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La battaglia dei sessi

Regia di Jonathan Dayton, Valerie Faris vedi scheda film

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La recensione su La battaglia dei sessi

di leporello
4 stelle

   Inconcepibile, dall’inizio alla fine. Non è tutta colpa sua (del film), perché ci sono spesso casi in cui la realtà supera la fantasia. Però ci sono casi (cinematografici) in cui, dato il sorpasso, si possono confezionare degli ottimi film (uno recente, per restare nell’ambito sportivo, l’ottimo “I, Tonia” di Craig Gillespie), oppure si possono concepire delle assurdità totali che, proprio perché minacciate come vere, non possono reclamare nessuna credibilità. Un po’ come la campagna elettorale in corso, tanto per capirsi, ma non divaghiamo. Questo filmetto non sta in piedi da nessuna parte, tranne forse una o due di cui forse riuscirò a dire.

 

    In ambito sportivo: a Dio (scusate il disturbo...) il compito di spiegarci come mai nessun record mondiale di nessuna disciplina sia appannaggio delle donne a scapito dei maschietti. Vi siete risposti? Sì? Bene, proseguiamo: che cazzo mi significa una sfida (che si spacci per sportiva) tra un ex campione del tennis cinquantacinquenne semi imbolsito maschio contro una giovane femmina prestante e sulla cresta (atletica) dell’onda? E qui, appunto, la colpa non è del film, ma della realtà, perché questo è successo davvero (sic...). Possibile (sicura) interpretazione:  fu tutto un fottuto gioco mediatico, un giro di sponsor e di scommesse (non era questo il simpatico vizietto di Bobby Riggs?)  viste anche  le astronomiche cifre in palio, il numero degli spettatori (roba da Super Bowl), e il fatto che pure Jimmy Connors e Martina Navratilova si prestarono ad una pantomima del genere solo pochi anni dopo.


   In ambito sentimentale (e torno alla fantasia/sceneggiatura del film): mi si spiegano il comportamento assurdo del marito “Big Jim” della King? Mi si spiega come un rapporto lesbico degli anni ‘70 venga  sgamato dalla collettività intera cinque (no, tre, due) minuti dopo il suo inizio? In ambito sociale: mi si dice, cortesemente, perché le battaglie di liberazione femminista e/o omosessuale (che sono e saranno sempre due cose distinte, mi si perdoni il capello in quattro) debbano essere ridicolizzate/sponsorizzate anche da film (reali) del genere? Risposta: questo è il cinema. Anche, purtroppo.

 

    Salviamo (dicevo) due o tre cose: uno: il generoso cast; due: la sorprendete somiglianza resa dagli attori (e dal trucco) con i personaggi reali della vicenda; e tre (e qui devo onestamente sbilanciarmi): i siparietti davvero divertenti a carico di un protagonista maschile (e del suo ménage familiare, unica scheggia accettabile all’interno della sceneggiatura in termini di credibilità intellettuale), che riescono a fare di uno sporco maiale sciovinista, misogino scommettitore indefesso, scorretto,  affamato di soldi e di successo, un personaggio simpatico, quasi (ripeto: quasi) amabile. 

 

   Per chi ho tifato durante il “Big Match” finale? Per il cronometro: temevo (e ahimè avevo ragione) che il mediocre pool di autori mi ci avrebbe fatto perdere mezz’ora.

   

   Il tutto è, ovviametente, ampiamente perdibile.

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