2001. Odissea nello spazio
- Fantascienza
- Gran Bretagna
- durata 141'
Titolo originale 2001: A Space Odyssey
Regia di Stanley Kubrick
Con Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter, Leonard Rossiter
La genialità di Stanley Kubrick emerge in tutta la sua prepotenza in ognuno dei suoi 13 film, ma in questo film raggiunge, a mio parere, il vertice assoluto, sotto almeno tre aspetti.
Dal punto di vista della storia, il racconto si snoda in un arco temporale di quattro milioni di anni (ed iniziare un film di fantascienza nella preistoria è un’intuizione non da poco) per mostrarci che il nostro concetto di uomo, erroneamente ritenuto da molti il punto d’arrivo dello sviluppo biologico e sociale della vita, in realtà non è che uno stadio di passaggio, destinato (fortunatamente?) ad essere prima o poi superato da un “qualcosa” di più evoluto anche se legato profondamente alle sue radici. Il viaggio, del resto, è un’odissea, un ritorno verso qualcosa che in realtà c’è sempre stato – almeno allo stadio potenziale – e sempre ci sarà, qualcosa di arcaico rappresentato dal monolito, sempre uguale a se stesso eppure sempre in grado di rinnovare ciò che gli sta attorno. È un messaggio, in fondo, anche di speranza: se vogliamo trasmigrare verso un’esistenza migliore, non dobbiamo far altro che scavare in noi stessi per trovare il seme del miglioramento e lasciare che il feto astrale presente dentro ciascuno di noi possa finalmente nascere.
Sotto il profilo della verosimiglianza, poi, Kubrick punta a realizzare una sorta di documentario di fantascienza, preoccupandosi di rendere credibili le soluzioni tecnologiche adottate e le conoscenze scientifiche raggiunte, aiutato in ciò dall’astronomo-scrittore Arthur C. Clarke, il tutto prima che l’uomo mettesse piede sulla Luna. L’approfondimento tecnologico, tuttavia, ha anche un fine altro nell’economica del racconto. HAL, infatti, rappresenta la produzione più avanzata della mente umana, ma pur tuttavia si mostra imperfetto, fallibile com’è fallibile chi l’ha creato. Da aiutante-esperimento dell’uomo ne diventa carnefice, così come accade alla creatura del Dottor Frankenstein. È come se l’uomo non fosse in grado da solo di determinare la sua evoluzione verso una fase più avanzata. Il figlio tecnologico dell’uomo è in realtà destinato a commettere gli stessi errori del padre di carne ed ossa. Per evolvere è quindi necessario l’intervento esterno – quello del monolite – frutto di una consapevolezza per noi inimmaginabile. L’uomo incapace di autodeterminarsi, del resto, è un tema ricorrente nel cinema di Kubrick…
Infine, vi è l’aspetto suggestivo della storia, che tocca argomenti ancestrali e insondabili, toccandoci nel profondo con uno stupendo connubio di musica e immagini. Un film da vedere e rivedere per riscoprirne ogni volta aspetti nuovi, perché, come disse Kubrick: "Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio".
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta