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Cu nasce tonno un puo mòrere pisci spada
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Cu nasce tonno un puo mòrere pisci spada

Se fossi un uomo potrei venire sotto la tua finestra chiamarti giù e prenderti a pugni ma purtroppo la severa discriminante tra sessi impone che io ti lasci dire con quella cavalleresca nonchalance che contraddistingue il signore messo alle strette dalla pescivendola, sicché parla, parla, parla e ripeti, dai di volta a questa manovella ingrippata che hai nella testa che hai nel cervelletto, parlaci delle offese subite, dei torti senza giustizia, delle invasioni del tuo privato e del pubblico ludibrio cui ti sottoponi da solo senza lasciarti via di fuga. Parlami ancora come dicevano i Kina, non risparmiarci neanche una sillaba del delirio di vuoto interiore, della discarica di pesierucci pensierini pensieracci che fanno su e giù come i topi sulla scaletta dell’ammaestratore, senza neanche la dignità di una curva, di un dietrofront, senza potersi neppure avvitare su di sé o consentirsi uno scarto, un ripensamento, anzi ripensamento lo sono, riscaldo della stessa brodaglia infame con molta acqua e dado e poche proteine. Parlaci ancora perché così stai meglio, che io sono al balcone che mi faccio radere le basette al sole di Bagheria, con i miei cani da caccia e le mie donne che sprimacciano i cuscini su letti di ferro battuto, questo terrazzino inondato di luce con le balaustre gonfie come vele barocche al vento e gli stivali lustri che riflettono i raggi. Parlaci, che hai da dire? Che ti hanno fatto, ti hanno rubato due galline, una giumenta, non hai più di che vivere, ti hanno deviato il corso dell’unico ruscello che bagnava il tuo podere, quella mezza salma di roba senza semenza che hai pomposamente chiamato “Orgoglio”? Che è successo, che non sai contenere l’invidia per questo paese calmo, senza fretta, accidioso di fichi d’india e zuccherino, cosa ti fa urlare tutti i giorni da mattina a sera che ti è stato sottratto qualcosa, che vai cercando a casa d’altri e metti sottosopra aia fienile e falegnameria? Che vai facendo, che togli il martello di mano al carpentiere e gli vuoi comandare come si ferra una cavalla? Chi vuoi chiamare in aiuto, di chi vuoi la testimonianza che lo sanno tutti che sei andato di notte a sporcare di carbone i muretti a secco dei vicini? Io, con questi occhi, all’ora del caffè ho visto. Mentre me ne andavo a cavallo per l’erta ho letto come al cinematografo su quelle pietre al sole, un passo del cavallo un’oscenità, un passo un’oscenità, che alla fine me ne sono dovuto andare al trotto per non leggere fino in fondo tanto erano infami le insinuazioni sul finitimo e su sua moglie e sulle figlie sue. Adesso vieni qui a chiedermi di dire che so, che ti è stato rubato un pollo, un mestolo di rame, e strepiti, pure, che sono un mafioso. Un mafioso, io. Perché non ti aiuto a mandare in galera un poveraccio che ti ha restituito il torto. Stai nel cortile di casa mia, con quel somaro spelacchiato, ad urlare e berciare come un babuino senza pudore che ci sono le bambine che giocano, i ragazzi che studiano, mia sorella che prega. Lo so cosa sei venuto a cercare, speri che ti spari a grani di sale per poterti andare a lamentare dal podestà, ma questa soddisfazione non te la do io e non te la darà nessuno. Amunì, tirateci du soldi di fichi secchi e quattro olive.

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