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L'armata Brancaleone

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su L'armata Brancaleone

di FABIO1971
10 stelle

Per chissà quale motivo o coincidenza (sicuramente anche perchè a livello drammaturgico si è poi più liberi di scatenarsi) le migliori commedie della storia spesso hanno scelto di prendere le mosse da un evento tragico o comunque drammatico (Vogliamo vivere, ad esempio, con l'invasione nazista della Polonia o A qualcuno piace caldo, che iniziava con il massacro di San Valentino) e pure L'armata Brancaleone, una delle vette irraggiungibili della commedia italiana degli anni Sessanta, ha il suo prologo decisamente sanguinoso, che ci introduce violentemente nel suo universo medievale virulento e sferragliante. Poi, però, entra in scena Brancaleone da Norcia (un Vittorio Gassman memorabile), "cavaliere ardito senza macchia e senza palanche" e cambia tutto: arrivano un cavallo giallo di nome Aquilante, una combriccola di stralunati e deliranti compagni d'armi, duelli picareschi, avventure "eroiche et perigliose", improbabili spadone gigantesche, villaggi deserti sterminati da morbi pestilenziali, "Prendimi e dammiti, cuccurucù", processioni di monaci invasati (il santone Zenone, interpretato da un Enrico Maria Salerno incontenibile), lebbrosi e derelitti in viaggio verso la Terrasanta, "Oggi è il giorno di san Mansueto e lo tuo nome sarà Mansueto", sole infuocato, nubi minacciose, cumuli di neve, ponti scricchiolanti, baratri, strapiombi, mura invalicabili, boschi e prati sterminati, fanciulle in pericolo, cento pezzi d'oro in loco segreto, lo scrignetto, "Brancami, leone", banchetti nuziali e dispotici padri delle spose, risse e battaglie, mariti cornuti che tentano il suicidio, "Aquilante, allo monasterio, ratto come la folgore", le piume di pavone di Barbara Steele, "Come sai soffrire, sai tu anco amare?", "Che fai, godi?", orsi bruni ed oscure e fumanti caverne, fiumi e cascatelle, le foglie dell'autunno spazzate dalle raffiche di vento, "Andiamo male, cristianucci" (la scena madre regalata da Monicelli a Carlo Pisacane, immortale Capannelle di I soliti ignoti), la vacca, i frutti polposi della natura (divorati indifferentemente per fame o per seduzione sessuale), Aurocastro, "li pirati saracini", assedi e torture, "Non è per la fine che ho doglianza, ma per lo principio", "Sarai mondo se monderai lo mondo"... L'esilarante melting pot linguistico tra latino aulico e dialetto maccheronico, uno spirito dissacrante e goliardico ad ammantare le gesta dei suoi folli personaggi, sempre teso a sovvertire il gusto della parodia in tragicomica e anarchica vitalità, tra le suggestioni del Don Chisciotte di Cervantes e del Gargantua e Pantagruel di François Rabelais e i graffi più pungenti ed amari della satira di costume, un apparato iconografico e una veste spettacolare entrati nella storia (dall'abbagliante fotografia di Carlo Di Palma, allo sfarzo delle scene e dei costumi realizzati da Piero Gherardi, fino alla celeberrima colonna sonora di Carlo Rustichelli), la straordinaria forza evocativa della sceneggiatura di ferro firmata da Age, Furio Scarpelli e Mario Monicelli. Un capolavoro che il trascorrere del tempo non ha minimamente intaccato nei suoi umori più corrosivi e taglienti. Avrà un seguito con Brancaleone alle Crociate.

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