Non si tratta di una play sui maestri della fotografia al cinema, in 7 posizioni probabilmente non riuscirei a fare una sintesi! Voglio invece elencare una serie di film in cui la fotografia è diretta protagonista della sceneggiatura. Ora che il voyeurismo va tanto di moda e gli obiettivi spuntano da dietro ogni siepe, ho un po' di nostalgia per i fotografi veri, quelli che hanno sete di realtà e necessità di immortalarla per non perderla.
Le foto possono sembrare qualcosa di morto, di statico, ma per Robin Williams, eclettico e straordinario interprete di questo originalissimo film, sono la vita. La macchina fotografica non conta, è impiegato presso una di quelle catene di fotografi da supermercato, che attualmente hanno il sapore di antiquariato. Quello che conta è immaginare di trovarsi non dietro, ma davanti a quell’obiettivo, di avere una famiglia da cartolina, di divertirsi coi propri figli: Sy si accontenta di una vita rubata, come un parassita sopravvive delle sostanze nutritive di altri esseri. Un ottimo film, che fa riflettere sulla necessità di vivere autenticamente la propria esistenza.
Forse il protagonista fotografo più celebre della storia del cinema, in uno dei più bei film di Antonioni: lui stesso dichiara di aver scritto la sceneggiatura interessato al “meccanismo delle fotografie”. Thomas è un fotografo di moda nella Londra anni ’60, che si imbatte in una donna immortalata in un parco insieme all’amante: per farsi dare le foto incriminate la donna lo cerca, mentre lui decide di investigare ingrandendo (da qui il titolo) i suoi scatti. In un film stranamente vivace nel montaggio rispetto ai canoni del regista, la critica è rivolta a chi non riesce a stabilire un legame profondo con la realtà riuscendo a comprenderla: probabilmente ci sono aspetti del reale impossibili da fotografare, da cogliere in un solo istante.
Anna è una fotografa di successo, specializzata in primi piani di soggetti estranei, che sta vivendo un periodo di grande solitudine e sconforto, e per questo si fa conquistare dall’uomo che dovrebbe solo immortalare su pellicola. Nel suo lavoro cerca di cogliere le espressioni più significative dei volti, è quasi una seduta di analisi in cui involontariamente emergono aspetti e sentimenti inconsci in un innocuo sguardo. Ma questo non basta, nella sua vita personale i rapporti sono molto più meschini ed oscuri…
Robert Kincaid è un fotografo del National Geographic, incaricato di immortalare i ponti coperti dell’Iowa; quale migliore immagine per dare un’idea della staticità del reale? I ponti, già da soli simbolo di stabilità sullo scorrere dell’acqua sottostante, si fissano sulla pellicola fotografica come silenziosi monumenti alla monotonia della vita quotidiana. Ma sarà proprio grazie a quel noioso lavoro che le certezze di Robert e Francesca saranno messe in discussione…
Susie riceve in regalo per il suo compleanno una macchina fotografica nuova e ben 25 rullini che riesce ad esaurire in pochi giorni: i genitori sono piuttosto irritati per la spesa dello sviluppo di tutte quelle foto (ah, le macchine digitali!), e allora Susie indispettita li accusa di considerare la creatività come un ostacolo. Nel futuro che il destino le negherà vorrebbe fare la fotografa, è affamata di scoperte e di natura, si sofferma sulla fisicità della realtà circostante e cerca di cogliere anche il continuo mutamento del suo corpo. Le foto sono un modo per contrastare la rapidità del flusso temporale, ma non riescono a bloccare la serie di tragici eventi che sconvolgeranno la vita di tutta la famiglia.
Con Alex Frost, Eric Deulen, John Robinson, Elias McConnell, Jordan Taylor
In una giornata come tante, un ragazzo cerca di immortalare i coetanei, come se questo fosse sufficiente a farne una radiografia, a comprenderne i pensieri. La fotografia è qui metafora di un modo di fare cinema, quello di un regista come Gus Van Sant: il suo intento non è giudicare, ma fotografare: solo con una macchina da presa o fotografica invisibile si può cercare di avvicinarsi ad una realtà che non comprendiamo, quella che porta due ragazzi a compiere una strage tra i compagni. Un film molto più intimista e personale del tanto osannato BOWLING A COLUMBINE.
La fotografia è qui protagonista in duplice veste: quella di Allen che come sempre riesce ad esaltare le ambientazioni dei suoi film, ma anche quella dei personaggi: è in una camera oscura che le due donne di Bardem sperimentano un bacio che ha fatto fin troppo discutere. Riguardo al primo aspetto, non sono d’accordo con chi critica l’intento “pubblicitario” con cui il regista presenta Barcellona, che deve essere la città solare e viva per eccellenza per poter sconvolgere gli equilibri delle due amiche in vacanza. Sulla scena della camera oscura, notare che si tratta dell’unico flashback del film, cosa piuttosto rara per Woody e per un film con voce narrante. La fotografia è qui un modo di dare sfogo alla propria creatività, esattamente come il viaggio a Barcellona, che serve a scardinare la routine di due giovani donne alla scoperta di sé e degli altri.
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