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Pasolini: Il concetto della Ricotta
di Utente rimosso (maxcalifornia) ultimo aggiornamento
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Pasolini: Il concetto della Ricotta

La ricotta di Pier Paolo Pasolini è uno dei rarissimi capolavori del cinema mondiale perché oltre ad essere un film poetico è un corto parecchio provocante e filosofico perché si può assistere alle scelte ideologiche di Pasolini. Ora partiamo con la trama di questo straordinario cortometraggio pasoliniano. Stracci un uomo di periferia che fa come comparsa interpretando la parte del ladrone buono in un film sulla Passione di Cristo diretto da un pretenzioso regista (impersonato da uno strepitoso Orson Welles) che si autodefinisce marxista ortodosso. Egli sta girando su un enorme campo della zona periferica di Roma, Stracci è un sottoproletario perennemente affamato. La scena è piena di numerosi membri della troupe e di comparse, che in mezzo alla sacra scenografia, alcuni ancora in costume da santi, ballano un twist scatenato. Quando la sua povera famiglia di Stracci va a trovare sul set, Stracci dona a loro il cestino del pranzo che gli spetta in quanto attore per consentirgli di consumare un misero pasto in mezzo al prato, che assume il valore di una vera e propria eucaristia. Per non saltare il pasto, Stracci, approfittando della confusione del momento di pausa, si traveste da donna e riesce a procurarsi un nuovo cestino dalla produzione. Con infantile entusiasmo si accinge quindi a mangiarlo, al riparo da tutti, in una piccola grotta poco lontano dal set. Ma dal set Stracci sente l'ordine di presentarsi in scena, e Stracci a malincuore è costretto ad abbandonare il suo cestino dietro un sasso. Quando torna, trova che il cagnolino della prima attrice del film ha divorato tutto il contenuto del suo cestino. Stracci, sconfortato, piange a grandi lacrime come un bambino, e nella disperazione rimprovera il cane accusandolo di voler essere meglio di lui perché è il cane è padrone della prima attrice del film che una miliardaria. Nel frattempo sul set giunge la visita importuna e inattesa di un giornalista di "Teglie sera", che con fare deferente e complimentoso avvicina il regista per un'intervista. Il regista risponde alle sue domande piene di retorico buonsenso di "uomo medio" con una feroce e beffarda ironia intellettuale, che il cronista non è neppure in grado di cogliere. Dopodichè il regista recita una poesia davanti allo spaesato e confuso giornalista, e con fermo cinismo gli spiega perché, secondo la sua ottica "marxista", lui semplicemente "non esiste". Il giornalista, frastornato, se ne va dal set, e incontra Stracci che, nei pressi della grotta, accarezza il cane della prima attrice. Notato l'insistente interessamento del giornalista per il cane, Stracci glielo vende per mille lire, ripagandosi così del maltolto. Appena concluso l'affare Stracci si precipita a comprare un gigantesco pezzo di ricotta, con l'intenzione di ingurgitarlo al riparo da tutti. Ma proprio mentre sta per cominciare il pasto, il "ladrone buono" è richiamato sul set dal megafono. Così, Stracci, lasciata la ricotta nella sua grotta, viene legato sulla croce, e nell'attesa che sia pronto il set, assiste a un improvvisato strip-tease di una rubiconda attrice vestita da santa, mentre viene stuzzicato sulla sua fame dai membri della troupe. Quando tutto è pronto, la prima attrice pretende di girare subito la sua scena, e la scenografia viene di nuovo smontata, per lasciare spazio alle interminabili riprese di un tableau vivant che riproduce la “Deposizione del Pontormo”. Finalmente Stracci può tornare nella grotta a mangiare la sua ricotta. Mentre mangia con un maiale, altre comparse e alcuni tecnici si mettono a ridere per il suo grottesco pranzo primitivo, lo fanno cibare dei resti della scena dell'ultima cena, ormai già girata, quindi roba scaduta. Stracci, in mezzo alle risa dell'improvvisato pubblico, mangia ogni sorta di cibarie senza battere ciglio. Nel frattempo, sul set arriva il produttore seguito dal drappello della stampa specialistica: il gruppo assisterà alle riprese della scena della crocifissione della morte di Cristo, nella quale Stracci ha addirittura una battuta: "Quando sarai nel regno dei cieli, ricordati di me". Al grido di "azione!" del regista, però, la scena non parte: Stracci, infatti, è morto di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione e con molta crudeltà, commenta: "Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo...". All’inizio del film c’è una importante prefazione scritta da Pier Paolo Pasolini "Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di far credere che l'oggetto della mia polemica sono la storia e quei testi di cui essi ipocritamente si ritengono i difensori. Niente affatto: a scanso di equivoci di ogni genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e che i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti. Questo grande capolavoro di Pasolini voglio notare alcuni fatti che meritano di essere ricordate perchè sono frutti di una grande ricchezza culturale che Pasolini ha concepito: – le citazioni figurative (l'accostamento alla pala d'altare del Pontormo); – alcuni richiami comici che ha inserito nel film (ovvero le sequenze accelerate sia nelle immagini sia nella musica ricordano i film muti di Charlie Chaplin, un personaggio amatissimo da Pasolini che verrà nuovamente utilizzato nella trilogia comica: “Uccellacci e uccellini”, “Che cosa sono le nuvole” e “La terra vista dalla Luna” interpretati dalla coppia Totò e Ninetto Davoli); – l'utilizzo sempre sapiente della musica: un Dies Irae particolarmente arcaico, un "Sempre libera degg'io" dalla Traviata di Verdi. – titolo particolarmente significativo solo se si considera l'effetto grado di libertà dei figuranti e di Stracci, il protagonista che recita la parte del Ladrone buono. Intanto si sa benissimo che “La ricotta” è il terzo film di Pasolini che affronta una volta privilegiando una storia che tratta il tema degli emarginati della società, il mondo del sottoproletario. Tutte le comparse, i generici, i figuranti del "film nel film" la cui storia viene narrata (e che rappresenta la Passione di Cristo) sono degli uomini di borgata ovvero “uomini morti di fame” in senso letterale, come ci dirà lo stesso Pasolini attraverso “la grande abbuffata” di ricotta rappresentata alla fine del film e della vita stessa di Stracci. Ma bisogna evidenziare la presenza della classe borghese nella parte finale del film, nei panni rozzi e volgari del produttore e del suo mondo. E viene anche "messa in scena" l'"integrazione sociale" cui sembra essere pervenuto il regista "marxista" interpretato da uno strepitoso e sadicissimo Orson Welles. Come sempre il film fu sequestrato con l'imputazione di "vilipendio alla religione di Stato" e di conseguenza il film subì un processo costringendo a Pasolini di effettuare alcune modifiche ovvero fare alcuni tagli e cambiare alcune battute: 1. le tre ripetizioni de "la corona!", 2. lo spogliarello della generica che interpreta la Maddalena, 3. la risata dell'attore generico che interpreta Cristo; 4. si sostituisce la battuta dell’ordine “via i crocefissi!” con “fare l'altra scena!”, 5. l'espressione “cornuti” con “che peccato”, 6. la frase finale pronunciata da Orson Welles: “Povero Stracci! Crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione” con "Povero Stracci! crepare, non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo!” Per fortuna nel maggio del 1964 la Corte d'appello di Roma, accogliendo il ricorso di Pasolini, assolverà il regista perché il fatto non costituisce reato. Il motivo di questo processo è che Pasolini aveva diretto questo film facendo un vero attacco frontale nei confronti della borghesia e questo era il motivo vero che scatenò ancora una ennesimo atto polemico e controverso nei suoi confronti. Il senso di questo attacco è contenuto essenzialmente nelle parole qui sotto riportate, pronunciate dal regista interpretato da Orson Welles e dirette al giornalista che gli chiede una intervista: GIORNALISTA: “Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?” REGISTA: “Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo.” GIORNALISTA: “Che cosa ne pensa della società italiana?” REGISTA: “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa.” GIORNALISTA: “Che cosa ne pensa della morte?” REGISTA: “Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.” Finita l’intervista il giornalista se ne va dopo aver salutato elegantemente ma il regista lo chiama con un tono pacifico: “Ehi…(con uno sguardo penetrante)…“Io sono una forza del Passato”. Il giornalista, con la faccia perplessa, ascolta le parole di questo marxista. Il regista, sospirando, spiega che è una poesia di un poeta…e a questo punto si capisce che si parla di Pasolini. Il regista si mette finalmente a leggere la poesia scritta da Pasolini: Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io assisto, per privilegio d’anagrafe, dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più. Il regista dopo aver letto la poesia, tenendo tra le mani il libro “Mamma Roma”, dice infine al giornalista di ‘Teglie sera’ che sta ridendo: “Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: ma lei non sa che cos’è un uomo medio! Un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista!...Tanto lei non esiste... Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione... e il produttore del mio film è anche il padrone del suo giornale... Addio”. Questi sono i versi più belli e riflessivi di tutta la filmografia pasoliniana, della storia del cinema e della cultura sociale. Grazie Pier Paolo.

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