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Atlantic City, U.S.A.

Regia di Louis Malle vedi scheda film

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La recensione su Atlantic City, U.S.A.

di maurizio73
8 stelle

Anziano e mite tirapiedi di un defunto boss della mala di Atlantic City vive insieme alla vedova del suo ex capo con cui conduce, nel modesto  appartamento di uno squallido edificio residenziale, un menage dimesso e anonimo. Quando un suo giovane coinquilino, trasferitosi in città da una remota località di provincia, lo coinvolge nel redditizio spaccio di modesti quantitativi di droga si presta ad aiutarlo effettuando la prima consegna e continuando anche dopo l'uccisione del giovane per un regolamento di conti. Finisce così per conoscere e fuggire insieme  alla moglie di quest'ultimo, giovane cameriera e aspirante croupier in un Casinò della città, che difende dalle attenzioni moleste dei killer del marito. Finale ironico e conciliante.
Luis Malle nella sua fortunata trasferta yankee omaggia, con nostalgico sberleffo, il cinema di genere americano rivisitandone, con garbo ed amaro sarcasmo, forme e luoghi comuni in questa mesta ed elegante commedia 'noir' che riflette sul tramonto inesorabile di un'epoca e dei suoi patetici protagonisti, tra la violenza e le contraddizioni di una civiltà del denaro come inesorabile e squallida deriva del sogno americano. Impostasto sul doppio binario tra un impietoso confronto generazionale (tra i codici d'onore di una malavita vetusta ed elegante e la spregiudicata emergenza di una criminalità rampante e meschina) e l'improbabile ritorno di fiamma di una sopita e attempata virilità, si ricorda l'America (e il cinema) di ieri e quella di oggi in una girandola di relazioni e ambizioni, di desideri senili e sogni giovanili sullo sfondo di una città atlantica plumbea e dimessa che riluce dell'opaco scintillio di una decadente capitale orientale del gioco d'azzardo.
Intriso del formalismo accattivante di una Nouvelle Vogue da esportazione (con tanto di citazioni cinefile da 'piccolo schermo' e l'esuberanza iconoclasta dei personaggi), il regista francese finisce per confezionare un film che codifica secondo un gusto molto europeo gli stereotipi propri del cinema americano, ribaltandone l'assunto nel risibile riscatto di un pavido e attempato tirapiedi (un Burt Lancaster dal fascino dimesso e gentile) e nel mesto epilogo di un finale inconcludente tra fughe giovanili (verso la Francia?) e senili ritorni a casa, di titoli di coda che scorrono simbolicamente sullo sfondo scenografico di un vecchio palazzo in demolizione, sul definitivo tramonto dell'America che fu. Sembra un film americano ma non lo è, piuttosto una sua dissimulata replica autoriale (non a caso una produzione Franco-Canadese). Burt Lancaster è come il buon vino, invecchiando migliora. Spigliata e sensuale la giovane Susan Sarandon già lanciata da Malle nel suo 'Pretty Baby' del 1978. Vincitore del Leone d'oro alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e conservato nel 'National Film Registry' della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

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