Regia di Martin Brest vedi scheda film
Da molti è stato bollato come l'archetipo del film fracassone made in USA. Da altri è invece ricordato come il trampolino di lancio di un comico di razza quale Eddy Murphy.
Ma "Beverly Hills cop", pur non essendo un capolavoro nel senso più puro del termine, è senza dubbio uno dei film simbolo degli anni '80, se non altro perchè segna una "rottura" rispetto al passato.
Il film di Brest ha infatti tracciato un solco indelebile che lo porta a distanziarsi dai canoni e dagli snodi narrativi tipici del poliziesco classico, assimilabile ai vari Callaghan ed epigoni.
Se fino agli anni '70 l'asse portante del genere era da rintracciarsi nella marcata (e spesso iperrealista) violenza e nella figura dell'eroe-giustiziere che finge di accettare le regole del sistema per poi perseguire, in violazione delle stesse, i propri scopi, ora lo stesso è modellato su quelle che sono le nuove esigenze del pubblico pagante. E quindi avremo battute a raffica che stemperano le dosi massicce di sangue e pallottole, una colonna sonora martellante condita di successi pop/rock dell'epoca, combattimenti ipercinetici e ad alto tasso di spettacolarità, cattivi che non fanno più paura ma risultano soltanto macchiette pronte a essere sbeffeggiate.
Una formula vincente che ha reso la pellicola una fonte di ispirazione per un certo tipo di cinema tanto in voga negli anni' 80 e '90; cinema redditizio ad uso e consumo del box office, che non sarebbe mai emerso senza il contributo determinante di due personalità: da una parte il duo di produttori Don Simpson e Jerry Bruckheimer, futuri re dell'action hollywoodiano; dall'altra Eddy Murphy, che con la sua comicità logorroica e nevrotica si prende sulle spalle la storia portandola verso vette insperate. Facendoci pure dimenticare anche alcune pecche quali una certa schematicità/semplicità dell'intreccio e uno scarso approfondimento delle psicologie. Quando si dice "potere della risata".
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