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Una missione per Film TV:RIVALUTARE TARKOVSKIJ
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Una missione per Film TV:RIVALUTARE TARKOVSKIJ

Spero tanto che questa mia playlist arrivi direttamente nella mani di chi decide le sorti di quello che ritengo essere un sito magnifico, seppur incline a riservare sempre qualche occasionale sorpresa “poco piacevole”. Naturalmente è capitato un po’ a tutti di trovarsi prima o poi in disaccordo con questa o quella recensione, giudicata ora troppo severa, ora troppo zelante ed entusiasta. Ma qui, in questo momento, stiamo parlando di tutt’altra cosa: perché un conto sono i gusti personali, un altro è trattare un artista sensazionale come Tarkovskij alla stregua di un regista da quattro soldi, quasi fosse un pezzente qualsiasi. Forse sto esagerando, ma, detto sinceramente, i giudizi espressi sui suoi film proprio non mi convincono. Premetto che finora ho visto solo quattro delle sue sette pellicole (otto, se consideriamo anche “Il rullo compressore e il violino”, che in realtà è un corto): si tratta, nell’ordine, di Solaris, Stalker, Andreij Rublev (o Rubliov), e Sacrificio. Ebbene, senza troppi fronzoli, sono dei dannatissimi Capolavori. Eccezionali, incomparabili, densi di significato, soprattutto. Eppure, che valutazione hanno ottenuto? La risposta è: buono. La stessa raccolta da “film” (ma per favore!) come Titanic, Ovosodo, Pulp Fiction e altre cagatelle del genere (avete sentito bene, il presunto masterpiece di Tarantino è in realtà una stronzata epocale, non ve n’eravate accorti?). Cioè, dico, MA STIAMO SCHERZANDO?!?! Quando vedo una cosa di questo tipo, non posso fare a meno di pensare due cose: o ‘sto regista è considerato tanto, tanto antipatico (e viene perciò punito così: ma allora la tanto decantata obiettività critica dov’è finita?), oppure dei suoi film non è stato capito un benemerito cazzo. Ora, io non voglio insultare nessuno, così come non m’arrogo certo il vanto di volervi insegnare il mestiere. Nient’affatto. Semplicemente, sono qui per chiedere un po’ di “giustizia” (parola forte, eh, nell’Italia di questi tempi?!). E lo farò cercando di spiegare perché, a mio avviso, si tratta di quattro pellicole incommensurabili, sperando di avviare quell’ inafferrabile chimera che è conosciuta come “critica costruttiva”. (Non che poi per un semplice voto me la prenda più di tanto: ma il fatto è che, seppure non interessa me, chissà quanti altri, notandolo, avranno pensato, e penseranno, che in fondo neanche vale la pena di vedere un film del genere. Niente di più errato, invece!). In ogni caso, trattandosi di un discorso ampio e articolato, preferisco affrontarlo con calma, film dopo film. Oggi, perciò, mi concentrerò innanzitutto su quella che, attualmente- non lo nascondo-, è la mia opera d’arte preferita, ossia parlerò di Stalker. Come già ho avuto modo di spiegare nella mia opinione a riguardo, molti, e complessi, sono i temi affrontati dal grande regista. Mi limiterò a indicarne i principali (altri ancora saranno rintracciabili nella già citata opinione). In primo luogo, Stalker si presenta come uno splendido racconto di formazione, la cui eccezionalità consiste nel fatto che lo spettatore stesso, seppur inconsapevolmente, è catapultato all’interno di questo percorso. E il bello è che, suo malgrado, non potrà uscirne indenne. Perché se nel film sembra succedere di tutto, mentre in realtà accade ben poco, in modo speculare, nello spettatore, sembra non dover succedere nulla, mentre in realtà accade di tutto. Di questo, tuttavia, possiamo rendercene conto solo alla conclusione (molto ardua, lo ammetto), se stiamo stati attenti allo svolgimento della trama. Mi spiego: il viaggio dei tre protagonisti (uno scrittore, uno scienziato, lo stalker, ossia la “guida furtiva”, equivalenti a tre diverse forme di conoscenza) è una disperata ricerca del senso della vita, di una speranza nell’esistenza di cui essi attualmente difettano, e che vorrebbero trovare nella famigerata “stanza dei desideri”, pronta a disposizione di chiunque abbia il coraggio, e la fede, di raggiungerla e varcarne la soglia. A fatica, i tre uomini percorrono la drammatica via. Lo stalker avverte i due compagni delle mille insidie che si annidano nella Zona: è impossibile tornare indietro, non si deve abbandonare il sentiero, non si può seguire la strada più breve perché essa è anche la più letale. In questo modo, Tarkovskij concorre a creare, nell’animo dello spettatore, il “mito” della pericolosità, della magia, della sacralità della Zona attraverso le parole stesse del protagonista. Eppure, neanche quando lo scrittore e lo scienziato sfidano apertamente le raccomandazioni della guida, accade nulla di strano. Tutto prosegue, come niente fosse. Tanto che quando i visitatori raggiungono infine la loro meta, la stanza dei desideri, si rifiutano di entrarvi, ne negano l’esistenza prima, addirittura l’utilità, poi. La scena è intensa e drammatica, l’esito dell’impresa ancor più tremendo e sconfortante: i tre tornano a casa sconfitti, e lo spettatore, carico delle liete aspettative che il film aveva precedentemente contribuito a creare in lui, deve abbandonarsi all’amara verità. Perché la speranza iniziale, l’anelito verso la ricerca di un possibile significato dell’esistenza, e la presunta sacralità della Zona, ne escono completamente sconfitte. Lo stalker, rientrato in casa, si dispera per la mancanza dei fede degli uomini, ma le sue sembrano più le parole di un pazzo, di un uomo in preda al delirio, tanto che la moglie lo fa teneramente accomodare a letto e lo accudisce sino a quando esso non si addormenta. Quindi si rivolge direttamente allo spettatore sentenziando una frase terribile: lui –il marito- “non è normale”. La confessione della donna si abbatte come un pesante macigno su ogni residua speranza sopravvissuta: la Zona, la stanza dei desideri, la felicità di chi vi ha potuto entrare, appaiono solo come una gigantesca invenzione della mente malata dello stalker. Eppure, proprio nel momento più triste e tragico dell’intera pellicola, la conclusione giunge incredibilmente a rovesciare (di nuovo) ciò che avevamo creduto in precedenza: la figlia del protagonista è sola in una stanza, intenta a scorrere innocentemente un libro. Lo posa sul tavolo, china la testa, fissa intensamente un bicchiere. Improvvisamente, senza essere sfiorato, quello comincia a muoversi, arriva all’orlo del tavolo, cade a terra e si sfracella. Nello stesso istante, esplodono le note immortali della 9° sinfonia di Beethoven , l”Inno alla gioia”. La sequenza finale acquista in questo modo un significato stupendo, abbagliante: la bambina, con i suoi poteri teelcinetici, è la testimonianza vivente che la magia, la miracolosità, la sacralità della Zona non sono solo semplici vaneggiamenti dello stalker, ma esistono davvero, anche se il cinismo e la mancanza di fede dell’odierna cultura occidentale (perfettamente incarnata dalle figure dello scienziato e dello scrittore) impediscono di credere in esse, di percepirle, di gioirne addirittura. Ecco allora che il film si trasforma in un feroce atto d’accusa contro la povertà spirituale del tempo attuale e degli uomini che lo vivono, sempre pronti a distruggere e a dubitare di ciò che non possono toccare e “capire” (ossia, classificare con le loro inadeguate categorie concettuali). Tarkovskij mette lo spettatore dinnanzi alla sua stessa incredulità: le aspettative iniziali, la sconsolante smentita successiva, il colpo di scena finale. Tutto concorre a sbatterci in faccia la nostra stessa pochezza d’animo, la nostra facilità nel DUBITARE DELL’ESITENZA DELLE COSE BELLE, il nostro cinismo, spietato deturpatore di ogni genuina fantasia. E così, quel percorso di formazione che non si realizza per i personaggi del film, può tuttavia completarsi in noi stessi, e completare noi stessi, se solo lo volessimo. A mio avviso, tutto ciò è bellissimo, e costituisce un risultato che non ho mai potuto riscontrare in altre pellicole. Ma le cose sorprendenti certo non finiscono qui. Vorrei infatti invitarvi a riflettere anche su un altro elemento molto significativo, ossia la meravigliosa associazione Zona- Vita. Si tratta dell’ennesimo colpo di genio del maestro russo, anzi, probabilmente è una delle intuizioni artistiche più suggestive di tutti i tempi. Pensiamoci bene: secondo le parole dello stesso stalker, la Zona “è forse un sistema molto complesso di trabocchetti, e sono tutti mortali. Non so cosa succeda qui, in assenza dell’uomo, ma appena arriva qualcuno, tutto si comincia a muovere...le vecchie trappole scompaiono, ne appaiono di nuove. Posti prima sicuri, diventano impraticabili. E il cammino si fa ora semplice e facile, ora intricato fino all’inverosimile. E’ la Zona. Forse a certi potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo.” In essa si può solo proseguire, mentre tornare indietro è impossibile. Cos’altro è, quindi, la Zona, se non una splendida, limpida metafora che riflette alla perfezione la condizione esistenziale degli uomini? La Zona è l’incarnazione delle nostre paure, delle nostre insicurezze, ma anche delle nostre fantasie e speranze, della nostra magia interiore. E’ l’incarnazione, pure, dei nostri fallimenti, come dimostra la mancanza di fede e coraggio che impedisce allo scienziato e allo scrittore di entrare nella stanza dei desideri dopo che hanno speso tanta fatica per arrivarvi e per ottenere quindi la felicità. Felicità che tutti gli individui cercano disperatamente, ma che ben pochi sono tuttavia disposti ad afferrare davvero scegliendo di abbandonarsi a ciò che non comprendono ma che può comunque illuminare la loro vita, come fa lo stalker. Che mai ha smesso di credere in quello che fa, che mai ha cercato di entrare nella famigerata stanza, perché la contemplazione stessa della Zona- cioè della Vita- già di per sé rappresenta la sua massima aspirazione, e la sua più grande gioia. Altrettanto indimenticabile è anche la rappresentazione cinematografica della Zona: l’enorme regione, colpita da un meteorite, è il regno incontrastato della Natura. Una Natura “contaminata”, cosparsa delle macerie di mezzi militari distrutti e abbandonati che in passato l’hanno violentata e sfigurata, ma sui quali ora crescono nuovi germogli, simbolo della vita che fiorisce anche sulla distruzione e la morte provocate dagli uomini. Il cielo eternamente plumbeo crea un fitto alone di irrazionalità e mistero, e lo scorrere impetuoso dell’acqua sul territorio dell’intero paesaggio esprime al meglio l’incanto e la freschezza dell’esistente. In una sola parola: Magnifico! Un altro aspetto chiave è la continua alternanza tra sequenze ora in bianco e nero, ora a colori, la quale costituisce chiaramente un altro strumento di interpretazione della pellicola: l’uso del b/n, infatti, si riferisce alle scene di vita quotidiana (all’inizio del film, prima che i protagonisti si addentrino nella Zona, ma anche dopo il loro fallimentare ritorno a casa), dove emerge tutta la frustrazione e la tristezza per un’esistenza amara e disperatamente sterile di emozioni e autenticità. Al contrario, le sequenze a colori si riferiscono tutte alla Zona (e alla conclusione finale con la bambina dai poteri telecinetici), a simboleggiare che solo accettando la speranza, la fede, la magia e i miracoli della vita, solo in questo modo la nostra esistenza può davvero acquisire un “colore”, un significato. Ma allora si può approfondire ulteriormente la penetrante critica che il regista rivolge non solo allo scetticismo e alla povertà d’animo del mondo attuale, ma anche, più in generale, al PESSIMO uso della razionalità che siamo soliti fare, in quanto trasmessoci (purtroppo) culturalmente. Un uso “fenomenico” per il quale capire significa esclusivamente classificare e ridurre l’esistente entro ristrette, inadeguate categorie concettuali, il che ci impedisce invece di accettare la complessità, la libertà, la superiorità di ciò che vive e ci circonda (il “noumeno”, se vogliamo), sbarrandoci l’ingresso verso la felicità, proprio come succede ai due protagonisti: lo scienziato, infatti, temendo tutto quello che non riesce a comprendere (la Zona, ossia la Vita), cerca di distruggerla, lo scrittore, invece , assuefatto dalle sue inutili sentenze “filosofiche”, ne nega l’utilità (peggio ancora!).Un ritratto tremendo dell’umanità, riscattato in ogni caso dalle figure assolutamente positive dello stalker e della figlia, manifestazioni dell’ennesima vittoria della Natura sulla Cultura, e della Spiritualità sulla Ragione (e sull’uso distruttivo che oggi ne facciamo. Dirà Tarkovskij in Sacrificio: “Usiamo il microscopio come fosse un manganello”). Un elemento altrettanto curioso consiste peraltro nel fatto che Stalker (così come Solaris), pur essendo a tutti gli effetti un film di fantascienza (ma su questo torneremo più avanti), si presenta ciò nondimeno come fortemente “antiscientifico”. Come già accennato, infatti, in Tarkovskij la scienza, madre della tecnologia e dello studio che l’uomo tenta di compiere, in modo oggettivo, nei confronti del mondo circostante, è accompagnata da un giudizio assolutamente sconfortante e negativo. Perché la scienza è appunto il simbolo di quell’uso “fenomenico” della razionalità con il quale pretendiamo di dominare l’ambiente esterno, violentando senza pietà ciò che si può controllare e sfruttare, e arrivando comunque a distruggere anche ciò che non capiamo, e che proprio per questo temiamo enormemente: non a caso, nel film, lo scienziato penetra fin dall’inizio nella Zona con l’intento di annientare la stanza dei desideri, per evitare che altri ne facciano cattivo uso (ma è forse migliore l’uso che ne fa lui?). Ed è proprio questo il problema: la scienza si appella sempre alla sua “oggettività”, alla nobile nozione di progresso, per giustificare tutti gli atti più biechi e inumani che vengono compiuti in suo nome. Ecco allora la soluzione che ci vorrebbe, spiega Tarkovskij: una scienza intrisa di "moralità", che sappia cioè RISPETTARE quello che studia, ancora prima di cercare di scomporlo e capirlo, una scienza fonte di vita e di speranza, anziché di morte e di violenza, una scienza, insomma, che per diventare tale deve abbandonare tutto quello che essa è attualmente. Non è certo un percorso facile, ma conoscerne la direzione è già un primo, fondamentale passo. Infine, e con questo vorrei chiudere, mi piacerebbe approfondire il tema che forse mi sta più a cuore, ossia quello relativo alla grande RIVOLUZIONE CONCETTUALE operata da Tarkovskij nel mondo della SF. Vari critici ed esperti del settore, infatti, asseriscono che Stalker (e, ancora una volta, lo stesso discorso vale pure per Solaris) non costituisce a pieno titolo un film di fantascienza, data la particolarità dei temi affrontati (il senso della vita, della fede, dell’arte). In realtà qui bisogna liberare il campo da un ingombrante pregiudizio, perché se effettivamente in precedenza mai nessuno si era cimentato con queste problematiche, è proprio con il geniale cineasta russo che cambiano completamente le regole del gioco, e che la fantascienza stessa si arricchisce, dotandosi degli strumenti che le permetteranno per la prima volta di intervenire in un nuovo, complesso e stimolante ambito dell’esistenza umana. Mi spiego meglio: la fantascienza, tradizionalmente, ha teso a configurarsi come un “ritratto dello spazio”, vista la sua propensione ad affrontare, sotto tutti possibili punti di vista, il tema del confronto-conflitto tra l’uomo e la Natura, intesa appunto come ambiente (spazio) circostante, sempre irto di sfide ed ostacoli (di esempi ce ne sono moltissimi: extraterrestri, vampiri, arbusti assassini, animali impazziti, disastri ecologici, dischi volanti, e chi più ne ha più ne metta). Tarkovskij, al contrario, rovescia completamente la situazione: egli fa della fantascienza un inedito “ritratto della coscienza”, concentrandosi su tematiche nuove e intimiste. Ma la cosa più bella e sorprendente, se ci pensiamo bene, è che in questo modo il grande artista russo riesce a superare la secolare, tremenda scissione baconiana tra IO e MONDO, facendo sì che spazio e coscienza possano finalmente riunirsi insieme (come avviene nella Zona-Vita, e come già in precedenza, in modo del tutto equivalente, era accaduto con l’oceano pensante di Solaris), e insieme costituire il nuovo campo d’indagine complessivo della rinnovata SF, cosicché essa, purificandosi, diventa la nuova dimensione dell’INTEGRITA’ UMANA (detto in tutta sincerità, non credo sia a tutt’oggi possibile rintracciare una rivoluzione altrettanto significativa e radicale nel mondo del cinema, e non solo…). Insomma, giunto alla conclusione di questa mia playlist (ammesso che qualcuno sia stato tanto autolesionista da leggerla dall’inizio alla fine!), senza più esibire la precedente vena polemica, vorrei schiettamente rinnovare a FilmTV l’invito a rivedere la valutazione di Stalker. A mio avviso, la visione di un’opera di Tarkovskij va presa un po’ come la lettura dell’Alighieri: la complessità delle loro creazioni può renderne difficile la comprensione e il godimento, ma, analizzandole con cura e attenzione, non si può non notare quanto sia grande e importante il messaggio che ci consegnano, anche a distanza di tempo. Si potranno pure trovare decine e decine di opere più piacevoli, ma nessuna può neanche lontanamente avvicinarsi all’IMMENSO significato di queste vette artistiche. Dai: se avete dato ottimo a Il dottor Stranamore (per carità, bel film), non vedo perchè non possiate dare la medesima valutazione anche a Stalker, no?! Inoltre vorrei consigliare a tutti coloro che stanno ancora leggendo di correre a vedere o rivedere questo capolavoro: è troppo bello per non poterne gioire una volta di più. Naturalmente, se qualcuno avesse altro da aggiungere, oppure qualche appunto da fare, ogni possibile comunicazione non potrà che risultare graditissima, compresa, è ovvio, l’eventuale (inevitabile?) replica del nostro paterno-fraterno gestore. Ci sentiamo alla prossima “difesa”. May the Zone be with you!

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