“Leggilo, è bello!” Le recensioni di mia mamma sono sempre lapidarie, poche parole per decidere se un libro merita di essere letto oppure se è meglio lasciar perdere (e non vi riporto le espressioni colorite con cui stronca quelli che non ha gradito).
Siccome devo dire che come critico non è affatto male (anche se sul versante horror e fantascienza non ha alcuna competenza e ha sempre guardato un po' perplessa le mi passioni letterarie in quella direzione) e so di potermi fidare, mi sono fatto dare il volume e ho cominciato a sfogliarlo, per non mollarlo più.

La Casa Sopra i Portici è il libro con cui Carlo Verdone si mette a nudo, e nel raccontare dei suoi cari e degli anni trascorsi nella casa di famiglia , un enorme appartamento in una palazzina ottocentesca sul Lungotevere, “un palazzo umbertino con dei bellissimi portici in stile piemontese” dato in affitto dal Vaticano alla famiglia della madre, nell'aprire al lettore i piccoli “segreti” della sua infanzia e adolescenza, nel raccontarci aneddoti divertenti ed episodi struggenti, finisce per svelare soprattutto sé stesso al lettore.
Scopriamo così che dietro la faccia del comico si cela un uomo di temperamento malinconico e nostalgico, capace di intenerirsi di fronte alle piccole cose della vita, ai suoi affetti. Un Verdone forse non del tutto inaspettato, considerati pure i personaggi spesso problematici che ha portato sullo schermo, ma anche stupefacente per come sa raccontarsi con semplicità.
Mi è capitato di leggere alcune recensioni piuttosto dure e devo dire che non le condivido minimamente: senza parlare di capolavoro (non lo è affatto, né è nelle intenzioni del suo autore esserlo), questo libro ha il pregio di essere scritto in maniera semplice ed immediata e soprattutto dà un'impressione di grande sincerità.
Verdone non bara con il lettore, non nasconde le sue paure, le sue delusioni e i suoi errori.
Ma il grande pregio di queste pagine per noi che siamo accomunati dalla passione per il cinema sta proprio nel fatto che di cinema si parla e molto.
Il papà di Carlo, Mario, era un celebre storico del cinema, e Casa Verdone vedeva spesso la visita dei personaggi più importanti del mondo italiano gravitante intorno alla settima arte.
Carlo era un appassionato cinefilo, ricorda con affetto una piccola saletta , il Filmstudio, di cui divenne un appassionato frequentatore e fece nascere in lui la passione per il cinema sperimentale e d'avanguardia insieme a quella per i “classici” che avevano rivoluzionato il modo di fare cinema.

Ora qui apro una parentesi personale, perché anche qui nella mia piccola città di provincia esiste una sala che porta lo stesso nome. Questa sala nacque nel 1978 per iniziativa di alcuni ex aderenti a un circolo (il Circolo Calamandrei) che tra il 1948 ed il 1974 svolse la sua attività a Savona occupandosi tra l'altro di cinema e organizzando proiezioni e dibattiti. Fu qui che mosse i primi passi Tatti Sanguineti (non dico chi è perché son sicuro che chiunque legga queste righe lo sa benissimo) che tra il 1970 ed il 1977 (quindi andando oltre la chiusura del circolo) organizzò sei edizioni di una rassegna intitolata “Momenti di Cinema Italiano”, affiancato in questo lavoro da un certo Aldo Grasso (e anche qui non aggiungo altro)
Sanguineti e Grasso che, ovviamente, sono savonesi come il sottoscritto (anche se il secondo lo è di adozione essendo nato in un paesino piemontese, da dove però si comincia a scorgere la Liguria, Sale Langhe).
Proprio quelle rassegne furono la base per la creazione di un Circolo di appassionati di cinema: il Circolo di Cultura Cinematografica Filmstudio, e il nome era ispirato proprio a quello della sala romana di cui parla Verdone.
“Come è piccolo il mondo!” non ho potuto fare a meno di pensare. Tra i promotori di quella iniziativa c'era pure un certo Carlo Freccero........

Il capitolo in cui Verdone parla del Filmstudio e, soprattutto del suo incontro con uno dei cineasti della sperimentazione, Gregory Markopoulos, è uno dei più divertenti, in certi passaggi davvero spassoso.
L'altra grande passione di Carlo che traspare dalla pagine del volume è quella per la musica, a partire dai Beatles fino ad arrivare a Jimi Hendrix e a uno dei suoi pezzi più famosi, Are you experienced?, che con le sue nota colora l'ultima visita dell'autore alla casa che lo aveva visto crescere (non vi dico in che maniera, così lascio intatta la curiosità).
Come è naturale che sia, emerge anche la genesi di quei personaggi e quelle caratterizzazioni che mi entusiasmarono quando le vidi sul piccolo schermo nel programma Non stop nei primi mesi dell'ahimé lontano 1979.
Personaggi che furono alla base dei suoi primi film (Un Sacco bello e Bianco Rosso e Verdone) e che di tanto in tanto sono rispuntati nel corso della sua carriera (il Professor Raniero Cotti Borroni di Viaggi di Nozze è l'erede diretto del Furio di Bianco, Rosso e Verdone).

Devo dire che, dopo l'entusiasmo iniziale, con gli anni la mia passione per Verdone era molto calata. Molti suoi film non mi erano piaciuti, avevo poi trovato in particolar modo deboli quelli con intenzioni più “autoriali” quali Io e Mia Sorella, Stasera a Casa di Alice e C'era un Cinese in Coma.
C'era stata qualche eccezione come Compagni di Scuola e il sopra citato Viaggi di Nozze in cui, a una quindicina di anni di distanza, il nostro rielaborava alcuni personaggi degli esordi e rispolverava il gusto per l'episodio, ma nel complesso non le seguivo se non in maniera occasionale.
Poi un paio di anni fa in un pomeriggio di festività vengo trascinato al cinema da due amici a vedere Io, Loro e Lara e con grande soddisfazione mi ritrovo davanti un grande Verdone in ottima forma.
E oggi questo libro che ho letto davvero con piacere e che consiglio a tutti.

Chiudo citando una frase tratta proprio da La casa sopra i portici, mi è piaciuta molto perché in poche righe si condensano sia il senso di malinconia e nostalgia che si respira attraverso tutta la lettura, sia soprattutto il grande amore per il cinema, amore che tutti noi condividiamo con l'autore del libro:
“Ancora oggi mi chiedo se un giorno la sala cinematografica cesserà la sua funzione. Difficile dare una risposta. Anche se la malinconica immagine finale del film di Peter Bogdanovich. L'Ultimo spettacolo, mi angoscia. Perché una fila di sedie smontate e accatastate da una parte significherebbe che abbiamo accettato la solitudine al posto di una emozione condivisa”
 
Nota a margine: per quei pochi incuriositi dalla vicenda (savonese) del Fimstudio, sappiate che svolge ancora oggi la sua attività nonostante non abbia avuto una vita facile (tra l'altro cessò del tutto per due anni tra il 2001 ed il 2003, per poi ricomparire col nome di Nuovo Filmstudio grazie ad alcuni appassionati). Un faro di cultura in una città che sta vivendo una profonda crisi, non solo economica ma anche di identità. Ma questa è magari materia per una futura playlist.........