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Roma, 2 novembre 1975
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Roma, 2 novembre 1975

…quando scrivo poesia è per difendermi e lottare, compromettendomi, rinunciando a ogni mia antica dignità: appare così indifeso quel mio cuore elegiaco di cui ho vergogna e stanca e vitale riflette la mia lingua una fantasia di figlio che non sarà mai padre…
 
 
Carlo Bo: “Sono molto addolorato. Pasolini era un autentico poeta ed è stato uno degli interpreti più appassionati e acuti della tragedia italiana”.
Carlo Betocchi: “Penso al dolore di sua madre. Amavo Pasolini fin dal tempo della poesia friulana, della sua antologia dei poeti dialettali. Nel 1952, poverissimo, frequentava ogni tanto la mia povera casa di Roma. Era un ingegno fertile, sottile, di una eleganza nativa, ma non poteva tradire il cuore. Aveva un’onestà di fondo che sconfiggeva le malizie dell’artista. Ombre e luci si ferivano a vicenda in lui. Non esitava a dirlo. Era sincero. Lo rimpiango profondamente”.
Alberto Bevilacqua: “L’orrore di un omicidio, e di un omicidio così terrificante, si sintonizza immediatamente con l’oscura e atroce violenza che è sempre stata dentro l’enorme vitalità pasoliniana come un presentimento, o una maledizione contro cui avventarsi, o un segno della parte crudele di un dio. Ma questa atroce violenza attirava Pasolini, nel senso che lo attirava il rischio con cui, nel mondo-tenebra s’avventurava, spinto da una sete di guardare in faccia l’inferno. Ne aveva l’ancestrale sgomento di un miraggio. E ciò gli consentiva di conoscerlo, raffigurarlo, colpirlo. In fondo, intelligente e ipersensibile com’era, Pasolini non poteva non rendersi conto che una fine simile era prevedibile in quella tenebra. Mi auguro che non venga ricordato superficialmente tra i poeti maledetti. C’era in lui una vena candida e perfino ingenua, da magico rito agrario, direi la sua faccia solare che io ho conosciuto negli anni in cui ebbe vita la nostra amicizia, quando la provincia per lui era un forte richiamo. E poi nei nostri primi anni romani. La sua vitalità, il coraggio di pagare comunque di persona, sono esplosi in un dopoguerra spesso culturalmente colpevole di vigliaccheria, di ipocrita culto della faida e dell’intrigo, dove troppe volte la linfa mancante ha creduto e crede di ritrovare sostituzione nelle piccole beghe mentali. Io credo che la cosa più importante sia poter dire di un autore, al di là dei suoi stessi pregi e difetti, che è stato sinceramente vivo”.
Luchino Visconti: “Sono assolutamente sconvolto, molto impressionato e molto disgustato perché mi pare una cosa orrenda. Non ero particolarmente amico di Pasolini ma lo conoscevo, lo stimavo e lo ammiravo. La sua fine orrenda, di cui peraltro non conosco e non riesco a capire esattamente i termini, poteva avvenire solo in Italia, un Paese in cui ormai la violenza è ormai scatenata e priva di ogni controllo”.
Alberto Lattuada: “Sono impressionatissimo perché era un poeta e uno scrittore che incideva nella nostra vita con la sua personalità. Impressionatissimo non tanto per il delitto, perché ormai viviamo in mezzo ai delitti, ma perché è un delitto contro una voce vera e uno spirito indipendente come lui, contrario a qualsiasi conformismo”.
Giancarlo Vigorelli, ricordando l’ultimo incontro/scontro: “Era stato uno scontro e una riconciliazione affettuosissima. In poche parole un mese fa gli avevo detto che tutto quanto andava scrivendo contro la violenza, la perdita del sacro, l’involgarimento di ogni valore culturale e civile, rischiava di essere in parte smentito dalla sua vita, dal suo lavoro, soprattutto da certi suoi film. Lasciasse quindi Roma, rompesse con il cinema, si sottraesse al denaro e a certa mondanità: lo avevo visto piangere, disarmato come ai primi anni della sua Meglio gioventù quando mi faceva leggere i primi versi e io fui tra i pochi, allora, a credere in pieno nella sua poesia. Mi rispose che doveva accettare anche la propria dannazione e che ogni fuga poteva essere una diserzione o un privilegio, quindi una colpa. Mai come in quell’ultimo incontro, ebbi la riprova della sua onestà, anzi, della sua dannata religiosità. È morto un vero poeta e forse l’ultimo testimone pagante, in bene e in male, di questa nostra società letteraria, che così raramente paga di persona. Esasperatamente, paradossalmente Pier Paolo Pasolini era diventato in questi ultimi tempi una voce nel deserto su tanti problemi; ed erano in molti ormai a non tollerare più i suoi interventi, le sue confessioni in pubblico. Anche la sua morte atroce, infame, è una pubblica confessione. Senza veli. Era facile discutere e anche respingere certe sue idee ma era impossibile negarne l’innocenza, il disinteresse, la sincerità sino alla perdizione. Pasolini non ha mai accusato gli altri, senza accusare e processare per primo se stesso. Era l’unico puro della nostra letteratura, benché vissuto gomito a gomito fra tanti furbi e furbastri della cultura, del cinema, della politica”.
Cesare Zavattini: “Sono preso da un tremendo sconvolgimento. Abbiamo perso un grande uomo e un grande esempio di coraggio. Il suo bisogno di sapere le cose con gli indirizzi e con i nomi aveva instaurato un modo di agire che ci doveva trascinare tutti. È stato un esempio di quelle qualità di cui gli Italiani hanno estremo bisogno in questo particolare momento. La sua morte è una tragedia per l’Italia”.
Lina Wertmuller: “Abbiamo perduto forse l’intelligenza più lucida dell’Italia contemporanea. I suoi interventi civili avevano il raro pregio dell’analisi. Una perdita pesante, faccio fatica a credere che sia avvenuta casualmente”.
Michelangelo Antonioni: “Una delle notizie più sconvolgenti degli ultimi tempi anche perché si inserisce in un contesto che Pasolini cercava di definire: l’Italia di oggi, i giovani, le contraddizioni palesi. In fondo egli è vittima dei suoi stessi personaggi. Una tragedia perfetta prevista nei suoi diversi aspetti, senza sapere che un giorno avrebbe finito con il travolgerlo”.
Ninetto Davoli: “Parlava della violenza, diceva che oggi ha assunto una forma aberrante e sciocca, completamente assurda, e che anche nelle borgate romane la vita dei giovani, quella che lui tanto realisticamente aveva descritto, era cambiata, aveva lasciato ormai posto ad una mentalità arrivistica che la società capitalista aveva alimentato. Sembrava tranquillo, del tutto simile all’uomo, profondamente buono, che io ho conosciuto in tanti anni di amicizia. Nulla nella sua voce, nelle sue parole, nel suo comportamento mi ha fatto presagire quanto poche ore dopo gli è accaduto. Una sola frase mi ha colpito. Quando è giunto alla trattoria ha mormorato: è odiosa la gente, venendo qui ho camminato a lungo a testa bassa per non guardare nessuno negli occhi”.
 Umberto Eco“Quando ho sentito la notizia alla radio ho avuto un primo moto di rimorso: mesi fa, a proposito del suo articolo sull'aborto, lo avevo attaccato con cosciente cattiveria, e lui se ne era molto risentito, contrattaccando (una sola battuta nel corso di un'intervista) con altrettanta cattiveria. E al saperlo morto ammazzato, così bruttamente, ho avuto un sentimento di colpa, come se quei segni sul suo corpo fossero le tracce di un lungo linciaggio, a cui anch'io avevo preso parte.   Poi mi sono reso conto che non era quello il punto. Lottatore per vocazione, per rabbia e per baldanza, Pasolini l'attacco lo cercava, lo stimolava quando la reattività pubblica si assopiva, si sentiva vivo solo quando poteva dire: "Perché mi sparate addosso?".  
Lui sosteneva: la società mi lincia perché sono diverso, e certo il primo moto di ribellione gli era venuto dal sentirsi respinto ai margini per quella sua diversità sessuale che esponeva a tutti i venti con esasperata sincerità. Ma questa stessa sincerità lo aveva, per così dire, autorizzato a gestire pubblicamente la sua diversità. Certo, la società non perdona mai del tutto ai diversi, se non li punisce li ricatta con l'ironia, ma lui avrebbe almeno potuto sentirsi in fase di armistizio. E invece dall'esperienza originaria della diversità sessuale, gli era venuto l'altro impulso (forse più sublimato, o più socializzato, non so) a crearsi una situazione di diversità ad oltranza. Con un fiuto rabbioso per le posizioni impopolari. Una vocazione alla emarginazione, dunque, a dispetto del successo, anzi usando il successo come frombola per lanciare altre provocazioni che obbligassero gli altri a sparargli addosso. Un gioco pericoloso, sul filo della corda, dove le idee che metteva in questione contavano sino a un certo punto, talora erano tipiche scelte teatrali: il gioco del Bastian contrario. Si diceva una volta, per scherzo, che un giorno avrebbe affermato che i poveri sono cattivi per avere la soddisfazione di vedersi svillaneggiato da tutti: bene, lo ha fatto.  
Era qualcosa di più di una vocazione masochistica, qualcosa di più ambizioso e di più tragico: una mimesi mistica del Crocifisso, naturalmente a testa in giù, nella scia di quegli gnostici che asserivano che il Figlio per arrivare alla purificazione, avesse dovuto commettere tutti i peccati possibili. Se questo è vero, egli era l'ultima personificazione di un superomismo romantico, il poeta che vive di persona il proprio ideale estetico; salvo che l'esteta della decadenza incarnava sogni di gloria fastosa ed egli invece sogni di spaesamento e persecuzione; quindi se modello c'era, era Rimbaud e non D'Annunzio: anche nel successo egli aveva scelto di testimoniare l'emarginazione. La conoscenza primitiva della emarginazione sua e altrui lo aveva segnato per la vita, così che non poteva più rifiutarsi a questo gioco, anche se la società era disposta a integrarlo. Anche in questo è stato contraddittoriamente coerente, astuto come il serpente e candido come la colomba. Ciò che lo limita è semmai il fatto che avesse deciso di emarginarsi come testimone dei propri umori e non come portavoce di una coscienza collettiva. Di qui l'esito oggettivamente regressivo di certi suoi appelli eversivi: il confondere la società futura con una società "naturale", adolescente e incontaminata solo nei suoi ricordi privati. Che è poi il rischio del poeta quando presenta la memoria come utopia. Di qui le sue lucciole pauperistiche, i paradossi di un paternalismo preindustriale tutto sommato più "naturale" del consumismo tecnologico. Ma è che la violenza positiva del suo messaggio non stava nei contenuti, bensì negli effetti di cattiva coscienza che riusciva a produrre. Erano un pretesto per essere rintuzzato e testimoniare così che l'emarginazione esisteva ancora. Segno di contraddizione, il suo genio consisteva nell'impostare il gioco in modo che a contestarlo ci si cadeva dentro. Anche ora, dopo la sua morte. All'obiezione: "Sei morto come uno dei tuoi personaggi, non sei contento?", egli risponderebbe: "Sono morto, siete contenti?". E a dirgli: "Hai cercato di mostrarci che il mondo della borgata selvaggia del dopoguerra era più puro e mite di quello della borgata consumistica, e sei morto in un episodio da borgata all'antica", egli obietterebbe: "Parlavo della violenza di oggi e sono morto oggi, mi ha ucciso la vostra violenza che mi ha spinto a una ricerca impossibile".  
Allora, per uscire dal suo gioco, non resta che vedere se si può utilizzare la sua morte come lezione che non riguardi lui solo. Ci provo. Egli ci ha ripetuto che c'erano dei diversi respinti ai margini, e che non avremmo mai capito appieno la loro sofferenza. La sua morte ci ricorda che, per quanto rispettato dalla società, un diverso deve pur sempre tentare la sua ricerca in luoghi oscuri, dove c'è violenza, rabbia e paura (la stessa del ragazzetto che fugge come un pazzo sulla macchina della sua vittima). E se i diversi che hanno il coraggio di definirsi tali devono ancora rifugiarsi ai margini, come i diversi che hanno paura, questo significa che la società non ha ancora imparato ad accettare né gli uni né gli altri, anche se fa finta di sì.  
Certo Pasolini avrebbe potuto permettersi di vivere la sua diversità altrove che non alla macchia. Può darsi abbia voluto continuare a farlo per orgoglio. Ora ci impone un esame di coscienza fatto con umiltà."

(dichiarazioni tratte da "La Stampa", 3 novembre 1975, e da "L'Espresso", 9 novembre 1975)

(ultima intervista televisiva del 31/10/1975:  http://www.youtube.com/watch?v=w9Ef1y_OY-U)

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