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John Ford: "Un uomo tranquillo"
di Utente rimosso (mike patton) ultimo aggiornamento
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John Ford: "Un uomo tranquillo"

Pubblico questa intervista a John Ford, che dal 27/12/2010 è parcheggiata nei miei post per CR, in attesa di approvazione, per quei due o tre utenti, al massimo, che pazientemente l'aspettavano.
 
L’intervista che segue, a cura di Mike Haggard, è il montaggio due incontri avvenuti rispettivamente nella primavera del 1969 e in quella successiva, quando Ford fu invitato all’Università di Southern California a Los Angeles (USC), da Padre Frank Frost, presidente della DKA, una organizzazione nata per favorire i rapporti tra mondo accademico e personalità del cinema.
 
Ford iniziò: “Membri della DKA (Associazione nazionale di cinematografia) — signore, signori — invitati ...” Qui fece una pausa, poi si volse al gesuita, Padre Frank Frost (presidente della DKA) e continuò, “Padre…” e il pubblico scoppiò a ridere. “Chiedo scusa”, disse, “mi ero completamente dimenticato di Lei. E con la festa di San Patrizio che si avvicina”. Ci fu un’altra risata, dopo la quale Ford si rivolse di nuovo al pubblico.
“Per primo quale irlandese, sento l’obbligo di augurare a voi tutti: che la giornata sia bella e che il vostro cammino possa essere tranquillo. Lunedì è San Patrizio, e stasera i più cari amici di San Patrizio” — guardò l’orologio — “no, non sono ancora divenuti nemici”. “Fra un’oretta lo diventeranno, e cominceranno a prendersi a bottigliate…”
“Ebbene, siete probabilmente abituati ad ascoltare discorsi noiosi e pedanti su come bisogna fare un film — il soggetto, la teoria e tutto il resto. Ebbene, non vi posso fare un discorso su tutto ciò, perché non sono in grado di farlo, non posseggo la capacità mentale per farlo. Non lo potrei nemmeno leggere, perché” — e protese la mano a una certa distanza dal viso — “il testo dovrebbe essere posto a questa distanza perché il mio occhio non è a fuoco. Del resto, ho la sensazione di essere quasi un eroe  nell’essere venuto qui stasera. Sono stato a letto tutta la settimana con un paio di costole rotte, però non volevo deludervi”. 
“Oh! C’è una cosa che mi colpisce riguardo questo film (Sentieri Selvaggi) la distribuzione è quasi interamente creata da ex allievi della Università della California del Sud”. “Oh, sì, è vero! Non è uno scherzo. C’è Michael Morrison, che voi conoscete meglio sotto il nome di John Wayne; c’è Ward Bond; c’è Jeffrey Hunter (che ha studiato qui per un anno); Jackie Wìlliams, che non conoscete — qui era un famoso giocatore di polo; Russ Saunders; ce ne sono altri di cui adesso mi sfugge il nome. Ma la distribuzione è quasi esclusivamente fatta di ex-allievi della USC”.
 Qui la voce di Ford assunse un tono sommesso e aggiunse, “Certo, Ward ci ha lasciato, il Duca e io — voglio dire Duke Wayne — e ciò è stato una grossa perdita per noi. Eravamo un trio meraviglioso. Ward era un tipo straordinario”.
“Così ho pensato di raccontarvi un paio di aneddoti riguardo ad incidenti avvenuti su luoghi dì ripresa. Non credo che la gente vi parli di cose simili. Si procurano un dizionario, scrivono una relazione e poi ve la leggono…
“Ward Bond era un tipo grande, brutto e meraviglioso. Ma era terribilmente snob. Era il più grande snob ch’io abbia mai conosciuto Ecco, io sono incapace dì capire lo snobismo. Il padre di Ward era un minatore — una professione più che onorevole. (Mio padre gestiva una taverna — che è un lavoro ancora più onorevole)”.
“Ma Ward mirava più in alto. Lavoravamo in Florida, e tutte le notti interrompeva la nostra partita a carte, vedete, e si metteva lo smokìng bianco col gilè rosso, e usciva. E io gli chiedo, ‘Dove vai?’ e lui risponde, ‘Esco con gente della buona società’. Dunque io con Wayne e Bob Montgomery prendiamo un taxi e lo seguiamo di nascosto. Entriamo, ed eccolo, lo vediamo lì: Ward era seduto a capo tavola, e guardava la bottiglia di vino che aveva ordinato”, — qui Ford fa la pantomima di Bond mentre esamina la bottiglia di vino — “e dice, ‘Emmmm ...’ Voglio dirvi che lui non capiva proprio niente in fatto di vini…” ‘E la migliore annata che avete? Non avete un... emmmm... ‘48’? — che, guarda caso, era una delle peggiori annate, sapete — poi dice: ‘Quella andrà bene’. Poi era molto avaro — a noi non ha mai offerto niente e adesso stava pagando, e io gli chiedo, ‘Chi è quella gente? lui risponde, ‘Quello li è il farmacista più importante dì Dobuque, Iowa!” “Io gli dico, ‘Ecco la buona società!”. “Io e Duke passavamo gran parte delle nostre giornate a studiare gli scherzi da giocare a Ward. Se avessimo dedicato la metà del tempo, anche un quarto del tempo a leggere il copione o a cercare di migliorare la storia, avremmo fatto dei film migliori…
“Ward voleva sempre la parte principale ed era molto geloso di Duke. Erano ottimi amici — tutti e tre eravamo ottimi amici — ma era sempre geloso di Duke, e diceva:
‘Io dovrei avere quella parte, naturalmente tu lo sai,’ e io dico, ‘Sì, certo che dovresti’”.
“Ci divertivamo con lui ma, come dicevo, avremmo dovuto dedicare più tempo al film e meno agli scherzi che potevamo giocare a Ward. Immagino che sarà difficile poter ricordare lo scherzo su ‘Cara Mabel’”. Qui Ford alzò la voce e cominciò a cantare in falsetto, “‘Oh, Mabel, cara Mabel, carissima’. Nessuno conosce la canzone? Beh, fu uno degli scherzi che facemmo a Ward... molto tempo fa... oh, Dio, è già passato un secolo”.
“Ebbene, si parte per gli esterni. Dovevamo partire su dei DC-3. E abbiamo scelto una ragazza molto procace. Un bel paio di tette. Doveva fare una piccola parte nel film. (Veniva con scopi legittimi). L’abbiamo bene istruita e ci siamo assicurati che avrebbe preso il primo aereo, al mio assistente abbiamo chiesto di farle prendere la prima macchina e di tenerla al sicuro. Ward prese il secondo aereo. È arrivato e si è lamentato, come al solito, della sua camera — sapete, voleva l’esposizione a sud — si è lamentato di tutto, non gli piaceva la sua parte, e io gli dico, ‘Allora, torna a casa’, e lui rispose, ‘Oh va bene, no, non voglio farlo’”.
“La prima sera, ci sediamo a tavola — all’incirca una diecina, e poi arriva questa ragazza”, e gettò un’occhiata su padre Frost — con tutto il rispetto dovuto al Padre -come ho già detto, era molto ben fatta — si è presentata con un vestito da cameriera e con un quaderno per gli autografi in mano, e rivolgendosi a Ward gli disse, ‘Signor Bond, Lei è il mio attore preferito. Credo che Lei sia semplicemente meraviglioso. Perché Le fanno fare queste parti di vecchio?”.
“’Ebbene’, risponde Ward, indicandomi con un gesto, ‘Chieda a lui, glielo chieda pure’”.
“E lei dice, ‘Oh, Lei è un tesoro. Le piacerebbe una buona bistecca? Ne ho una per Lei, proprio speciale’”.
“‘Sì, cara, una bistecca. Qual è il Suo nome, cara?’»
“Lei risponde, ‘Mabel’”.
“‘Oh, che bel nome’”. Ford rifà la pantomima di Bond che le firma il quaderno. “‘Alla cara Mabel  — con amore, Ward’”
“E lui ci guarda, con aria trionfante, mentre lei si sta allontanando e qualcuno dice, ‘Oh e il nostro pranzo? e lei risponde, ‘Lo porterò dopo aver servito il Signor Bond’”.
“Ebbene, continuò così per due giorni, lei si occupava di Ward, e Ward si pavoneggiava ed era in perfetta forma. In seguito lei gli disse, ‘Sa, mio marito è ferroviere sull’Atchison, Topeka e Santa Fe, e tornerà dopodomani. Che peccato — mi mancheranno le nostre passeggiate al chiaro di luna, caro’”
“E lui chiede, ‘Scusi, dove abita?’”
“E lei: ‘Ha presente quel gruppo di cabine? — bene, io sto in quella più lontana, vivo tutta sola’”.
“‘Oh, ‘dice lui, ‘e se io venissi da Lei stasera?’”
“‘Oh, ne sarei entusiasta’, gli risponde lei. ‘Senta, caro, porti sei lattine di birra e un cocomero’”.
“Dice lui, ‘Ma qui hanno dei cocomeri, no’?”.
“E lei risponde, ‘Certo, ma al personale non li danno, ed io vengo dal Sud, sa, e adoro i cocomeri’ (cambiando improvvisamente il suo accento con quello del Sud). E si sono dati appuntamento’”
“Alle nove e mezzo si presentò da lei — sei lattine di birra, un cocomero sotto il braccio — posò la birra e bussò alla porta. ‘Mabel, cara?...Mabel?’
“È Lei, Ward?’”
“‘Sì, carina’”.
“‘La porta è aperta’.
“Così, riprende la birra e entra, nel frattempo noi eravamo già li dentro con delle Colt — eravamo in otto — e mirammo e sparammo: BANG! BANG BANG! BANG! — Gesù; BANG; Era terribile!!”. “Ebbene, Ward scappò — O.J. Simpson sarebbe sembrato una tartaruga al suo confronto. Ha lasciato cadere la birra, ma teneva sempre sottobraccio il cocomero, e correva a grande velocità verso il deserto. Andai a chiamare il capo dei cowboys e gli dissi, ‘Prendi alcuni cavalli e inseguitelo’. E noi: BANG! BANGl BANG! BANG! fino a quando tutte le pallottole — sei per otto — hmmm, mi hanno bocciato in matematica, quanto fa?”
«Bene, gli abbiamo fatto altri scherzi simili: questo è uno che ricordo in modo particolare. Comunque voglio dire, non dovete pensare che abbia l’intenzione di diffamare Ward, buon’anima, che riposi in pace — era un tipo meraviglioso. A me e a Wayne manca molto, con la sua scomparsa qualcosa di importante è sparito dalla nostra  vita. Era il padrino dei miei figli e dei miei nipoti, ed è un carissimo amico per me. (...)
“Comunque, avvenne una serie di incidenti buffi mentre eravamo in trasferta per le riprese all’esterno. Tu cerchi di utilizzarli nel film e qualche volta ti riescono. Adesso — c’è qualcuno che ha una domanda veramente interessante da farmi?” Non ci fu una risposta immediata, e Ford non si preoccupò di attenderla. “Se Dio vuole, non ce n’è”, borbottò, togliendosi il microfono.
Prima di andar via, indugiò brevemente per spiegare al pubblico che aveva pregato la DKA di non mostrare Un uomo tranquillo nell’unica versione disponibile, che era in bianco e nero, “perché il colore fa parte della struttura drammatica del racconto. In bianco e nero la scena non passa”.
Nel febbraio dell’anno seguente, all’occasione del suo 75’ genetliaco, Ford visitò di nuovo la USC. Questa volta, appena entrato, il pubblico lo accolse cantando in coro “Buon compleanno”. Sembrava soddisfatto.
In questa occasione, Ford, accompagnato da Dick Amador, un ex-sottufficiale della Marina, fu presentato da Padre Frost che, nel frattempo, si era fatto crescere la barba. Mentre Padre Frost gli aggiustava il microfono intorno al collo, Ford mormorò, “Oh! riceviamo di nuovo l’Estrema Unzione?”
Cominciò con lo spiegare di quando Padre Frost era venuto precedentemente a trovarlo, “Non lo riconobbi — da quando è divenuto hippie. Ma adesso, sotto questa luce, lo riconosco…”
“Ebbene, Padre Frost, signore e signori” — cominciò, ridendo — “quasi dicevo ‘ex compagni di studio’. È molto buffo. Quando lasciai l’università — quando fui espul… — voglio dire, quando ho lasciato l’università…” Guardò improvvisamente Padre Frost. “Quello è un racconto che, a dispetto della Sua barba, mi è troppo difficile raccontarvi — perché sono partito repentinamente... ebbene, non facciamo nessun nome”. “Ora vogliono ch’io ritorni, e vogliono chiamare la loro scuola di arte drammatica ‘Scuola di Arte Drammatica John Ford’; io rispondo, “Per Dio, una volta fui espulso e tale voglio rimanere adesso”. “Stavo per dire ‘ex-compagni di studio’. Perché ero un assistente regista e quando abbandonai gli studi c’erano ancora molte lacune nella mia educazione...”
“Comunque, c’erano molte lacune nella mia educazione, e ce ne sono tutt’ora. Ma la cosa strana... Io vengo dallo Stato di Maine e lì, per una ragione che ignoro, non insegnano la storia americana. Storia greca, egiziana, romana, francese, inglese, si, ma non abbiamo mai imparato la storia americana. Un giorno qualcuno mi dice, ‘C’è un tizio qui che è docente di storia alI’USC. È un attore mancato che adora il cinema; vorrei che tu lo ingaggiassi quando ti sarà possibile, è un caro amico mio. Insegna nei corsi serali’. Così cercai questo tizio e gli chiesi, ‘Lei insegna storia americana?’ e lui mi rispose: ‘Sì’. Ed io gli dico, ‘Facciamo uno scambio. Io le assegnerò una parte quando sarà possibile’ — vedete, l’assistente regista a quell’epoca sceglieva la distribuzione dei film — e lui rispose: ‘Certo, venga pure’. Ed io iniziai ad andare due o tre volte la settimana per seguire il suo corso di storia americana. Ecco perché adesso so che cosa è l’Acquisto di Gadsden [parte del Trattato del 1854 che delimitò il confine tra Messico e Stati Uniti N.d.] di cui fino ad allora non sapevo niente. Così ho terminato con gli ‘ex-compagni di studio’. — Che cosa voleva sapere a proposito di Sfida Infernale?.
“Prima di parlarne », disse Padre Frost, “Credo che il pubblico sia curioso di sapere chi è il signore alla sua destra”.
“Questo è il mio subalterno principale il sottufficiale capo Amador”, rispose Ford. “Siamo stati insieme per vent’anni nella Marina e lui ne esce adesso, ha finito i suoi vent’anni di servizio. Ed è un uomo veramente degno di stima. Quando io divenni Ammiraglio chiesi di fargli ottenere la promozione a Tenente — ma lui si rifiutò. Perché in quel caso avrebbe guadagnato ottanta dollari in meno — e Ford ridacchiava — che come sottuficiale capo.”
“Quanto a Sfida Infernale l’unica cosa che mi ricordo è che Wyatt Earp si è stabilito da queste parti e abitava al di là di Pasadena con la moglie che era una donna molto religiosa; due o tre volte all’anno... mi sentite?”
“Sì”, rispose il pubblico.
“Potrei adoperare la mia voce possente”, gridò Ford a gran voce. “Perché ho comandato sulle navi!”.
Riprendendo col solito tono continuò: “E mentre lei assisteva ai convegni religiosi di allora, Wyatt andava di nascosto al paese e si ubriacava con i miei cowboys. Verso mezzogiorno sparivano e verso l’una e un quarto tornavano ubriachi fradici — tutti i miei cowboys e Wyatt — e dovevo cambiare tutto il mio programma. E lui mi raccontò la storia dell’O.K. Corral. E mi attenni esattamente al suo racconto tranne per Doc Holliday che non fu ucciso. Doc è morto di tubercolosi all’incirca diciotto mesi più tardi. E quello è quasi l’unico racconto che ricordo a proposito di Sfida Infernale salvo che la fine del film non l’ho fatta io. Non era così che lo volevo terminare. Comunque...”
“Come lo voleva terminare?” chiese qualcuno.
“È passato così. Mi sembra di ricordare che avrei voluto che la ragazza rimanesse li a fare la maestra di scuola, e volevo che Wyatt rimanesse per diventare sceriffo — ciò che in realtà ha fatto. E quella era la storia veritiera. Poi, invece, Wyatt è stato costretto a ripartire. Ma, uh…
“Mi è accaduto un terribile incidente con la macchina a causa del quale mi sono fratturato una costola, incrinato altre tre, e il mio dottore mi ha proibito di alzarmi per venire stasera. Mi chiede, ‘Dove vuoi andare?’ e io gli rispondo, ‘Alla USC’, e lui replicò, ‘Allora, vai pure’. Si capisce che è un ex-allievo della USC”.
Chiunque può dirigere un film appena conosce la tecnica fondamentale. La regia non è un mistero, non è un’arte. La cosa principale nel cinema consiste nel filmare gli occhi della gente. Filmare i loro occhi”. Fece un gesto verso il petto e aggiunse, “Tutto è da qui in su”.
“Vedete, il cinema è pieno di questi geni improvvisati che si avvalgono di numerosi trucchi, la macchina da presa, questo mostro dall’aspetto meraviglioso. E così la spostano qui, in su, in giù, dappertutto, e come risultato il pubblico soffre il mal di mare.
“Sono andato a guardare un paio di miei amici mentre giravano Hogan’r Heroes — John Banner e Werner Klemperer — e lì avevano un nuovo regista che muoveva in continuazione la macchina da presa. Lui non guardava mai gli attori. Intorno alla decima ripresa, disse: ‘Quella è perfetta. Stampatela’. E uno degli attori rispose: ‘Ho saltato due battute in quella scena lì’, e il regista riprese, ‘Oh, non fa niente’. Inoltre un attore tedesco che avrebbe dovuto parlare col suo accento parlava il più puro inglese. Ma il regista non fece caso a quel dettaglio.
“La macchina da presa va dimenticata. Trovate un buon cameraman — lui conosce la cinepresa meglio di tutti voi — e chiedetegli: ‘Voglio riprendere un Tizio poi un altro, e voglio vederli da vicino, però qui non farò dei primi piani. Se dovessi farli, sposterei un gruppo di qua e uno di là per permettermi di filmare degli individui’. Ma cercate un buon cameraman e lavorate con i vostri attori. Guardate il loro viso, guardate i loro occhi. Si può esprimere di più con gli occhi che con qualsiasi altra cosa. Ecco, più o meno ho detto tutto”.
 
Ford allora notò una ragazza in prima fila e le chiese, “Perché non fa l’attrice? Hm…  Mi sembra un tipo adatto”. Poi, rivoltosi al pubblico disse, “Lei dovrebbe essere fotogenica. Peccato che sono ormai in pensione”.
Abbiamo sentito dire che lei sta girando un nuovo film.
“Ebbene, non precisamente. Presto la mia consulenza al racconto di Chesty Puller, che è stato il nostro Marine più famoso, il Marine più decorato di tutta la storia. Nessuno fa la regia, stiamo ricostruendo la storia insieme. Sono tornato all’Accademia Navale della Virginia e all’Università Washington e Lee per girare alcune scene. Siamo andati a filmare la tomba del Generale Robert E. Lee, dove Chesty va per rendere omaggio alla sua memoria”.
La voce di Ford assunse un tono più affettuoso quando aggiunse: “Chesty è un mio caro amico. Eravamo insieme in Corea e mi proteggeva da ogni pericolo”. Parlando quasi a sé stesso, aggiunse: “Tutto quello che mi è successo è che ho perso un occhio…
“È un mio caro amico e un tipo notevole, ed è il più grande Marine che ci sia mai stato. Il Corpo dei Marines ci ha inviato diverse sequenze che non sono mai state proiettate, voglio dire scene di battaglie che né i settimanali, né nessun altro giornale ha mai pubblicato, perché ritenevano, a quell’epoca, che fossero troppo — non troppo orribili — ma voglio dire si vedono soldati morti e feriti. Veri combattimenti.
 
E poi ...” E in quel momento Ford, con gli occhi del tutto assenti, quasi come se si fosse dimenticato del pubblico, disse, “… ho fatto delle riprese magnifiche quando ci hanno scacciati dal deposito durante la tempesta di neve. Avevo una macchina da presa — ho filmato quella scena lì — in una vera tempesta di neve, e... non ho fatto che aprire l’obiettivo al massimo, e tutto è venuto molto bene. Ho ripreso le truppe che si allontanano dal deposito.
In fondo alla sala un ex-Marine barbuto e dai capelli incolti, venuto dall’Università di California a Los Angeles (“UCLA — si capisce”, disse Ford più tardi) si alzò in piedi, “È vero”, chiese, “che Chesty Puller ha cercato di barattare tre Croci Navali contro una Medaglia d’Onore del Congresso?”
“No”, rispose Ford, disgustato. “Possiede cinque Croci Navali”. “No, non è affatto vero. Era troppo duro, e perciò non è stato nominato Comandante dei Marines. Chesty avrebbe dovuto ricevere la Medaglia d’Onore. L’avrebbe meritato. Ma possiede cinque Croci Navali. In quanto al polemizzare per avere una Medaglia d’Onore, questo non è affatto vero. Non so dove ha sentito questa storia”.
“È un ex-Marine e probabilmente ha sentito qualche pettegolezzo”, gridò qualcuno fra il pubblico.
Qualcun altro voleva fare una domanda, ma Ford si rivolse all’ex-Marine. “Che cosa — faceva — ha combattuto in Corea o durante la Seconda Guerra Mondiale?” chiese Ford.
“No, più tardi — ero tra i Marines che ha passato in rivista per l’ultima volta”.
“Ebbene, non trova che fosse un uomo meraviglioso?” chiese Ford.
“Be’, sì, a quell’epoca”
“Bene, lo è ancora. E scommetto che lui ti conosceva per nome… Era un tipo eccezionale, e si occupava dei suoi uomini”.
Poi, di nuovo, quasi come se parlasse con sé stesso, aggiunse, “si occupava di tutti tranne che di me”.
Come ha fatto per rendere i suoi western così realistici, così veri?
“È stato l’istinto. Sono stato cowboy e mi sono occupato di bovini per un certo periodo. Che lo crediate o no, la figlia del proprietario si è innamorata di me. Era alta quasi due metri e pesava un centinaio di chili... perciò ho rubato un cavallo e me la sono svignata... e sono venuto in California. Ma sono stato cowboy e conosco piuttosto bene l’Ovest”.
Ha finito i soldi mentre stava girando Sentieri Selvaggi? Un critico ha scritto allora che lei non aveva più soldi.
“È vero in parte. I produttori, verso la fine delle riprese, diventano più esigenti. E per questa ragione che la fine dei film non è così ben fatta come l’inizio. ‘Fate presto, fate presto!’ Capite, hai superato il preventivo… sì, era in parte vero”.
Le pare che ciò abbia potuto nuocere al film?
“No, non credo. Gli rispondevo in modo evasivo”.
Ford rispose ad un’altra breve domanda, poi, cortesemente, si congedò. Mentre scendeva dal podio fece un gesto con la mano per indicare il distintivo della DKA attaccato sulla falda della giacca.

Intervista,  tratta dal n° 9/10 di Cult Movie — Aprile-luglio, 1982, è apparsa su Focus on Film, nella primavera del 1971.


 
 

Playlist film

L'uomo che uccise Liberty Valance

  • Western
  • USA
  • durata 110'

Titolo originale The Man Who Shot Liberty Valance

Regia di John Ford

Con John Wayne, James Stewart, Lee Marvin, Vera Miles, Edmond O'Brien

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