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ITALIA, POPOLO DI SANTI, POETI E DOPPIATORI...
di FABIO1971 ultimo aggiornamento
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ITALIA, POPOLO DI SANTI, POETI E DOPPIATORI...

"Werewolf!"
"Werewolf?"
"There"
"What?"
"There wolf, there castle"
[da Frankenstein Junior, 1974, di Mel Brooks, ovvero la versione originale di "Lupo ululì, castello ululà"...]

Siamo una colonia dell'Impero. Siamo poveri e stupidi, quindi non abbiamo capacità e denaro sufficienti per studiare ed imparare le lingue straniere. Siamo cresciuti cullati e coccolati nelle nostre visioni cinematografiche da chi, invece, le lingue straniere le ha studiate ed imparate. E pure molto bene. Anzi, molto più che bene, visto che questi signori, da quando esiste il cinema sonoro, ci hanno permesso di ascoltare quello che dicevano gli attori. Ci hanno fatto entrare, prendendoci per mano come bambini ai primi passi, nel Villaggio della Comunicazione Globalizzata quando ancora Marshall McLuhan era un semplice studentello canadese di ingegneria: perchè, si sa, l'Italia è la Culla della civiltà del linguaggio. E tutti, in tutto il mondo, devono parlare italiano. Quindi dobbiamo ringraziarli. Perchè dagli inizi degli anni Trenta ad oggi hanno fatto parlare in italiano chiunque abbia attraversato, da qualunque lido del globo, il Grande Schermo: "Garbo Talks!", strillavano i flani pubblicitari d'oltreoceano per pubblicizzare il primo film sonoro della Garbo. Ma da noi la Garbo non ha mai parlato con la sua voce. Ogni Divo che poteva fregiarsi gloriosamente di tale appellativo ha avuto la sua voce italiana: nomi (in rigoroso ordine alfabetico e, molti, di provenienza teatrale) come quelli di Gianfranco Bellini, Rosetta Calavetta, Paolo Canali, Carlo Cassola, Emilio Cigoli, Romolo Costa, Olinto Cristina, Gualtiero De Angelis, Lauro Gazzolo, Tina Lattanzi, Augusto Marcacci, Rina Morelli, Andreina Pagnani, Giulio Panicali, Sandro Ruffini, Lidia Simoneschi, Alberto Sordi, Wanda Tettoni, fino alle generazioni successive, ovvero a Ferruccio Amendola, Maria Pia Di Meo, Vittoria Febbi, Corrado Gaipa, Franco Latini, Pino Locchi, Anna Miserocchi, Glauco Onorato, Luigi Pavese, Cesare Polacco, Giuseppe Rinaldi, Carlo Romano, Mauro Zambuto, o, ancora, a Giampiero Albertini, Natale Ciravolo, Pino Colizzi, Carlo Croccolo, Antonio Guidi, Claudio Sorrentino (e l'elenco potrebbe proseguire ancora a lungo, fino ai Tonino Accolla e agli altri dei nostri giorni). E, quanto meno fino agli anni Settanta, ovvero fino al moltiplicarsi degli studi di doppiaggio ed al miglioramento della tecnologia, il risultato di questa attività aveva sempre costituito un binomio inscindibile con il termine "professionalità", quindi l'elenco di cui sopra è il giusto tributo a chi il proprio mestiere l'ha sempre svolto con ammirevole cura ed efficacia. Certo, ma consideriamo, ad esempio, un film qualsiasi degli anni Trenta (Questo mondo è meraviglioso, diretto da Woodbridge S. Van Dyke nel 1939, commediola giallo-rosa sulla falsariga di L'uomo ombra): il doppiaggio italiano di James Stewart e Claudette Colbert, infatti, è professionalmente impeccabile, ma allo stesso tempo deprimente nella traduzione dall'americano (Colbert che parla di "camerati" in luogo di amici, semplicemente perchè l'amicizia virile, concettualmente, in tempi di fascismo non poteva che essere cameratesca). Ed è solo un esempio a caso. Così siamo cresciuti nutrendo la nostra passione cinefila con quello che questi signori ci propinavano e credendo alla loro onestà intellettuale: per quale motivo avremmo dovuto dubitare degli esiti del loro lavoro quando le loro intenzioni (la perpetuazione dell'italico idioma come Linguaggio Universale, oltre che Ufficiale, del Cinema) erano così nobili? E, negli anni, ci siamo anche abituati, a tutto questo. Certo, qualche deprecabile eccezione c'è stata. Tipo chi, già negli anni Trenta, con l'assurda pretesa di esercitare l'insensata pratica della critica culturale, faceva notare l'incongruenza di questa nuova tendenza, adottata solo dalle nostre parti (e poco altrove). Ma ormai era troppo tardi. E gli italiani sono così cresciuti beatificando ai quattro venti l'indiscutibile esigenza del Doppiaggio. Sì, perchè questa pratica ha anche un nome, che ne ha poi introdotti altri ancora, nell'uso comune, tipo "versione originale". Sottintendendo che per ogni film realizzato al di fuori dal Belpaese dovesse necessariamente esistere l'apposita, scintillante, filologicamente corretta (e, quindi, migliore) versione italiana. E allora vediamole queste versioni italiane, analizziamole, cerchiamo di coglierne i pregi linguisticamente aulici e inequivocabilmente e tecnicamente perfetti che ne rendono essenziale la loro esistenza. Perchè altrimenti sembrerebbe che ce ne stiamo lamentando. O che magari, con snobismo ed ingratitudine, vorremmo insinuare che quella strana pratica cancerogena che già negli anni Cinquanta aveva iniziato a diffondersi alle proiezioni festivaliere o, più avanti, nei cineclub, luoghi di carbonara perdizione cine-linguistica, cioè di (udite, udite), VEDERE UN FILM IN LINGUA ORIGINALE E CON I SOTTOTITOLI, non sia altro che la fisiologica reazione del figlio contro il padre, cioè quell'adolescenziale rigetto verso le forme di ordine precostituito, scardinabili solo per il gusto di devastare quello che la sapienza e la saggezza degli avi avevano pazientemente codificato e perfezionato nel tempo. Eh sì, perchè se oggi qualche utente dal cospicuo tempo libero e dall'insana passione per il "vederci (anzi, sentirci...) chiaro" si prendesse la briga di esplorare quello che il web propone in merito a questa spinosa querelle, troverebbe soltanto, salvo qualche eccezione che ne conferma la regola, articolate e dotte argomentazioni sulla preferibilità dell'impiego del doppiaggio piuttosto che sulla pratica di sottotitolare i film (o il contrario): ognuno esponendo le proprie motivazioni, tutte validissime e rispettabilissime, ognuno perorando questa o quell'altra causa, ognuno argomentando, però, in nome di un'intoccabilità ed un'inattacabilità quasi storicistica dell'argomento perchè, oltre tutto, espressione del patrimonio culturale di una nazione. E se volessimo ribaltare le prospettive di questo discorso introduttivo sull'argomento basterebbe affermare, anzichè che gli italiani sono stupidi e poveri (e quindi non hanno denaro e capacità per studiare ed imparare altre lingue), che gli italiani sono un Popolo Superiore e pertanto è inammissibile vedere un film che non sia tradotto nel nostro idioma, storico e culturalmente imprescindibile rispetto a qualunque altro. In ogni caso, in qualunque modo vogliamo interpretarla, tutto si riduce alla fine, ad una questione di pigrizia: è faticoso leggere i sottotitoli ed essere adeguatamente liberi e concentrati sulla visione in se stessa. Come se gli italiani fossero capaci di guidare la macchina evitando semafori, traffico e pedoni mentre scrivono un sms al cellulare e contemporaneamente, magari, si fumano anche una sigaretta. Otto cose insieme si possono fare, leggere e contestualmente osservare/vedere/ammirare non sono possibili. Oppure, l'obiezione principe, quella capace di chiudere la questione perentoriamente: "Se volessi leggermi Guerra e Pace non lo leggerei mai in russo, preferendo una buona edizione italiana (con, magari, qualcuno più dotto aggiunge, una buona traduzione a fianco)". Come si può vedere, il discorso imbarca troppa acqua per poter continuare a galleggiare impunemente nel mare magnum della sottocultura di regime spacciata per identità culturale e consuetudine di una nazione. Perchè sottocultura di regime? Perchè tutto inizio così, è bene non dimenticarlo, e nei decenni si è evoluto con la stessa sottile, geometrica e spietata ineluttabilità del concetto di regime (e di sottocultura): la pratica del doppiaggio, infatti, coincise storicamente, in Italia, con il ventennio fascista. L'ideologia dell'epoca contribuì, quindi, in maniera fondamentale al radicamento nella popolazione del concetto di "cinema parlato in italiano" come unica e necessaria traduzione linguistica del cinema sonoro. Nel 1930, ad esempio, nei cinema italiani venivano proiettati solo film italiani o film muti, mentre per i film esteri sonori, vennero approntate delle speciali versioni mute con didascalie in italiano: per ovviare al problema, ad Hollywood si attrezzarono a produrre più tracce audio dello stesso film, in modo da renderlo più facilmente vendibile all'estero. Nel 1932 venne ufficialmente adottata la pratica del doppiaggio, anche perchè in Italia e Germania venne legiferato il divieto alla circolazione dei film in lingua originale; il resto è storia. Ma, tornando alla buona edizione di Guerra e Pace da preferire all'originale, chi è che ne stabilisce, appunto, la bontà della traduzione? Io che non capisco il russo? No di certo, ovviamente dobbiamo affidarci a qualcun altro, a chi ha studiato il russo, ad esempio, e ce lo traduce e ci permette di leggerlo. Quindi, in questo caso, la traduzione italiana è indispensabile. Ma, a parte il fatto che il Cinema non è propriamente Letteratura, perchè ad un film deve essere applicato lo stesso trattamento? Perchè il problema sta proprio qui, nella qualità di questa traduzione che ci viene imposta. E che noi spettatori siamo costretti quasi sempre ad accettare, salvo quando ci viene data la possibilità, sporadicamente, di esercitare il nostro libero arbitrio: ovvero, quando ci concedono la versione originale con sottotitoli in quel cinemino di periferia con le poltrone di legno sfondate (mica ovunque, è in ogni caso un privilegio concesso solo a qualche città, che cosa vi siete messi in testa tutti quanti?), oppure, in Tv, alle due di notte a Fuori Orario, altrimenti niente. O sul satellite. Oppure, infine, grazie ai dvd. Abbiamo, quindi, appurato che la necessità del doppiaggio di un film abbia tratto forza e ragion d'essere sia per ragioni politiche che sociali: ma se queste ragioni politiche e sociali avevano una certa logica in un periodo travagliato come quello del fascismo, della guerra mondiale e della lenta ricostruzione del dopoguerra, nel tempo, man mano che il progresso abbatteva le barriere dell'arretratezza, sarebbero dovute lentamente scomparire, in nome di una fruizione più rispettosa del mezzo filmico. Ed invece, come al solito, l'Italia, popolo di Santi, Poeti e Doppiatori disse NO. No al rispetto per l'opera d'arte. Perchè è vero che un'opera d'arte è patrimonio collettivo, ma non per questo, per renderla "leggibile" da chiunque, bisogna snaturarla e/o trasformarla. Come se qualcuno, di fronte alle astrusità apparentemente indecifrabili di una tela di Picasso, si possa liberamente produrre in uno spennellamento decifratorio dell'opera in questione per renderla maggiormente fruibile. L'avvento del dvd, poi, ha creato una nuova, sanguinosa piaga per le anime cinefile: il ridoppiaggio. Già avevamo faticato ad abituarci al primo, figurarsi sopportare un nuovo e, nella stragrande maggioranza dei casi, a dir poco penoso martirio. Ma, per giungere ad una conclusione, nonostante la necessità di approfondire maggiormente alcuni temi qui solo accennati o sfiorati nel divagare del discorso, il punto che a mio parere andrebbe focalizzato ed analizzato attentamente non va ricercato esclusivamente nella sciatteria del doppiaggio italiano (questa sì molto rara, trattandosi in genere di un lavoro coi fiocchi) ma, piuttosto, nella spaventosa e culturalmente raggelante arbitrarietà delle versioni italiane. Il nostro trasformare una serie Tv americana da ore 21 e pubblico adulto in un'innocua versione per bambini cerebrolesi da poter trasmettere a qualsiasi ora (un esempio? Friends). E così via, in un elenco sterminato. Sono tanti, infatti, decisamente troppi, i titoli che sarebbero potuti entrare di diritto in questa playlist: ho operato una minima scelta, esclusivamente simbolica. Ma se ne potrebbe discutere per giorni, perchè gli scempi sono tanti: il cinema di Eric Rohmer ne è un esempio di dolente evidenza, un cinema di dialoghi dalle mille sfumature tradotti in un unico, monocorde timbro sonoro (Il raggio verdeL'albero, il sindaco e la mediateca sono le sue prime vittime che mi vengono in mente). E poi, Il padrino, gli anime giapponesi, mutilati e stravolti nella trama e nel senso. E così via...

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