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GANGSTER-MOVIE [PARTE SECONDA] - ANNI QUARANTA/CINQUANTA - ALDRICH, CORMAN, BOETTICHER, FULLER, KARLSON, KAZAN
di Marcello del Campo ultimo aggiornamento
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GANGSTER-MOVIE [PARTE SECONDA] - ANNI QUARANTA/CINQUANTA - ALDRICH, CORMAN, BOETTICHER, FULLER, KARLSON, KAZAN

Che la divisione per ‘generi’ sia una convenzione e una ‘griglia’ troppo schematica, lo dimostrano alcuni studiosi di crime-movie che, nel valutare i film appartenenti al genere di cui si discute, verificata l’impossibilità di ridurre le opere a cotè strettamente definiti, sono costretti a liberarle dai vincoli dell’appartenenza. La frammistione di elementi polizieschi, noir, film di rapina, mélo criminali all’interno del genere gangster, induce Carlos Clarens a usare il termine “sfumature di noir” (prendiamo ad esempio High Sierra in cui tutti gli elementi convergono e avremo la prova dell’impotenza della categoria crociana del ‘genere’); Massimo Sebastiani e Mario Sesti[1] scrivono: “Ma la media del genere, è bene sottolinearlo, è di tutt’altra natura. Non contempla quasi mai la purezza di uno schema, semmai la sua ibridazione inesausta.”; Renato Venturelli preferisce parlare di “deflagrazione del noir”, infine John Gabree sceglie un metodo diverso: tracciare il profilo di alcuni registi, isolando quei film che rientrano nell’ampia categoria tracciata da Sebastiani e Sesti, i quali nell’ottimo dizionario Delitto per delitto. 500 film polizieschi, specificano nel sottotitolo detective story, gangsterfilm, noir, thriller, spy story. In questo modo, di un regista versatile e insuperabile in ogni genere come Billy Wilder si sceglie uno dei noir più grandi di tutti i tempi, Double Indemnity.
Questa commistione dei generi che in High Sierra si ritrovano fusi, - il noir, il mélo, il gangster-movie, il western, - ha origini anche di natura produttiva, e negli anni Sessanta la divisione per generi interessa soltanto gli apparati di distribuzione. Infatti, scrive John Gabree, “Negli anni ‘30, un regista, come il suo produttore, il suo sceneggiatore, i suoi attori, era una creatura dello studio per cui lavorava. Se aveva molta fortuna o un talento straordinario, poteva anche riuscire a lavorare su dei progetti che gli interessavano, ma la maggior parte dei registi faceva quello che gli si diceva di fare, una settimana un giallo, un musical quella dopo, un western quella successiva. Verso il ‘60, la situazione cambia completamente: le produzioni cominciarono ad essere attuate e finanziate indipendentemente, spesso dal regista in persona, come cominciò a fare Robert Aldrich dopo il successo di What Ever Happened to Baby Jane? (Che fine ha fatto Baby Jane?, 1962) […]. I vecchi studios provvedevano alla distribuzione.”.
Roger Corman è l’esempio più calzante di regista-produttore, dalla sua factory emersero i grandi registi e gli attori che avrebbero fatto il cinema del decennio e dei successivi, in particolare film di genere – crime-movie, war-movie, western, ecc. [Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Monte Hellman, Ron Howard, James Cameron, Joe Dante, ecc, - il gotha del cinema degli ultimi quattro decenni].
Sono questi registi indipendenti che tracciano le linee del cinema di genere negli anni Sessanta, lasciando il segno. All’inizio si tratta di produzioni di costo relativamente basso che spesso non incontrano il favore della critica americana e di gran parte del pubblico, ma tutti condividono alcuni aspetti ideologici, diciamo di left: l’America è un paese sicuramente violento e corrotto, l’unico tipo di cinema che ne rappresenta i tratti meno appetibili e il gangster-film; il gangster è il simbolo perfetto di una nazione che, soprattutto dopo la Guerra in Vietnam, ha perso l’innocenza, ammesso che l’America sia stata mai innocente.
 
Figlio dell’America benestante, Robert Aldrich, regista radicale, impermeabile a qualsiasi compromesso – almeno nella fase iniziale della sua carriera – con le ragioni dell’establishment è il trait d’union tra il cinema classico di genere e il nuovo crime-movie on opposition. Tralasciando i suoi film non inerenti al nostro discorso, ci soffermiamo su due film di genere: autore a metà della Giungla della Settima Strada (The Garment Jungle, 1957 [l’altra metà è di Vincent Sherman], 1957, Aldrich immette linfa nuova in una struttura tradizionale. La giungla della Settima Strada poggia su un plot scarno ma efficace [ufficialmente firmato da Sherman, ma, stando a testimonianze più credibili, scritto quasi interamente da Aldrich] sui retroscena dell’industria dell’abbigliamento. Interessa meno la storia del contrasto tra un padre e un figlio (Lee J. Cobb e Kerwin Mathews) sul comportamento da assumere contro una banda di gangsters (capeggiata dal truce Richard Boone) che intende imporre la sua “protezione” alla loro industria; colpisce, invece, il clima violento che pervade l’opera e lo studio dei comportamenti patologici. Aldrich era entrato col botto due anni prima, nel 1955, con il film spartiacque tra cinema del crimine classico e la nuova forma del genere. Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly) è a mio parere uno dei cardini del moderno crime-detective-movie, insieme all’Infernale Quinlan di Orson Welles, la vetta di un cinema aspro, violento, barocco, espressionista largamente imitato e insuperato. Nessun regista fino allora aveva osato tradurre in immagini i romanzi dello scrittore reazionario Mickey Spillane, autore di successo in virtù (meglio in disgrazia) di uno stile senza fronzoli che sorreggeva trame misogine da ‘giustiziere ante litteram’. Mike Hammer, splendidamente interpretato da un Ralph Meeker che non sarà mai in futuro così patologicamente perverso, è un private eye fascista che, riluttante, è costretto a combattere per una causa che esula dal suo cinismo integrale. Il film di Aldrich, esempio affascinante di entomologia dei dati della depravazione umana, si lega a uno stile visivo parallelamente anormale, distorto, a tratti visionario. Il risultato finale dà ragione all’aforisma di T.W.A. “Bisogna fare propria la critica reazionaria alla cultura in nome dell’illuminismo progressivo.”. Un bacio e una pistola nasce da un libro di destra per illuminarci sulla tragedia di Hiroshima e altri disastri.
 
Budd Boetticher non è solo il grande westerner che conosciamo, a lui si deve un rispettabile gangster-movie, The Rise and Fall of Legs Diamond (Jack Diamond gangster, 1960), che rappresenta un omaggio al cinema classico degli anni del proibizionismo. Il titolo originale è il sommario del plot: (Ascesa e caduta di Legs Diamond). Ray Danton interpreta la parte di Diamond, un dandy-killer cinico e opportunista la cui carriera da ladro di polli a bodyguard del principe delle bische Arnold Rothstein (Rohert Lowery) è raccontata secondo gli stilemi e il decor tipici degli anni Venti quando il tempo e l’azione erano dettati da Cagney e Robinson. Lo stile di Boetticher è, come nei suoi western, secco, essenziale, realistico, attraversato da lampi di violenza.
 
Il regista-produttore Roger Corman, è già famoso per una serie di film dell’orrore realizzati per l’American International Pictures, quando la 20th Century Fox, lo chiama a dirigere Il massacro del giorno di San Valentino (The ST. Valentine’s Day Massacre, 1967) che termina con l’efferato crimine che nel 1929 portò allo sterminio di tutti i membri di una gang di Chicago. Passando da film a low budget a un film di una major, anche Corman come Boetticher ricrea magistralmente l’immagine degli anni Venti, anche se il film ha notevoli difetti dovuti all’imposizione di una sceneggiatura fiacca e priva di suspense e di una recitazione sopra le righe di Jason Robards. Dopo avere diretto film che affrontano vari temi, il problema razziale in The Intruder (L’odio esplode a Dallas, 1955) [dato a Fuori Orario l’anno scorso], Corman realizza nel 1970 un ottimo Bloody Mania (Il clan dei Barker, 1970), con Shelley Winters nella parte di Ma Barker. L’anno dopo Robert Aldrich riesce a fare meglio su un plot simile ma tratto da uno dei capolavori del più americano tra gli scrittori inglesi, James Hadley Chase (al secolo Renè Brabazon Raymond). Il romanzo è No Orchids for Miss Blandish (Niente Orchidee per Miss Blandish, 1939), il film, uno dei grandi esiti di Aldrich è Grissom Gang, film di rapimento, teso, senza enfasi, sottile studio della psicopatologia rurale (il rapporto edipico) e del conflitto di classe.
 
Regista sottovalutato per molti anni da una critica ottusa italiana ma esaltato in Francia, amato da Godard che gli affida una parte in Pierrot Le Fou, Sam Fuller ha avuto una riabilitazione postuma meritatissima. Artigiano di razza, Sam lascia un corpus di crime-movie, western, war-movie nei quali è difficile trovare un film meno che buono. Director intellettuale ha poche certezze, la sua visione del mondo amara, temperata da una distaccata ironia [anche l’iconografia dell’uomo, sempre fotografato con un enorme sigaro tra le labbra, non è un vezzo], Fuller si serve di pochi elementi essenziali dai quali trae una tensione insopportabile; un cinema il suo di icastica violenza espressiva non lascia eredi, lo stile freddo come il ghiaccio ne fa uno dei maestri dei generi, - inimitabile! Molte le perle nel sommario di questo irriducibile critico della società americana: Pickup on South Street (Mano pericolosa, 1953), scritto e diretto da Fuller, è una bruciante spy-story su un pickpocket man (il superbo Richard Widmark), coinvolto in una vicenda di spie comuniste. Incipit in metropolitana con tagli di montaggio strettissimi su visi, mani, occhiate furtive. Indimenticabile la scena madre dell’assassinio di Thelma Ritter. House of Bamboo (La casa di bambù, 1955) è un war-movie molto attuale: la ricerca e la cattura di un gruppo di ex-militari diventati criminali che agiscono nella periferia di Tokyo nel secondo dopoguerra. Fuller sembra interessato a meditare sulla psicopatologia degli uomini vittime dell’insania della guerra, un po’ come Aldrich; non è casuale che il capo di questi individui bacati (chi se non Robert Ryan?) sia un pazzoide. Evidente è anche l’influenza di Jules Dassin nella descrizione di Tokio. Un detective giapponese è presente anche in The Crimson Kimono (Il kimono scarlatto, 1959) che insieme a un collega americano lavorano allo stesso caso e si innamorano della stessa donna: Il film funziona nel ‘reparto action’ ma il mélo mal si addice a Fuller. Underworld U.S.A. (La vendetta del gangster, 1961), è tra i migliori gangster-movie di Fuller e della storia del genere e uno dei film più amati da Martin Scorsese. Nella storia di un uomo che dà una caccia spietata agli assassini del padre (Cliff Robertson, una macchina da guerra), ucciso quando lui era bambino, ritroviamo il regista estremista della violenza. A vendetta compiuta, il colpo da maestro: l’assassino muore tra la spazzatura, sui bidoni è scritto “Tenete pulita la vostra città”.
Scrive John Gabree: “È un luogo comune dire che gli artisti, specialmente quelli dediti alle arti figurative, non sono necessariamente degli intellettuali. Fuller non ha molte di quelle che di solito si definiscono idee, ma, diversamente da Corman, non pretende neanche di averle: è un artista quasi puro. Un Boetticher o un Phil Karlson possono risentirsi per la mancanza di apprezzamenti o critiche, Fuller invece è così sicuro del suo talento, che non ha affatto sofferto di non essere considerato il grande cineasta che è. La vera tragedia è quella di chi ha perso l’occasione di godersi i suoi film.”.
Dice di sé Fuller in Pierrot le Fou, quando gli viene chiesto che cosa è per lui il cinema: “Amore, odio, azione, violenza, in una parola, emozione”, risponde.
È comprensibile” scrive Clarens “che i registi della Nouvelle Vague, consapevoli della struttura, esaltassero Fuller, mentre la maggior parte dei critici americani lo stava liquidando come regista di routine.”.
 
Meno fortunato di Don Siegel o di Sam Fuller, tirati dal dimenticatoio negli ultimi anni, Phil Karlson è un regista di serie “b” (nel senso di registi non emergenti - vedi Godard o Truffaut o i Cahiers per mettere a fuoco questo tipo di cinema); il suo è un cinema sbrigativo e senza fronzoli che si inserisce a pieno diritto nei crime-movie per un pugno di opere notevoli: Dark alibi (idem, 1946, Il quarto uomo (Kansas City Confidential, 1952), La città del vizio (The Phoenix City story, 1955), Quarto grado (Tight Spot, 1955), I fratelli Rico (The Brothers Rico, 1957), FBI contro AI Capone (The Scarface, 1962), negli anni Settanta firma la regia di Un duro per la legge (Walking Tall, 1973), un gangster-film che la critica specializzata ritiene, secondo me esagerando, migliore dell’analogo (nella trama) Il braccio violento della legge (French Connection, 1971) di William Friedkin. Probabilmente ha nuociuto a Karlson non tanto il fatto di avere costruito un cinema sotto le righe, ‘convezionale’ e di mestiere, ma la freddezza di una critica disattenta ma sempre ossequiosa verso registi patinati che sono sulla bocca di tutti.
Certamente Phil Karlson non è un maestro della statura di Sam Fuller, ma, nell’ambito del gangster-movie occupa una posizione di grande rilievo. Scrive John Gabree: “L’aspetto più significativo dei suoi film criminali è rappresentato da una buona dose di ambiguità a proposito del rapporto tra criminali e vittime. L’ambiguità è un atteggiamento importante nei gialli del dopoguerra, e non c’è regista più attento di Karlson alle implicazioni morali sociali delle azioni dei suoi personaggi.”. In Kansas City Confidential (Il quarto uomo, 1952), i violenti sono i poliziotti [una ‘riscoperta’ dell’acqua calda oggi molto in auge nei recenti asfittici gangster-movie], infatti il protagonista, un ex poliziotto (il dimenticato John Payne) è un uomo che cerca di trovare le prove per discolparsi da un’accusa di rapina, ma deve fare i conti con una ‘sporca manica’ di colleghi corrotti e sadici di Kansas City. In Tight Spot (Quarto grado, 1955) il poliziotto (Brian Keith), incaricato di fare la guardia del corpo a un’avvenente testimone di un crimine (Ginger Rogers), è in realtà nel libro paga di una gang dalla quale ha ricevuto l’ordine di eliminare la sua protetta. Il cinema di Phil Karlson, soprattutto il ‘ciclo’ gangsteristico [sul quale il già citato Renato Venturelli scrive pagine memorabili], anticipa il cosiddetto ‘cinema di denuncia sociale’: il maltrattamento inflitto ai cittadini di origine giapponese durante la seconda guerra mondiale in Hell to Eternity (All’inferno per l’eternità, 1960); il ruolo delle organizzazioni civiche nella lotta contro i criminali in The Phoenix City Story (La città del vizio, 1955) dove il figlio di un avvocato, ucciso da una gang che controlla la città, ingaggia una lotta contro i criminali. “Assai amato da Martin Scorsese”, scrivono Sebastiani e Sesti, “che non ha mai dimenticato lo shock della sequenza del cadavere di una bambina nera lasciato di fronte alla casa del protagonista come avvertimento.”. Da non dimenticare uno dei film migliori di Karlson, The Brothers Rico (I fratelli Rico, 1957), tratto da un romanzo di Simenon, definito da Clarens “Il miglior film degli anni Cinquanta insieme all’Invasione degli ultracorpi (Invasion of Body Snatchers). […] era una premessa che, negli anni ’60, si sarebbe inevitabilmente gonfiata in  turgide metafore, come Mickey One di Arhur Penn, dove l’Organizzazione diventa un dio vendicativo che prende come preda la colpa originaria del protagonista; o Senza un attimo di tregua (Point Blank) di John Boorman, dove un risvolto kafkiano rivela che l’ultimo potere della malavita è un onnipresente Uomo della Strada.”. Come in Jack Diamond non mancano i topoi sacrosantidel genere, la madre protettiva come nella Furia umana, la ricerca spasmodica della vendetta come nel Grande caldo, ma il clima del gangster-movie è mutato e minato dall’interno.
 
Elia Kazan non ha bisogno di presentazioni né di rivalutazioni. La sua presenza in questo discorso è dovuta a tre memorabili film di gangster: Boomerang (Boomerang, l’arma che uccide, 1947), Panic in the Streets (Bandiera gialla, 1950), On the Waterfront (Fronte del porto, 1954). In queste tre opere, Kazan utilizza le convenzioni del genere ma con un detournement che le iscrive nel catalogo ‘ideologico’ del decennio successivo. In Boomerang e in Fronte del porto, il protagonista è un individuo scisso, in bilico tra la vittoria della verità e il rischio della propria vita (In Boomerang un giudice subisce pressioni persuasive per far condannare un innocente; in On The Waterfront, un pugile di scarsa fortuna deve testimoniare contro un sindacalista corrotto per mandarlo al fresco; in Panic in the Streets, il più sottovalutato dei tre, un medico incorruttibile lottacontro le autorità della città di New Orleans per snidare gli assassini di un immigrato contagiato di peste polmonare, abitante in un quartiere portuale. Fronte del porto attirò su Kazan e lo sceneggiatore Budd Schulberg critiche che ancora oggi non sono sopite e, in effetti, l’ambiguità di fondo del film non è riscattata del tutto, anzi ancora più connotata dal ricorso a scene madri, dalle quali, mettiamo, un Karlson, si era tenuto sempre distante; la recitazione overdose degli attori kazaniani è fastidiosa e apre il varco a tutta la gestualità esagitata di Rod Steiger, non manca il martirologio di Marlon Brando sanguinante, modello anticipatore dell’analoga scena nella Caccia di Arthur Penn. Sicuramente Kazan, come Fritz Lang, ha cercato di infondere nel cinema di genere segni più ‘letterari’, ma, almeno in questi film, non ha avuto la capacità di evitare una certa superficialità, ignota al cinema del grande maestro tedesco.

[1] Delitto per delitto,  500 film polizieschi, Lindau1, 1998

NOTA: procedendo nella stesura delle play sul gangster movie, mi accorgo che, senza un piano preciso, ho inserito nelle filmgrafie dei registi alcuni film che sono stati diretti dopo gli anni Cinquanta. A conclusione di questa serie di play, che terminerà con gli anni fino al 2010, provvederò a sistemare meglio la materia, apportando correzioni all'interno di ciascuna play.

 

 

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