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Ciao Ken (forse potevi fare di meglio??)
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Ciao Ken (forse potevi fare di meglio??)

Appena fulminato dalla notizia della sua scomparsa, non ho potuto trattenermi dallo scrivere una play commemorativa, pur essendocene già una di Winnie dei Pooh. Perchè? Semplicemente perchè è stato un regista per il quale ho nutrito un'insana ossessione per quasi tutta l'adolescenza; un regista che ormai ho pesantemente ridimensionato, tanto che non è neanche più nella rosa dei miei favoriti, ma sul quale non posso esimermi ugualmente dallo scrivere qualcosa.

Devo ammettere che ormai, riguardando i suoi film, non riesco a non rilevarne quasi esclusivamente i difetti: molti dei suoi film che annoveravo tra i miei preferiti di sempre, adesso mi appaiono datati, ridicoli, superficiali, addirittura trash. Prendiamo "L'altra faccia dell'amore": il ritratto di Ciaikovskij è pressochè inconsistente, un fragile collage di clichè legati a una visione tipicamente romantica del Genio, superficiale, fatto tutto di esplosioni di collera e pianti improvvisi che, più che al tormento interiore dell'artista, farebbero pensare agli sfoghi di una checca isterica. La recitazione imposta dal regista poi era spesso immotivatamente teatrale, le scene dirette con un gusto coreografico spesso completamente fuori luogo: penso anche a "I diavoli" e alla lunghissima ed estenuante sequenza dell'esorcismo (potentissima dal punto di vista della messinscena), o a certi personaggi sopra le righe, come l'esorcista con gli occhialetti. Naif e puerili erano anche quei suoi tipici siparietti musical-oniroidi, diretti con un gusto da musical di rivista: alcune sequenze allucinatorie di "The music lovers", con Ciaikovskij che balla il can-can, o quella davvero piuttosto imbarazzante de "La perdizione", in cui Mahler si esibisce in una sorta di balletto da cabaret insieme a Cosima Wagner vestita da Walkiria: provocazioni che oggi, come direbbe il buon Mereghetti, potrebbero sembrare delle semplici carnevalate, lasciando perplessi o addirittura indifferenti.
Per questo motivo, fra i tre film che compongono la trilogia dedicata ai musicisti, sarei tentato di considerare addirittura "Lisztomania" il più riuscito, proprio perchè quello che si prende meno sul serio, quello più programmaticamente sgangherato, trash, infantile: alcune idee le trovo ancora adesso esilaranti, come la sequenza "freudiana" in cui Liszt vede crescersi un enorme fallo, o quella in cui Wagner viene rappresentato come una sorta di barone Frankenstein intento a dar vita al Superuomo, una sorta di incrocio fra Thor e Obelix: esempi di feroce iconoclastìa e distruzione della cultura "alta", degni secondo me di un certo gusto "giullaresco" tipicamente medievale. 
 Inoltre è stato capace di rovinare parzialmente, nonostante la potenza visionaria di alcune scene, un soggetto affascinante come quello alla base di "Stati di allucinazione" (motivo per cui lo scrittore Paddy Chayefskij disconobbe l film), facendo scadere un po' tutto nel baracconesco con l'abuso ingiustificato di effetti speciali, con la trasformazione in scimmione di William Hurt, e soprattutto con quel grottesco "happy end" in cui i due protagonisti si sussurrano "ti amo" dopo essere stati sul punto di diventare due bachi da seta.

Altro suo tallone d'Achille, insieme all'ingenuità, era l'effettismo, la voglia di scandalizzare a tutti i costi, che spesso lo ha portato a degli eccessi ingiustificati, come in alcuni momenti de "I diavoli", che con qualche eccesso in meno avrebbe rasentato il capolavoro. O come in quella versione teatrale della "Traviata" con Cecilia Gasdia, in cui faceva morire la povera Violetta di overdose (!!!), cosa che provocò le proteste sdegnate (e a mio avviso giustificate) di Franco Zeffirelli, che definì quella di Russell una provocazione "degna di un teatro di provincia", e che accusò il regista di gettare alle ortiche il suo grande talento, che gli avrebbe consentito altrimenti di essere un grande regista.

Meglio sorvolare sulla decadenza degli anni Ottanta, in cui da "China Blue" fino all'incredibile "The fall of the Louse of Usher", musical "punk-goth" liberamente ispirato al racconto di Poe, passando per robacce indegne come "La tana del serpente bianco" o "Oltre la mente", ha inanellato una serie di film di rara bruttezza, motivo per cui nessun produttore ha più deciso di dargli un soldo, e ha finito col girare i film in super8 nel giardino di casa sua.

Che altro dire, gli unici titoli della sua filmografia che ancora mi sento di salvare quasi del tutto sono "I diavoli", che rimane un film potente come pochi, in parte "Donne in amore", e "Tommy": alcuni numeri musicali, come quello della Chiesa di Marylin col cammeo di Eric Clapton, o quello di Tina Turner in versione "Acid queen" che si trasforma in una vergine di Norimberga, quello di Elton John con i super-zepponi o ancora tutta la sequenza finale sulle note di "Listening to you", riescono ad elettrizzarmi quasi come un tempo. "Donne in amore", considerato dai più come il suo capolavoro, a mio avviso risulta oggi un po' troppo appesantito da simbolismi didascalici e artificiosi, nonostante scene molto belle come quella celeberrima della lotta fra i due uomini nudi; "The boyfriend" invece andrebbe riscoperto, è un musical delizioso e accattivante, stessa cosa per "Messia selvaggio", forse fra addirittura i suoi migliori.

In conclusione, per tentare di bilanciare in parte il tono piuttosto critico della playlist, riporto qui un piccolo ritratto personale del regista (un po' modificato) che feci qualche tempo fa, sempre su questo sito, in cui provavo a descrivere ciò che malgrado tutto mi ha sempre affascinato di questo autore:

"Tra gli aggettivi più usati per definire il cinema di Russell, ve ne sono due: barocco e decadente. 
Credo che alla base del cinema di Russell vi sia infatti una tensione fondamentale, la stessa tensione che caratterizza in generale l'anima del Barocco, consistente nel tentativo di trovare una connessione, un equilibrio fra opposti apparentemente inconciliabili: l'orrido e il sublime, il basso e l'alto, il volgare e l'aristocratico, ecc.. All'interno di questa polarità credo siano rintracciabili le principali ossessioni e peculiarità del suo cinema, come il rapporto fra la sublimazione artistica e le pulsioni umane più basse, la sua dichiarata religiosità e la blasfemia sfrenata de "I diavoli", l'esaltazione del Sublime (la lunga sequenza del concerto n 1 di Ciaijkovskij de "L'altra faccia dell'amore") e la ridicolizzazione di giganti della cultura "alta" come Liszt o Wagner in "Lisztomania", ridotti a delle macchiette da basso avanspettacolo, in cui sembra rivivere lo spirito dissacratorio, goliardico e burlesco dei giullari del Medio Evo.

Del decadente, vi è in lui quella ricerca dell'esaltazione sensoriale da cui deriva l'oscillare fra il satanico e il celestiale (si pensi a Huysmans, ma anche a Baudelaire, Rimbaud...), il gusto per l'esasperazione grottesca fino al farneticante, per l'allucinazione morbosa, per la dissacrazione oscena fino all'assurdo, per l'esasperazione kitsch, ma soprattutto per la morte, altra ossessione tipicamente decadente, presenza costante e serpeggiante nel suo cinema, verso la quale paiono tendere inconsciamente tutti i protagonisti dei suoi film.
Qualcuno lo ha definito "un mistico blasfemo", definizione che a mio avviso gli calza a pennello"


Lo omaggio con quelli che, nonostante tutto, rimangono i suoi titoli più memorabili.

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