Shining
- Horror
- USA, Gran Bretagna
- durata 119'
Titolo originale The Shining
Regia di Stanley Kubrick
Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers
E' logico che Kubrick, vedendo "Tre donne", abbia pensato a lei per Shining, dato che anche in quel caso la psicologia svolgeva un grosso ruolo.
E anche perché piangevo bene nel finale del film. Così mi ha detto, e si chiedeva come ci fossi riuscita. Il primo giorno di lavorazione, la prima domanda che mi ha posto è stata: «Cosa farebbe Robert Altman?». Sa, Kubrick ha molto humour, uno humour assai pungente. E divertentissimo, come Bob, ma in più è sardonico. Un giorno mi ha detto:« Forse è la realtà, ma è interessante?». Perché non tutta la realtà è interessante. E una lezione che ho imparato da lui. E molte altre cose ancora. Mi ha reso la vita dura, ma ha ampliato i miei orizzonti di attrice. Sono in grado di passare più facilmente da un estremo all’altro, e d’interpretare d’ora in poi dei personaggi estroversi.
Aveva fatto un grosso lavoro preparatorio con Kubrick?
Ho letto il romanzo, e poi, la sceneggiatura, sono andata a Londra per trovare un posto dove abitare. Il 24 maggio 1977, aI Festival di Cannes, ho saputo che avrei interpretato il film. Poi è trascorso un anno prima dell’inizio delle riprese, il 2 maggio 1978. Era molto frustrante, tanto che ero più che pronta. Tuttavia dovevo essere paziente, perché ignoravo di trovarmi di fronte a un anno di riprese al posto delle sedici settimane previste in partenza. Kubrick, con mia grande sorpresa, ci ha lasciato molta libertà nel recitare, a Jack Nicholson e a me. Ha trovato anche il tempo per insegnarmi molte cose sull’uso della macchina da presa, sugli obiettivi, in particolare il 18, che prediligeva rispetto agli altri per quel film perché deformava i nostri volti rendendoci così brutti, però valorizzava l’arredamento. Invano lo supplicavamo di usare il 50 o il 70. Ci teneva testa perché voleva che avessimo l’aria stravolta: ci è riuscito senz’altro! Jack doveva essere sempre in collera, io isterica. Stanley invece era serissimo. Non eravamo certo piacevoli da frequentare. Durante i tre ultimi mesi, nelle pause, Stanley e io giocavamo a scacchi. Si dava degli handicap, mi offriva la dama... ma vinceva comunque, quel bastardo!
Ha tagliato l’ultima sequenza del film dopo pochi giorni di programmazione.
Credo abbia avuto torto, perché quella scena spiegava certe cose che rimangono oscure per il pubblico, come l’importanza della palla gialla e il ruolo del direttore dell’hotel nell’intreccio. Wendy si trova in ospedale col figlio. Il direttore va a trovarli, si scusa per ciò che era successo e le propone d’andare ad abitare da lui. Lei non risponde né si né no. Quindi lui va nella hall dell’ospedale, passa di fronte a Danny che sta giocando per terra con dei giocattoli. Giunto vicino all’uscita, si volta e dice: «Dimenticavo, ho una cosa per te». Ed estrae dalla tasca la palla gialla che le gemelle avevano lanciato a Danny. Rimbalza due volte (abbiamo girato un’intera giornata perché il rimbalzo fosse giusto!), Danny la prende, la guarda, poi guarda stupito il direttore dell’albergo, e si rende conto che per tutta la vicenda lui era al corrente del mistero di quel posto. C’era un còté alla Hitchcock in quella soluzione e, come lei sa, Kuhrick ama molto Hitchcock.
Com’è stata girata la scena in cui lei colpisce Nicholson con una mazza?
Ci abbiamo messo tre settimane, a ogni ciak la rigiravamo per intero, circa sedici minuti. E’ stato estenuante. C’erano talmente tante occasioni per Kubrick di essere perfezionista! La sua ossessione per l’ inquadratura esatta e l’uso della Steadicam, la precisione della nostra recitazione, le luci, la densità del fumo. Era tutto coreografato, e dovevamo seguire i segni al millimetro. Quando avevamo discusso della scena, si faceva riferimento a Rashomon. Doveva essere come un balletto. Quando si fa gli isterici, però, bisogna perdere un po’ l’autocontrollo. E io, invece, dovevo essere attentissima, meticolosissima, quindi la scena era assai difficile da interpretare. Dovevo inoltre esprimere la felicità, la gioia d’aver trionfato sul mio aggressore, rendendomi improvvisamente conto che avevo colpito mio marito.
Il suo personaggio somigliava in un certo senso a quello di Tre donne, sbadato, materialista.
Si, ma Wendy doveva essere la più banale delle donne a livello domestico, e non mi entusiasmava interpretare quel ruolo. Mi chiedevo perché mai Kubrick avesse chiamato me per rifare ciò che avevo già fatto. Sul pubblico, naturalmente, il risultato era diverso, dato che sono due film diversi. Ma per me, come artista, era un’esperienza dello stesso genere, come se fossi stata una pittrice e mi avessero chiesto di fare un quadro identico a un altro. Ma non rimpiango affatto l’esperienza di Shining. Kubrick ha preso un romanzo di serie B e l’ha trasformato in un grande thriller psicologico di serie A. Una riuscita fantastica. E come mi diceva lui stesso: «Nulla di grande è mai stato fatto senza sofferenze». E proprio così.
Intervista tratta da "Kubrick" Michel Ciment ,Edit. Rizzoli 1999
Titolo originale The Shining
Regia di Stanley Kubrick
Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers
Titolo originale McCabe and Mrs. Miller
Regia di Robert Altman
Con Julie Christie, Warren Beatty, René Auberjonois
Titolo originale Three Women
Regia di Robert Altman
Con Sissy Spacek, Shelley Duvall, Janice Rule, Robert Fortier
Titolo originale Nashville
Regia di Robert Altman
Con Keith Carradine, Ronee Blakley, Karen Black, Barbara Harris, Geraldine Chaplin
Titolo originale Popeye
Regia di Robert Altman
Con Robin Williams, Shelley Duvall, Ray Walston, Paul Dooley, Linda Hunt
Titolo originale Thieves Like Us
Regia di Robert Altman
Con Keith Carradine, Shelley Duvall, Bert Remsen, John Schuck, Louise Fletcher, Ann Latham
Titolo originale The Portrait of a Lady
Regia di Jane Campion
Con Nicole Kidman, John Malkovich, Barbara Hershey, Mary-Louise Parker
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