Con Cate Blanchett, Brad Pitt, Gael García Bernal, Mahima Chaudhry, Jamie McBride
Inarritu è uno dei più spudorati. Ogni fotogramma della sua filmografia autoptica e patinata è visceralmente intriso d'un determinismo oleoso, d'una vèrve predicatoria ed evangelica per cui ciò che non-vorresti-fosse-fatto-a-te si rende Verbo, allegorìa curiale, muffa e colpevolistica sentenziosità beghina.
"Una efficace trovata pubblicitaria per diffondere sentimenti antisemiti" (Trey Parker, parafrasato). "Un horror splatter cristo(il)logico partorito dalla pruriginosa mente di un essere umano a cui, personalmente, non lascerei in custodia un pesce rosso. Morto." (Dying Theatre, letterale)
Con Juliette Binoche, Matthew Modine, Forest Whitaker, Heather Graham, Stefania Rocca
Caso spinosissimo. Di un autore tra i più Grandi a cavallo dei due secoli, è una cosa senzaforma, poichè girata in fase d'etilismo depressivo. Dying Theatre (con birra in zaino) ad Abel Ferrara (con birra in mano), cerimoniere Silvano Agosti: "Ferrara, lei è tra i più grandi di sempre, ma come mai questa storiella così schematica di conversione-al-cristo-giacchè-esaurite-le-spinacine...? ci aveva abituati a ben di meglio..." e Ferrara: "you know... I mean... Chris Walken è di origini teutoniche e con Keitel è meno facile lavorare..." Dying Theatre: "sì ma... la conversione?" E lui mi fece rispondere dal MONTATORE... ch'era un raghezzo di 28 anni, appena uscito dal workshop di Sentieriselvaggi, ma almeno ci aveva le Converse.
Gran bel film, peccato per il moralismo evangelico di fondo... "non rubate il Fuoco agli Dei..." E pure qui, come in Inarritu, l'apologia della Colpa come motore dello spirito.
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