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La ragazza che sapeva troppo

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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La recensione su La ragazza che sapeva troppo

di mm40
6 stelle

Novanta minuti strepitosi, di pura azione, suspence alle stelle, intrighi insondabili e con una trama che a definire cervellotica la si sta soltanto sminuendo: non è certo per caso che La ragazza che sapeva troppo viene elogiato ricordandolo come primo 'giallo all'italiana'. E' il primo lavoro che mostra appieno le qualità di un regista dall'occhio attento (proveniente dalla fotografia, che curava personalmente in ogni suo lavoro) come Bava, che collabora anche, con Franco Prosperi e Mino Guerrini, alla sceneggiatura di Ennio De Concini, Enzo Corbucci (qualche parentela con i fratelli omonimi?) ed Eliana De Sabata. La mole (e la qualità) dei nomi impiegati in fase di scrittura ripaga il prodotto con un surplus di situazioni intricate, misteri, personaggi che entrano ed escono dalla trama; il vero colpo di genio di tutto il film è però il saper mantenere perennemente in sospeso, in bilico fra realtà e sogno, tutto quanto Bava sta raccontando (il 'colpo di scena', chiamiamolo così, di chiusura è soltanto la ciliegina sulla torta, un fiocchetto ironico che sigilla la lodevole confezione di questo lavoro). Fra esterni cupi (complice il bianco e nero della pellicola) e interni in penombra, la tensione di La ragazza che sapeva troppo - titolo che palesemente omaggia Hitchcock - è costante e altissima; di Hitchcock a dire il vero si ravvisa ben poco, se non, verso il finale, l'utilizzo del meccanismo del 'falso colpevole', attorno al quale però il Maestro inglese costruiva interi lavori: qui Bava si limita a usare l'espediente solo per depistare un po' lo spettatore e destabilizzare ulteriormente la sua percezione delle vicende narrate. Forse in effetti la quantità di colpi a effetto, di sorprese imprevedibili finisce per appesantire la pellicola anzichè renderla più gustosa; c'è però da dire che la maniera in cui il regista porta avanti il racconto, anche grazie alla voce esterna narrante, è assolutamente godibile. Sempre un po' troppo sopra le righe la recitazione della quasi esordiente Leticia Roman (italianissima: il suo vero nome è infatti Letizia Novarese), che in quei mesi recitava anche per Damiano Damiani (La rimpatriata) e Pasquale Festa Campanile / Massimo Franciosa (Un tentativo sentimentale), per approdare l'anno seguente a Fanny Hill di nientemeno che Russ Meyer. Saxon era invece già piuttosto noto a Hollywood (aveva lavorato con Cukor, Minnelli, Huston) e anche a Cinecittà (Agostino di Bolognini); ruolo laterale, ma fondamentale nella storia, per Valentina Cortese. Belle musiche cariche di pathos di Roberto Nicolosi, Celentano canta una sua hit minore (Furore) sui titoli di testa. 7/10.

Sulla trama

Nora, ventenne americana, va a Roma in vacanza, ospite di un'anziana amica di famiglia. Quest'ultima ha un malore fatale la sera del suo arrivo e per giunta Nora viene aggredita e derubata per strada, poco prima di assistere a un omicidio. Un medico che le presta cura la aiuterà a risalire a un serial killer detto l'assassino dell'alfabeto, perchè uccide vittime i cui cognomi sono ordinati in serie alfabetica.

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