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Destino cieco (Il caso)

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su Destino cieco (Il caso)

di OGM
10 stelle

Il destino non ci viene incontro: ci passa accanto, e ci sfiora. Il corso dell’esistenza è una questione di millimetri, di frazioni di secondo, in cui le occasioni ci colgono sempre impreparati, e per questo non siamo noi ad afferrarle, a farle nostre, bensì sono loro, con i loro impercettibili spostamenti d’aria, a spingerci in una o in un’altra direzione. La vita non si fabbrica, si vive, sempre lasciandosi trasportare da un misterioso flusso di energia che non ha meta né ragione, ma serve solo a costringerci ad andare sempre e comunque avanti. Non esistono le decisioni, perché l’unica funzione della nostra coscienza morale è riflettere su ciò che ci è già accaduto, lasciandosi  inconsapevolmente plasmare dal famigerato senno di poi. Noi siamo esseri che pensano ed agiscono necessariamente a posteriori, perché siamo incapaci di prescindere dalle ipotesi assegnate, che impongono una sola possibilità,  quella che si è effettivamente realizzata, escludendo tutte le altre. Il se non si applica alle premesse, non introduce una considerazione astratta su una realtà diversa da quella che ci è data: è solo una particella che segnala l’incertezza sul futuro, sul domani che il caso determina indipendentemente dai nostri progetti, dai nostri desideri, dalle nostre deduzioni. La triplice sorte di Witek, che conosce tre diverse evoluzioni a seconda di quanto avviene sul marciapiede di una stazione ferroviaria, mostra quanto l’uomo si renda inconsciamente complice della propria predestinazione, abbandonandosi alle conseguenze dei fatti, senza mai neppure tentare di inserire, con un temerario atto di volontà,  un’insanabile incoerenza, una deviazione arbitraria, che spezzi la concatenazione di causa ed effetto. Essere comunisti, cristiani o agnostici è un mero prodotto degli eventi, che non ci vedono nel ruolo di registi, e nemmeno in quello di interpreti principali, visto che i gesti e le battute ci vengono suggeriti dall’esterno. Del resto il copione non è una trama che corrisponda ad un disegno, bensì è una sceneggiatura che si forma strada facendo, senza pretendere di esplicitare concetti o delineare caratteri: lo stile fluido e tiepido di Kieslowski aderisce alla cauta indeterminatezza del dubbio, che, mentre dice,  immagina, dentro sé, altre frasi, altri significati, altri toni di voce, che potrebbero conferire alla scena ed ai suoi personaggi una coloritura diversa. All’enunciazione di una verità, anche solo fittizia,  si sostituisce la semplice partecipazione alla storia, che, guardata da dentro, non concede mai il beneficio di una visione di insieme, di una classificazione organica, di una sintesi chiarificatrice. L’unica dimensione che competa all’essere umano è il piacere/dispiacere per ciò che gli succede: da qui, e non da convinzioni maturate razionalmente, traggono origine le ideologie, i credi, e tutti gli orientamenti del comportamento affettivo e sociale. La tesi è sconvolgente, e questo film ce la propone con una limpidezza che disarma e stordisce, perché ci parla con un sottilissimo e suadente sussurro: un suono così puro, impalpabile  e cedevole  da non poter essere infranto, né abbattuto, dalla durezza dei dogmi e dalla prepotenza della logica.

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