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L'armata Brancaleone

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su L'armata Brancaleone

di luisasalvi
10 stelle

29-11-2010, notte. È morto Monicelli. È tardi, ma riporto, in suo onore e a suo ricordo, quanto avevo scritto 10 anni fa (nel 2000) su L'armata Brancaleone, girato negli stessi studi della Cineriz in cui era appena stato terminato Giulietta degli spiriti, su cui avevo pubblicato il mio primo articolo di cinema e fatto una tesi di laurea.

Ne avevo fatto uno studio trentatre anni fa, quando era uscito, e l'avevo proposto ad Aristarco che senza leggerlo aveva rifiutato per principio ogni studio su Monicelli, da lui disprezzato. "Fosse Fellini, non ci piace ma essendo molto noto potremmo anche scriverne qualcosa": lo aveva associato (per caso?) a Fellini; anche io, nel mio studio, a Giulietta degli spiriti, se non altro per le scenografie di Gherardi. Non ho più inviato ad altri l'articolo, rimasto inedito e ora forse perduto; il film poi l'ho rivisto poco, perché a Irene non piace, ma ogni volta lo rivedo con piacere e mi sembra ottimo. Non intendo farne un esame che sarebbe certamente inferiore a quello fatto a suo tempo dopo uno studio più attento. Ma il sunto di Di Giammatteo è tutto sbagliato, perfino di un filmetto facile facile come questo: durante un assalto di briganti (longobardi?) un prode cavaliere dopo strenua difesa è lasciato come morto; tre poveri diavoli scampati all'attacco rubacchiano ai cadaveri, e nella sacca del cavaliere prendono una pergamena che affida al latore il feudo di Aurocastro nelle Puglie, con l'incarico di difenderlo da … attacchi saraceni; ma uno strappo ha eliminato le parole conclusive. L'ebreo Abacuc cui offrono il materiale rubato propone di consegnare la pergamena a un cavaliere povero che si impegni a dividere con loro i guadagni che ne derivino; lo trovano in Brancaleone. Segue la collana di avventure picaresche del gruppo, cui si aggiunge un fabbro tradito dalla moglie e uno scapestrato figlio di una peggior famiglia di nobili bizantini: duello, peste, adesione alla crociata di Zenone per esser salvati dalla peste, consegna di una vergine vogliosa allo sposo, visita alla famiglia bizantina, attacco saraceno, arrivo del cavaliere titolare del feudo che mette tutti al rogo e infine intervento di Zenone che li salva per portarli a morire alle crociate. Il tutto impastato efficacemente secondo la formula che fu già del Pulci, di deformazioni popolaresche di fatti e linguaggi, con doverosa miscela di elementi grotteschi e patetici, sentimentali e grossolani, con la presenza di amore e morte in chiave comica e seria.

Qualcuno ha scritto malamente che Brancaleone è "scampato alla peste e alle voglie di una vedova impaziente"; in realtà era più impaziente lui, ma poi scopre che lei è vedova di un marito morto di peste il giorno prima, come quasi tutta la città, e che lei e chi la tocca è destinato alla stessa fine; ma altri "critici" senza aver visto il film ripetono la stessa frase, di bell'effetto ma che, unita all'impegno assunto e mantenuto di non toccare la vergine che gli è stata affidata, fa di Brancaleone un asceta o un omosessuale, che non è proprio l'impressione che il film voleva darne: Di Giammatteo senza badare alla coerenza lo dice anche "in cerca di appetitose donzelle"; fa del vecchio Abacuc un brigante assalitore di cavalieri, poi confonde le truppe scelte e disciplinate del vero titolare di Aurocastro, che era stato aggredito all'inizio (ma non dai nostri eroi!), con i pellegrini al seguito di Zenone redivivo, che salveranno i nostri dalle giuste ire del cavaliere...

Segnalo le belle invenzioni della morte di Abacuc, disteso nel suo baule cassaforte rifugio, in un posto molto bello, fra gli amici che lo consolano e gli assicurano una vita eterna di sogno, fatta di cibi e di riposo e di assenza di dolore, tale da render tutti invidiosi della sua sorte e desiderosi di seguirlo, mentre lui si addormenta in pace. Nel giusto equilibrio fra commozione e ironia, che evita sia il farsesco che il sentimentale. Altre volte il peso si sposta più da una parte o dall'altra; ma è giusto che sia così, nell'economia del film.

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