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Mauro Bolognini. L’Illustratore in provetta.
di Marcello del Campo ultimo aggiornamento
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Marcello del Campo

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Mauro Bolognini. L’Illustratore in provetta.

So che mi farò dei nemici ma non ho l’età per farmi ‘catturare’ dall’illustratore Bolognini, ho però l’età per ricordare che dal Bell’Antonio alla Villa del Venerdì, il regista in odore di repêchage non mi ha mai regalato una sola emozione; che Alberto Pezzotta (ex ‘Segnocinema’, traduttore di noir, guastatore critico, scopritore del cinema di Hong Kong, critico di ‘Vivimilano’, ecc.) e Pier Maria Bocchi, l’incendiario ex critico revolté di FilmTv abbiano scritto due anni fa un ‘Castoro’ a due mani (e una sola testa) sul cinema di Bolognini, mi fa pensare che si voglia raschiare il fondo del cinema lesso in barile e ‘gran bollito’. Il cinema di Bolognini, che a giusta ragione Paolo Bertetto ascriveva al genere degli “illustratori” nel mai obliato Il più brutto del mondo: Il cinema italiano degli anni Settanta (Bompiani editore), è un cinema freddamente impagliato nel genere “tratto da” racconti e romanzi dai quali trae ispirazione, consegnandolo al mestiere della critica tassodermica che indaga il grado e il rischio di putrefazione del manufatto. Bolognini è letteratura tascabile, meglio se bestseller: dalle pagine del romanzo non si è mai mosso, sia che seguisse la moda ‘poveri ma belli’, vedi Marisa la civetta, sia che replicasse la commedia all’italiana (Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo, Giovani mariti, Arrangiatevi) in cui raggiunge gli unici risultati ragguardevoli. Il cinema di Bolognini somiglia alla Vanessa Io schiacciata a metà di un grosso tomo: bella da vedere ma irrimediabilmente morta. Perché il cinema del regista che Pezzotta e Bocchi cercano di riportare in vita, è nato defunto e non c’è forcipe o adrenalina che possa restituirlo a vita critica. Tutti i film del Nostro sono derivativi da generi in auge negli anni in cui furono girati. Che Bolognini sia un illustratore para-televisivo, basti ricordare la serie di film ‘decorativi’ tratti da Alberto Moravia (Agostino, Gli indifferenti), Italo Svevo (Senilità), Vasco Pratolini (Metello), Vitaliano Brancati (Il bell’Antonio), Theophile Gautier (Mademoiselle de Maupin), Mario Pratesi (La viaccia), Goffredo Parise (L’assoluto naturale), Ercole Patti (Un bellissimo novembre), Jean-Louis Philippe (Bubù de Montparnasse) Mario Tobino (Per le antiche scale), Gaetano Carlo Chelli (L’eredità Ferramonti), Alexandre Dumas figlio (La storia ‘vera’ della signora delle Camelie), Anonimo del Cinquecento (La Venexiana). Bolognini era al servizio di tutto ciò che andava di moda negli anni Sessanta/Settanta (Premi Strega, Bancarella, Campiello, ripresa dei ‘classici’ che andavano bene in edicola, fatti di cronaca, la collana “Centopagine” di Einaudi), e nonostante ‘vestisse’ i film con le sceneggiature di Pirro, Sonego, il naufragio presso la critica era assicurato quanto soddisfatto l’appetito di quel pubblico che allora formava la ‘maggioranza silenziosa’. Un regista, infine, buono per quella stagione che ‘riparava i danni’ di Pasolini, Bertolucci, Visconti, il quale con buona pace di Pezzotta/Bocchi, insieme a Pasolini non avevano bisogno di essere difesi dalla critica per la loro omosessualità che con il cinema c’entrava nulla. Bolognini non fu un regista ‘scomodo’ e fa impressione sentire questa frase desueta, poiché di registi davvero scomodi furono censurate, bruciate, messe al rogo ben altre opere. Bolognini è stato sempre comodamente assiso sulla sedia del perbenismo piccolo-borghese: cercare di rianimare il suo cinema comatoso è contrario ai principi della critica, meglio faremmo a staccare la spina perché la televisione è piena di eredi di Bolognini, il re del décor
I film della lista sono scelti a caso. 

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