!!! :-)
Nei costumi di Gabriella Pescucci, un misto fastoso di ricerca e fantasia per legare passato e presente, intelligenza e bellezza come nella geniale protagonista. Nelle scenografie di Guy Hendrix Dyas, uno stile riconoscibilissimo come quello della collega, anch’esso sontuoso e meravigliosamente evocativo.
La fantasia al potere in una serie di stupefacenti costumi favolistici di Eiko Ishioka (non solo eccellente costumista ma celeberrima designer), l’unica nota positiva in un film altrimenti agghiacciante - la sceneggiatura più maschilista da dio sa quanto e gli attori più cani
Con Vanessa Redgrave, Oliver Reed, Dudley Sutton, Max Adrian, Gemma Jones, Murray Melvin
Passato e presente di nuovo congiunti per il futuro regista indipendente Derek Jarman, sostanziale contributo a una vicenda cupa e grottesca (la scena d’apertura, con l’unione delle mura bianche e degli abiti neri e oro, oppure la gigantesca croce purpurea di strass del “ministero” di Richelieu).
Scene (Stefania Cella) e costumi (Daniela Ciancio - e la direzione artistica di Ludovica Ferrario) modernissimi e minuziosamente progettati, per creare un mondo molto elegante ma vuoto.
Grande omaggio di Catherine Martin al liberty anni Venti (vedi muto, con scene e costumi quasi sempre splendidi) e allo stesso tempo una creatività debordante, sorprendente e persino commovente (il cancello di Gatsby, il suo anello, la mise per il pomeriggio con Daisy)
Con Alec Guinness, Sophia Loren, Christopher Plummer, Stephen Boyd, James Mason
Le più belle scene mai viste dall’occhio della sottoscritta, opera degli specialisti Veniero Colasanti e John Moore: la stanza di Lucilla a Roma, con i suoi mosaici e i suoi chiaroscuri ha dell’incredibile (ma tutto l’arredamento e così pure i costumi sono virati a tinte scure, pur avendo stupendi ricami). Il giusto accompagnamento alla decadenza di Roma (e una bella lezione al kitsch e alla digital-mania del “Gladiatore”).
Gli abiti e gli accessori di Grace Kelly: ogni apparizione è uno stato d’animo e un messaggio ben preciso. Dalla costumista per eccellenza della Hollywood classica, Edith Head.
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