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Novecento atto I

Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film

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La recensione su Novecento atto I

di luisasalvi
8 stelle

Rivisto, ci è piaciuto di più: pagine che mi erano parse lente o troppo estetizzanti ora mi paiono misurate. Poca la retorica o gli estetismi gratuiti; quella finale è "dovuta", e attenuata dalla consapevolezza, chiara anche nei protagonisti, che è illusoria.  Accuse da destra, di essere un film celebrativo contro i padroni; ma è difficile dimenticare lo stato di sfruttamento dei contadini a quel tempo (che non era medioevo, ma solo pochi decenni fa, come ricorda Olmo): la "chiave antipadronale" non è nella descrizione ma nei fatti; tuttavia il film cerca di cogliere le ragioni di entrambe le parti, e le vicende giovanili suscitano simpatie alterne, e forse più spesso per Alfredo, timido e educato, che cresce dietro l'irraggiungibile modello di Olmo (come accade spesso ai bimbi "ben educati" che fanno amicizia con ragazzi del popolo, più "maturi" e più abili). Le prepotenze sono insite nella condizione di "padrone", indipendentemente dal carattere dei singoli, dal vecchio patriarca che impone ai contadini di bere alla salute del neonato Alfredo o alla ragazzina di mungere fuori orario per guardarle le gambe e poi averne altri servizi (molto "vera" la reazione di lei, che protesta per la richiesta di mungere fuori orario, ma non a quelle successive) al figlio che dimezza gli stipendi quando i raccolti sono danneggiati dalla pioggia. Non è "schematica" la rappresentazione delle violenze fasciste, ma lo erano e lo sono quelle, ottuse ancora oggi, nei molti nostalgici e nei loro difensori. Ovvio che anche costoro possono mostrare un lato umano a chi li conosce intimamente; ma coglierne questo aspetto in un affresco storico sarebbe davvero gratuito e falsante: Bertolucci stesso ha descritto in altri film aspetti ambigui di fascismo e antifascismo, e in questo ha sottolineato cause e responsabilità di altri, ma resta il fatto oggettivo della gratuita e inumana violenza fascista, ben rappresentata nella "esemplare" scena in cui Attila ammazza a testate un gatto "innocente" ed ottiene il plauso dei benpensanti proprietari che vedono in pericolo i loro privilegi e approvano la violenza che li difende: la protesta antifascista nella classe padronale è dettata troppo spesso solo da aristocratico disprezzo per la volgarità, mentre la maggior parte dei proprietari la approva per meschini interessi anche vedendola nelle sue manifestazioni più bestiali, inutili, morbose; i preti li appoggiano o non vi si oppongono per paura. Il quadro è quello. I milioni di benpensanti che "non farebbero male ad una mosca" e che ora difendono i loro padri fascisti o simpatizzanti innocenti sono come Alfredo, che accetta per ignavia e alla fine ripete di non aver mai fatto male a nessuno, e che riceve dal fascista Attila formale rispetto e sostanziale disprezzo (peraltro reciproco).  Inevitabile, in un film così, valutare in base alla resa storica e quindi anche in base a "pregiudizi" politici; ma non è trionfalistico e le pagine che appaiono "retoriche" ai nostalgici sono trasfigurazioni epiche o simboliche, in fondo amare e tutt'altro che retoriche, che esprimono bene le illusioni di un momento, subito frustrate: il pianto del ragazzino Achille cui hanno tolto il fucile con cui aveva catturato il padrone esprime bene le delusioni, ma anche le ingenuità e illusioni della resistenza e l'inevitabile normalizzazione che l'ha seguita.

Rivisto dopo un decennio, condivido quanto ne ho scritto, ma aggiungo un fastidio crescente (soprattutto dopo Io ballo da sola, per me insopportabile) per i troppi e troppo compiaciuti incontri erotici di ogni tipo di cui non vedo altro motivo (neppure di cassetta) se non di ossesssioni erotiche del regista, e visto che con il burro dell'ultimo tango si era fatto un nome. La seconda parte è spesso molto violenta, ma lo erano i tempi, e vanno denunciati. A volte un po' lento e forse compiaciuto.

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