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La zona morta

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su La zona morta

di PompiereFI
6 stelle

John “Johnny” Smith è un professore di liceo innamorato di una sua collega. Giovane, in salute, e profondo conoscitore del proprio mestiere, John è vittima di un incidente automobilistico (“Dio gli lancia contro un camion a 18 ruote”) che lo costringe a vegetare in coma in un letto d’ospedale. Trascorsi alcuni anni l’insegnante si risveglia e trova che molte cose sono cambiate. La calma e l’incoscienza del sonno profondo vengono destati da spaventose visioni premonitrici.

 

Ciò che John riceve al termine del suo calvario è un dono o una disgrazia? Si è trasformato in angelo o diavolo? Il “regalo” lasciatogli dal coma (facoltà paranormali non spiegabili scientificamente) è un’opportunità un po’ fumosa ed esibizionista, a uso e consumo dello spettatore; giusto per mostrare qualcosa di spettacolare ed eccezionale, per stupire e non approfondire; estasi senza tormento; ricamo speculatorio che poco aggiunge alla narrazione.

La ricerca di una descrizione tormentata all’interno del dramma esistenziale non è troppo intensa, chiusa in un ambiente tetro nonostante i paesaggi mezzo innevati, terribilmente sterile (ed è in questo aggettivo che si riconosce la mano di Cronenberg) e provvista di alcune preveggenze narrative trascurabili (leggi l’avventura pomeridiana sull’ottovolante con mal di testa e scompenso neurologico annesso).

 

Al di là del tormento privato che pervade la quotidianità di John, non bisogna dimenticare la condanna che egli ha ricevuto per essere rimasto senza amore, quello che avrebbe potuto/dovuto salvare la sua vita e la sua anima. Possiamo allora affermare che si tratta di un film sul crudele destino che colpisce due spasimanti? Tutto sommato non si avverte sufficiente sentimento per definirlo così, tanto da giustificare abbracci, amplessi tardivi, facce pallide e occhi lustri. Poco verosimile per poter creare una tensione psicologica che possa rendere partecipi.

 

Forse si sarebbe dovuto puntare maggiormente sulla scettica comunità che circonda Johnny, tutta presa a filmare, a sondare, ficcanasare nelle specialità dell’ “animale” che egli è diventato agli occhi degli altri. Non fa in tempo a isolarsi dal mondo, che cede volontariamente a una ricaduta ancor prima di rivedere l’amore.

Quando si avverte del pericolo nucleare (molto di moda nel periodo in cui il romanzo fu scritto da Stephen King) e della necessità di salvare il mondo, la monotonia sorretta dalla crisi esistenzialista viene spezzata a favore di un approfondimento politico incollato alla bell’e meglio. Con tanto di un Martin Sheen istrionico, dittatoriale e inadeguatamente isterico.

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