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Vittime di società oppressive ed autoritarie.
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Vittime di società oppressive ed autoritarie.

Ho scelto alcuni film che ci raccontano le storie di personaggi marginali travolti da società oppressive ed intolleranti nei confronti dei più deboli. La domanda è la seguente: la società in cui viviamo ha fatto davvero dei progressi in termini di civiltà e tolleranza, oppure questa presunta apertura è solo una maschera ipocrita che nasconde dietro di sè la consueta intolleranza a danno delle fasce maggiormente a rischio ? I film sono stati scelti da paesi geograficamente distanti fra loro e su diversi soggetti che potevano rientrare in questa particolare tematica ; è stata omessa la tragedia dell’Olocausto perchè a mio parere rappresenta un « caso a sè » che ha dato origine ad una lunga serie di film spesso discussi in altre playlist. Chi vuole lasciare un proprio contributo o proporre altri film è il benvenuto. Per ogni film ho esposto un riassunto abbastanza dettagliato della trama ; chi vuole evitare gli spoiler, non legga.

Playlist film

Mouchette - Tutta la vita in una notte

  • Drammatico
  • Francia
  • durata 80'

Titolo originale Mouchette

Regia di Robert Bresson

Con Nadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal

Mouchette - Tutta la vita in una notte

« Mouchette, umile moscerino, strumento misterioso della grazia, è povera, con un solo vestituccio per la festa, maltrattata dal padre, chiusa in una sofferenza che l’età ingrata (ha 14 anni) acuisce. Va a scuola, non le sono amiche nè la maestra nè le compagne. Il suo maligno universo è un paese di gente meschina e alcolizzata, e una misera stanza in penombra, dove ai lamenti della madre morente rispondono gli strilli d’un fratellino in fasce. Mouchette resiste come può: ostinandosi nel silenzio quando a scuola c’è lezione di canto, insozzando di fango le compagne all’uscita. Ogni sua piccola gioia è umiliata: il padre si fa consegnare i pochi soldi che essa guadagna in un bar, la schiaffeggia quando in un giorno di festa è andata in un luna-park e ha innocentemente sorriso a un ragazzo. Così cresce, in Mouchette, l’odio verso il mondo:  soltanto la presenza della madre e la coscienza d’essere indispensabile al bambino per ora la sorreggono. Un giorno, tornando da scuola, il temporale la sorprende nel bosco. Si perde, viene la notte; Arsenio, un bracconiere che ha avuto col guardiacaccia Mathieu un alterco finito nel nulla, la porta nella propria capanna. E’ ubriaco, s’accusa di aver ucciso Mathieu, chiede a Mouchette di sostenere l’alibi che egli intende presentare alla polizia. La giovane gli crede e lo soccorre quando egli è vittima d’una crisi epilettica : per lui, dolcemente, riuscirà persino a cantare. Ma l’uomo, esaltato dall’alcool, non capisce che essa, pur di spezzare la sua solitudine, ha accettato di essergli complice: l’aggira, l’afferra come un volatile spaurito, la violenta. Mouchette non si ribella. Tornata a casa, in lacrime, dando il latte al fratellino scopre un gesto materno. Vorrebbe confidarsi con la madre, ma le muore sotto gli occhi. Privata dell’ultima speranza, mortificata dalle donne del paese, Mouchette verrà infine a sapere che il guardiacaccia è vivo (...) Ora Mouchette è abbandonata da tutti. Basterà che una vecchia le dica che legge il male nei suoi occhi, basterà che assista, nel bosco, alla fine straziante d’una lepre colpita dai cacciatori perchè anch’essa si senta una bestia braccata. C’è vicino uno stagno : rotolando dal prato come in un gioco infantile, Mouchette va incontro alla morte. Non la vediamo cadere nell’acqua: sentiamo il tonfo leggero, e il Magnificat di Monteverdi sigilla il suicidio. « Dio abbia misericordia di lei », invocava Bernanos. Bresson va oltre: la esalta come una martire » (riassunto tratto dalla recensione di Giovanni Grazzini contenuta in « Gli anni 60 in cento film », Laterza, pag. 208-09)

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Scene di caccia in Bassa Baviera

  • Drammatico
  • Germania
  • durata 90'

Titolo originale Jagdszenen aus Niederbayern

Regia di Peter Fleischmann

Con Martin Sperr, Angela Winkler, Else Obnecke, Michael Strixner

Scene di caccia in Bassa Baviera

« Siamo ai giorni nostri, in un villaggio bavarese che sembra popolato soltanto di laboriosi contadini, burloni e ospitali persino nei confronti di certi lavoranti stagionali emigrati dalla Turchia. Quale perfidia sia nascosta dietro la facciata si vede invece quando torna dalla città, dove è stato per qualche giorno in prigione, il giovane Abram, un bravo meccanico che la voce pubblica indica come propenso alle amicizie maschili. Sia vero o no, poco importa: sbeffeggiato dai vicini pettegoli, scacciato dalla madre, l’uomo è costretto ai margini ; le uniche persone che hanno per lui simpatia sono una sguattera di facili costumi, Hannelore, e un ragazzo mezzo deficiente. Quando si viene a sapere che Abram ha messo incinta Hannelore, e si crede di capire che ha cercato di insidiare il ragazzo, i sarcasmi si mutano in panico e in esplicita persecuzione. L’uomo decide di partire, ma i compaesani glielo impediscono e chiamano la polizia. Allora Abram cerca di scappare nel bosco, dove Hannelore lo raggiunge e gli confessa di aspettare un bambino. Fra i due scoppia un litigio, Abram s’infuria e pugnala a morte la donna. Braccato da contadini e poliziotti, infine l’uomo, spaurito, s’arrende. Eliminato il  «fuorilegge », i villici riprendono la vita «normale » con una festa campestre in cui il borgomastro, alleato col prete (sono imminenti le elezioni), offre a tutti birra e fanfara. ((riassunto tratto dalla recensione di Giovanni Grazzini contenuta in « Gli anni 70 in cento film », Laterza, pag. 82).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Mamma Roma

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 114'

Regia di Pier Paolo Pasolini

Con Anna Magnani, Ettore Garofolo, Franco Citti, Silvana Corsini, Luisa Loiano

Mamma Roma

In streaming su CineAutore Amazon Channel

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Qui le vittime della società oppressiva ed ipocrita sono due: Mamma Roma, la prostituta del titolo, che però è anche vittima di se stessa e delle proprie inutili ambizioni, e soprattutto il figlio Ettore, che si trova a crescere nell’universo assai precario delle borgate romane dei primi anni ’60. Mi permetto di citare la recensione del grandissimo opinionista del nostro sito Peppe Comune, a cui va de sempre la mia stima più profonda.
« Mamma Roma (Anna Magnani) è una donna che ha trascorso un intera vita a battere la strada. Ora ha deciso di cambiare rotta e di dedicarsi assiduamente all'avvenire del figlio Ettore (Ettore Garofalo), un ragazzo cresciuto in pensione a Guidonia avuto da un avanzo di galera che la lasciò sola subito dopo averla sposata. Con i soldi che è riuscita a racimolare compra una casa nuova nei "casermoni" nati nella periferia romana e acquista la licenza per un banco di frutta al mercato. Il passato però è sempre in agguato ed ha la faccia di Carmine (Franco Citti), il vecchio uomo a protettore di Mamma Roma, che con ricatti di vario tipo la costringe a ritornare in strada per procurargli del denaro. Questo intralcia il rapporto proficuo che intende instaurare col figlio, un ragazzo che si scopre essere senza un mestiere, analfabeta e assai cagionavole di salute (...)
Mamma Roma coltiva l'ambizione piccolo borghese di migliorare la sua condizione sociale, di far emergere il figlio dalla miseria in cui è sempre vissuta. Non c'è nulla di male a rincorrere il desiderio di una raggiunta e piena integrazione sociale, ma questa strenua rincorsa rischia di diventare un ulteriore passaggio agl'inferi se non è accompagnata da una consapevole conoscenza della propria condizione esistenziale, se non è tesa al miglioramento principalmente etico di essa, se non si dà più importanza all'essere che all'apparire, all'essenza di un'identità umana finalmente libera dai ricatti della carne che alle forme indistinte di un ambizione desiderata. Ma, alla realtà di un emancipazione intellettuale, Mamma Roma antepone una falsa omologazione morale, l'adesione acritica a un modello sociale di cui conosce solo la patina esteriore di un perbenismo ostentato. E' accecata dall'amore per il figlio e dall'odio per la vita e questo la porta con istintiva naturalezza a seguire un'altra strada, più semplice e più veloce, a maturare in se un malsano spirito di emulazione, quello che la porta a ritenere che basta un individuale spirito volontaristico per spostarsi dal mondo che si è imparati a disprezzare e indossare la maschera di una rispettabilità borghese meccanicamente percepita. Ettore diventa la vittima designata di questo disordinato amore materno e, a una madre che nel vuole fare il mezzo per nutrire l'effimera sensazione di essersi emancipata dalla miseria, oppone l'istintiva adesione alla legge della strada, l'unica che conosce e che può ragionevolmente seguire, quella che lo porta ad affezionarsi di Bruna (Silvana Corsini), una ragazza che ha iniziato al sesso tutti i ragazzi di borgata, e a fraternizzare con una banda di perdigiorno. Entrambi portano le stigmate di una colpa inestinguibile, quella di essere nati nella parte dimenticata del mondo, dove è più facile ribellarsi contro la propria stessa natura che cercare le cause che mantengono tutto l'interesse ad alimentarla. (recensione di Peppe Comune : //www.filmtv.it/film/4106/mamma-roma/opinioni/570137/)
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Family Life

  • Drammatico
  • Gran Bretagna
  • durata 110'

Titolo originale Family Life

Regia di Ken Loach

Con Sandy Ratcliff, Grace Cave, Bill Dean, Malcolm Tierney, Hylar Martin

Family Life

« Janice è in cura dallo psichiatra Mike, che adotta schemi e criteri della cosiddetta antipsichiatria (in contrasto con le consuetudini di una medicina conforme all’ordine stabilito). Del resto, dell’ordine vigente Janice è un perfetto prodotto. La madre ha creato la figlia a propria immagine e somiglianza, chiedendole in pratica di essere una pura e semplice appendice di se stessa. Il padre è un fallito che rivendica i diritti della sua nullità con uno sciocco autoritarismo. La sorella Barbara è pronta ad aiutare la più debole Janice ma non riuscirà a fare più di tanto. Assorta in un mutismo schizofrenico, costretta a un aborto psicologicamente atroce, Janice comincia la triste odissea da un ospedale all’altro dopo che è stata allontanata da Mike, lo psichiatra che l’aveva in cura. Anche l’amicizia con Tim, studente di Belle Arti, finirà per essere osteggiata da una società che sa intervenire con suadente autoritarismo. Accompagnata dalla polizia, la ragazza torna nel grembo familiare, accolta con nevrotici sentimenti. Il suo destino, come appare dalle ultime inquadrature, è quello di diventare un caso da esibire agli studenti della psichiatria trionfante, in un ambiente in cui si fa di tutto per non mettere mai la società davanti alle contraddizioni da essa stessa create » (Maurizio Del Vecchio in « Nuovo Dizionario universale del Cinema » a cura di Fernaldo Di Giammatteo, Editori Riuniti, pag. 489).
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Vita di O-Haru, donna galante

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 136'

Titolo originale Saikaku ichidai onna

Regia di Kenji Mizoguchi

Con Kinuyo Tanaka, Toshiro Mifune, Masao Shimizu, Ichirô Sugai

Vita di O-Haru, donna galante

« Giappone, XVII secolo. Una vecchia prostituta, O-Haru, si aggira per le strade e si ferma estasiata di fronte alle innumerevoli statue di Budda allineate in un tempio: una di queste le ricorda Katsunosuke, il suo unico e triste amore. Rievoca così tutta la sua triste vita. Il suo idillio con il samurai è troncato sul nascere dall’intervento della polizia: O-Haru è scacciata dal signore presso il quale lavorava e a Katsunosuke viene tagliata la testa. Disperata, la donna tenta di suicidarsi, ma la madre glielo impedisce. Qualche tempo dopo, un messo giunge ad annunciare che il capo del clan Matsudaira cerca una donna da cui avere un erede. O-Haru corrisponde ai numerosi requisiti richiesti: i genitori l’affidano al messaggero, nonostante le sue proteste. Nella dimora principesca O-Haru è trattata con diffidenza dalla moglie sterile del principe. Quando il bambino nasce, O-Haru non può nemmeno vederlo. E di lì a poco la cacciano: cosa che provoca le ire del padre, il quale vende O-Haru a una casa di piacere. Ma anche da lì la cacciano, perchè è troppo orgogliosa. Mandata a servizio presso la moglie di un mercante di tessuti, dovrà andarsene nuovamente (l’uomo l’insidiava). Tenta di sposarsi con un venditore di ombrelli, ma costui viene assassinato. Costretta all’elemosina, vive solo per rivedere il figlio divenuto principe. Diventerà una prostituta, subirà infinite umiliazioni. Ora- nel tempo dell’inizio- O-Haru, gravemente malata, è raggiunta e assistita dalla madre e dal padre. Guarirà. La condurranno a vedere finalmente il figlio, che è ora il signore del luogo. Ma subito la cacciano. Finirà la sua vita dedicandosi alla religione e alla fede in un domani forse migliore (Bruno Venturi in « Nuovo Dizionario universale del Cinema » a cura di Fernaldo Di Giammatteo, Editori Riuniti, pag. 1195).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sacco e Vanzetti

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 111'

Regia di Giuliano Montaldo

Con Gian Maria Volonté, Riccardo Cucciolla, Rosanna Fratello, Cyril Cusack

Sacco e Vanzetti

In streaming su Apple TV

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« Il 15 aprile 1920, in una cittadina del Massachussetts, ignoti banditi rapinarono il cassiere di una ditta e uccisero due uomini. Meno di un mese più tardi la polizia arrestò due immigrati italiani di sentimenti anarchici, il calzolaio Nicola Sacco e il pescivendolo Bartolomeo Vanzetti, e su labili indizi li accusò del crimine. Venne il processo, e all’opinione pubblica liberale fu subito chiaro che la fede politica degli imputati condizionava il dibattimento. Si era all’indomani della rivoluzione d’ottobre, i sindacati rumoreggiavano, i conservatori temevano che il bolscevismo sbarcasse in America : il giudice Thayer e il pubblico accusatore Katzmann respiravano l’aria da caccia alle streghe suscitata da una borghesia impaurita e da un ministro della giustizia che vedendo nei lavoratori stranieri gli agenti del comunismo aveva scelto la via dei manganelli. Perciò a nulla valsero le testimonianze in favore di Sacco e Vanzetti recate da altri immigrati e anche dalle autorità consolari italiane: i due sono anarchici, argomentò la giuria, dunque sono anche delinquenti. La condanna a morte sollevò grandissimo rumore. L’America radicale e l’anima popolare di molti paesi fu percorsa da un moto di sdegno. Si organizzarono proteste e si firmarono petizioni per salvare Sacco e Vanzetti. Un avvocato di gran fama, venuto a sostituire un difensore californiano inviso alla corte per le sue idee socialiste, chiese la revisione del processo sostenendo che molte testimonianze a carico erano state estorte (oltretutto egli scoprì la traccia che avrebbe portato all’incriminazione dei veri colpevoli della rapina). Tutto fu vano : il giudice Thayer rifiutò di riaprire il caso, la corte suprema non intervenne, il governatore del Massachussetts negò la grazia, e dopo sei anni di nuove polemiche e pressioni di ogni genere i due sventurati, il 23 agosto 1927, furono fulminati dalla sedia elettrica » (Giovanni Grazzini in « Gli anni 70 in cento film », Laterza, pag. 100-101).
 

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