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Le donne o sono mute o sono nude (2)
di Lehava ultimo aggiornamento
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Lehava

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Le donne o sono mute o sono nude (2)

L'emancipazione della donna, non sarebbe stata solamente, come la vedeva il Fourier, preoccupato soprattutto della libertà sessuale, un indice di umanizzazione nel senso civico di vittoria della natura umana sulla brutalità, ma nel senso più fondamentale di progresso dell'uomo nei confronti dell'animale, del fatto culturale su quello naturale [...]. (Juliet Mitchell)


Non ho quasi mai condiviso le posizioni femministe, lo ammetto. In particolare, del movimento politico, soprattutto americano. Evidentemente alla deriva estremista. Il presupposto chiaro ed inequivocabile, secondo il mio personale punto di vista, è che uomo e donna sono entrambi appartenenti al genere umano, diversi ma essenziali l'uno all'altro. Così è, per natura. Così dovrebbe essere, per cultura.

E' però innegabile che il discorso sulla condizione della donna è il discorso sull'indice di civiltà di un popolo, al di là del genere. Essa infatti porta in grembo il mistero della vita, e con esso, la storia del mondo. Questo il suo più grande potere, questa la sua forza straordinaria. Per controparte, forse a bilanciare, una posizione maschile predominante (quasi sempre, quasi ovunque) socialmente, economicamente, culturale. Che tende a schacciare, a soffocare, a subordinare.

E' su questa predominanza che, in Occidente, da anni si discute. A volte si combatte, più spesso ci si confronta, a tratti ci si asseconda. Non esistono "campi", non esistono "ruoli" preconfezionati: esistono esseri umani, unici ed irripetibili. Questo il malinteso odierno. Che le donne subiscono e gli uomini fomentano. Ma che, paradossalmente, le donne stesse a volte sfruttano a proprio vantaggio, per ottenere una approvazione senza dignità.

Non ho simpatia per la signora Boldrini, altra ammissione scottante. Ma il suo intervento, contestualizzato, ha una ragione più profonda che non lo scagliarsi contro un concorso di bellezza. Da sempre, la bellezza è stato un valore assoluto. Il senso estetico è insito nell'uomo, la modifica del corpo per armonizzarlo all'idea tipica di qualsiasi cultura: sia allungare il collo con anelli, che tatuarlo, che ingrassarlo o farlo dimagrire. Quello che oggi atterrisce, rispetto al passato, è però tutto in due fattori: l'omologazione e l'assunzione di un'importanza fittizia ed estranea.

L'omologazione è sotto gli occhi di tutti, in televisione come sulle passerelle, per strada e nei centri estetici, negli uffici e a scuola: aiutata dalla chirurgia, aiutata da uno sguardo maschile distratto e forse spaventato. L' importanza fittizia ed estranea stà tutta nella gratificazione (sociale, economica etc ...) della sola bellezza contro la mortificazione di altre doti femminili. Ragione per cui, oggi più che mai, la bellezza permette e ammette l'improvvisazione: sfili ad un concorso e diventi subito attrice, dal reality passi ad opinionista politica, dal "trono" di qualche trasmissione a stilista, se non consigliere regionale e perchè no? ministro. Intanto, le mogli sono sempre più solo trofeo mentre ci si scandalizza per lo scandalo di un presidente degli Stati Uniti che di un procuratore annota giusto, guarda caso, la sola avvenenza fisica. Ed intanto, la taglia 34 (34!!!) è diventata la nuova 38 che un tempo fu la 42 (ma qui, il discorso, sarebbe veramente lungo), il business delle diete impera (ma poi, si è tutto sovrappeso), si aprono spa ovunque proponendo massaggi con i sassi, con il cioccolato, con i gatti che ti camminano sopra. Ed intanto, oltre a risucchiarti di tasse, ti risucchiano il grasso dalle natiche per mettertelo in bocca. Di chi la colpa? Di tutti, in fondo. Degli uomini, che per consolidare il proprio potere incoraggiano la sopravvalutazione del dato estetico, elevandosi, abbassando l'altro. Meglio se omologato (perchè, la differenza è sempre destabilizzante e sinonimo di indipendenza di pensiero). Delle donne, che assecondano il sistema e investono solo sull'estetica, utilizzandola secondo la propria etica personale. Perchè, e questo vale per l'intera nostra società (senza distinzione di generi) oramai la personalizzazione è arrivata ad uno stadio talmente avanzato per cui non esiste più un'etica comune (tantomeno una morale), condivisibile al di là di cultura o religione. Ognuno ha la propria. Ad essa ci si appella, rivendicando l'essere al di là del fare. Mentre, a mio avviso, l'essere è sempre attraverso il fare.

Comunque, non voglio addentrarmi troppo in questioni tecniche. La materia è scottante sì. E' complessa, anche di più. Drammatica, perché questo imbarbarimento (o meglio, questo "non-dissolvimento" della barbarie) non solo avvilisce la donna, ma impoverisce anche l'uomo. L'Uomo con la U maiuscola (sono stata fortunata, ne ho incontrato più d'uno) che sà distinguere, che ama confrontarsi, che si mette in discussione attraverso il dialogo. Che ricerca la bellezza della imperfezione, ed il mistero di uno scambio, di un incontro profondo. Unico ed irripetibile (ancora). 

Argomento difficile, dunque. Ma che, sull'onda della playlist precedente da cui ho tratto spunto (e ringrazio Giulmar, per averla scritta, così da avermi permesso la replica. Non c'è polemica fine a sé stessa, spero sia chiaro. Solo punti di vista. Che non potevo esentarmi dall'esprimere) vorrei cercare di alleggerire (captatio benevoletiae) buttandomi sull'ironico.

Playlist film

Showgirls

  • Drammatico
  • USA
  • durata 95'

Titolo originale Showgirls

Regia di Paul Verhoeven

Con Elizabeth Berkley, Kyle MacLachlan, Gina Gershon

Showgirls

Perché una ragazza graziosa dovrebbe perdere tempo a studiare, quando può zampettare (più che ballare)? Perché una ragazza graziosa dovrebbe pulire pavimenti oppure vendere hamburgers per USD 5 all'ora, quando può guadagnare di più e con assai meno fatica vendendo il proprio corpo (si scopre alla fine del film che la protagonista fu arrestata per questo reato) e esibendolo come spogliarellista (quale sarà il contratto collettivo di lavoro? Quello dei metalmeccanici? Oppure sfora nel commercio?), sgambettando e sgomitando con la scusante che il mondo è crudele e "tutti lo fanno"? Ovviamente, la libertà personale (anche e soprattutto di scelta) è imprescindibile. Ma, con sincerità e consapevolezza. "Forza,  determinazione,  risolutezza  ma  alla  fine  anche ravvedimento e voglia  di  serenità  e  tranquillità" introvabili in questo film, uno dei peggiori che abbia mai visto per regia, sceneggiatura, recitazione. Uno dei peggiori che abbia mai visto per contenuti, per un "senso" che non esiste se non nel voyerismo maschile di corpi trattati come carne da esibizione. Tra una condivisione di colpa e l'altra, tuffi notturni in piscina, ciglia finte, sguaiatezza verbale e ipocrisia all'ennesima potenza, Kyle MCLachlan orfano di Lynch (e si vede!) sembra una mummia in cerca della sua piramide, mentre la protagonista femminile, Venere Callipigia dimagrita, rimpiazza la serena sensualità della statua con uno sguardo ebete-attonito che ci viene pure venduto per recitazione (sprofondamento e redenzione, ma dove?). Come sempre, il colpevole è ... no, non il maggiordomo! Il regista!

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Pretty Woman

  • Sentimentale
  • USA
  • durata 117'

Titolo originale Pretty Woman

Regia di Garry Marshall

Con Richard Gere, Julia Roberts, Hector Elizondo, Philip Stuckley, Ralph Bellamy

Pretty Woman

In streaming su Disney Plus

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C'era una volta una ragazza:

graziosa - ma durante le riprese usarono una controfigura dal fisico impeccabile, causa gambe talmente brutte (si vedono chiaramente nella scena della piscina dell'hotel, indossando un tailleur mattone con i pantaloni al ginocchio) da essere improponibili sullo schermo (salvo ritocco portentoso)

sana - usa pure il filo interdentale, sensibile - piange guardando "La traviata" (che poi, leggendo "La signora delle Camelie" ho pianto pure io, ma dall'orrore della scrittura di Dumas! E pure con Verdi ci scappa la lacrimuccia, perchè, soprattutto nel 2013 chi può esimersi dal sentirlo ovunque? Pure suonarlo, no!) ed

ambiziosa - vuole la "favola", ma Cenerentola spazzava pavimenti mica lisciava marciapiedi!

Questa ragazza dunque, istruzione media e nessun particolare trauma alle spalle, pervenuta a Los Angeles dal sud (difficile strutturare la storia diversamente, la Roberts avrebbe dovuto fare tanti di quei corsi di dizione da posticipare le riprese di un paio di anni), dopo una rapida analisi della situazione lavorativa/abitativa/sociale della grande città californiana, pensa bene di attivarsi nel remunerativo campo del "mestiere più vecchio del mondo". Ovviamente, rivendicando il mantenimento della propria "purezza" morale (con un distacco totale essere/azione) nonchè una certa etica della fatica e del lavoro (imponendosi regole ferree come: "non si baciano i clienti"). "Pretty Woman" è la storia di un successo eclatante perchè le (brave ragazze vanno in paradiso) cattive ragazze vanno dappertutto. E naturalmente stuole di uomini le accompagnano. Ecco che un piacente brizzolato di mezza età di grande successo preferisce raccattare per strada compagnia compiacente piuttosto che spendere energie in un confronto paritario (attenzione, non perchè una prostituta non possa umanamente sostenere un confronto paritario. Ma perchè, proprio la sua condizione di prostituta la rende subordinata. Il cliente, ha sempre ragione, si sà). La storia di un successo, dunque, al di là di ogni personale dignità. Dove la mercificazione del corpo è semplificata a scambio equo. Lontana anni luce dalla diffusa realtà di sfruttamento feroce, violenza, dipendenza, a cui sono sottoposte ogni giorno, in ogni parte del mondo, donne e bambine. Lontana anni luce dalla scanzonata consapevolezza di Irma, prostituta e certo sì dolce (e non c'è contraddizione). Qui c'è solo presunzione, ipocrisia, falsità. Il tutto condito con una colonna sonora che spazia dalla orecchiabile Pretty Woman walking down the street ai mitici Roxette (che chi se li dimentica, con quel look che avevano!) "It must have been loveeeeeee"

Rilevanza: 1. Per te? No

Una donna in carriera

  • Commedia
  • USA
  • durata 113'

Titolo originale Working Girl

Regia di Mike Nichols

Con Melanie Griffith, Sigourney Weaver, Harrison Ford, Philip Busco, Alec Baldwin

Una donna in carriera

In streaming su Disney Plus

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La competizione professionale, fra uomini e donne, non è mai paritaria. Perché essere donna significa dovere dimostrare mille volte di più il proprio valore. Con uno stipendio mediamente inferiore (a quello maschile), con una presenza percentualmente ridicola nei consigli di amministrazione, con un curriculum fantastico ma sempre in discussione. Dovendo subire continuamente quella sorta di razzismo malcelato che ammette giusto il "potersi  muovere  liberamente nel  loro  campo" (ma quale campo?). Sentendosi in colpa se ambiziose, cercando di coniugare il proprio ruolo di moglie, madre, figlia, amante, con quello di lavoratrice. Se si è belle, dovendo sempre giustificare la propria bellezza. Se si è brutte, dovendo sempre giustificare la proria bruttezza. Da tutte queste problematiche deriva una competitività folle. Ebbene sì, anche e soprattutto contro le altre donne. Così, alla fine, ad emergere sono spesso non le migliori (le più preparate, le più intelligenti ed intuitive, le più collaborative, le più innovative) bensì, semplicemente, le più agguerrite. E questo è un danno, un impoverimento, una mancanza, per tutti

Chi è "Una donna in carriera"? E' Katherine: famiglia altolocata (componente fondamentale), studi prestigiosi ma scarse capacità, look appropriato e costosissimo? Oppure Tess: famiglia proletaria (svantaggio insormontabile), studi serali (che vanno benissimo, ma attenzione, non si improvvisa niente. Non si sostituiscono corsi universitari di alto livello con la sottolineatura di manuali acquistati in libreria. La genialità è sempre supportata dalla fatica) ma una sfrontataggine oltre ogni limite ed un look tutto da rivedere che prevede un furto d'abito (o prestito, secondo l'etica fai-da-te). Per me, parbleu, la vera donna in carriera è Jack! Un Harrison Ford improponibile, che fa smorfiette come La Bullock in "Miss Detective" per accattivarsi ora questa, ora quella. Più attento lui al capello fuoriposto di Elle Woods in "La rivincita delle bionde". Per fortuna, il sesso forte è altro


La bellezza è un dono, non una colpa. Può essere esibita? Sicuramente. Può essere "usufruita"? Sì, ma con consapevolezza. Può bastare a sé stessa? Sì, ma come tale valutata.

Ci fu un tempo in cui si pensava che l'emancipazione sarebbe passata attraverso il voto (le suffragette, che nostalgia! Vere combattenti, comunque). Ottenuto quello, attraverso la libertà sessuale (l"l'utero è mio e me lo gestisco io" si gridava. Che orrore) e la parità lavorativa (e ci hanno fregate! Così lavoriamo in casa, e pure fuori! E lo stesso siamo sottopagate e sottovalutate) ed educativa. Ancora molto c'è da fare, su questi fronti. Ma oggi più che mai, è evidente la necessità di una nuova (o antica?) liberazione: quella dal parametro estetico. Pressante ed omologante. Senza scusanti e senza compromessi, per non essere schiave, primariamente di noi stesse (e delle nostre insicurezze).

Rilevanza: 1. Per te? No
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