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L'infernale Quinlan

Regia di Orson Welles vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su L'infernale Quinlan

di Marcello del Campo
10 stelle

 

 

 

“Penosi romanzetti polizieschi” e capolavori del noir.

 

Quando i critici scrivono che il capolavoro di Welles, L’infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958) è tratto da un modesto romanzo di Whit Masterson, Badge of Evil, [Contro tutti, pubblicato nel 1956 nella collana Il Giallo Mondadori N. 417, ristampato nella collana Classici del Giallo N. 67] aggiungono ignoranza a altra ignoranza, affermando che “Welles non lesse nemmeno il romanzo”: primo perché o non hanno mai letto un libro di With Masterson, aka Wade Miller, oppure non hanno letto Io, Orson Welles di Peter Bogdanovich [Baldini & Castoldi, 1996] che a pagina 305 riporta quanto segue:

 

 

 

 

Bogdanovich chiede con molto sussiego al regista:

 

Ti sei preso la briga di leggere il romanzo?”

 

[Bogdanovich ignora che nel 1956 Frank Tuttle, non il primo venuto, aveva diretto il noir-movie Ore d’angoscia (A Cry in the Night), tratto dal romanzo di With Masterson All Through the Night, in italiano Il bruto e le notti del 1955 pubblicato nel 1957 nella collana Il Giallo Mondadori N. 447 e nel 1961 L’assassino viene ridendo, Evil Come, Evil Go, regia di Buzz Kulick, è tratto dall’omonimo thriller di Masterson del 1953, Pentagramma in nero, Il Giallo Mondadori N. 736, 1963]

 

Secondo la vulgata tipo Castoro Cinema, Welles avrebbe risposto in maniera più precisa:

 

Ho letto soltanto il copione dell’Universal. Forse il romanzo ha un senso, ma il copione era ridicolo. Tutto si svolgeva a San Diego e non sulla frontiera messicana (…) la ragione che mi ha spinto a fare di Vargas un messicano è di ordine politico: volevo far vedere come Tijuana e le città di frontiera sono corrotte da ogni genere di imbrogli più o meno pubblicitari sull’America.”.

 

In realtà, Welles risponde:

 

No, l’ho letto dopo aver fatto il film. Non c’era una copia in giro, e se anche ci fosse stata non avrei neanche saputo che c’era un libro. Ma tre o quattro anni dopo mi è capitato di sott’occhio e l’ho letto. Il titolo è Badge of Evil, che era anche il titolo originale del film. Non so dove abbiano trovato Touch of Evil, né che cosa significhi, ma suona  bene […]comunque il libro è meglio del copione che mi hanno dato, non è poi tanto male.

 

Welles non è così sprovveduto da avere fisime su un romanzo che è all’origine del copione come, con il tipico provincialismo francese, dirà Truffaut trattarsi di “un penoso romanzetto poliziesco” o [scrive Renato Venturelli][1] “di ‘robaccia’ di cui il regista si è servito con sprezzante indifferenza.” Del resto, non è che Un bacio e una pistola, molto apprezzato dai “Cahiers”, sia tratto da un capolavoro, tutt’altro, si tratta del romanzo Kiss Me Deadly 1955, “robaccia”, per usare le parole dei critici dei "Cahiers" di Mickey Spillane, torbido romanziere di ‘giustizieri privati’, di provata fede fascista. Insomma, accade che dai “Cahiers” si spari a zero sul romanzo di Masterson per colpire Welles.

 

 

Potrei continuare con altri esempi, aggiungere che Rapina a mano armata si basa su “un romanzetto” di Lionel White, Obsession non accreditato nei titoli del film di Kubrick così come non fu accreditato Jim Thompson, lo stesso Lionel White che Quentin Tarantino citerà nelle Ienenei credits come una fonte di ispirazione; Henry Farrell sarà l’ispiratore di Che fine ha fatto Baby Jane, Ira Levin di Rosemary Baby e I ragazzi venuti dal Brasile.

 

A With Masterson va dunque il merito di avere creato il personaggio di Hank Quinlan, superpoliziotto grasso e sfatto che, ritenendosi onnipotente e onnisciente, non esita a incastrare le persone, che secondo il suo ‘infallibile fiuto’ [memorabile il dolore al callo del piede zoppo come segno di indizio] sono colpevoli. Tra gli abitanti della squallida città di frontiera ci sono Marlene Dietrich, una tenutaria sorniona e filosofeggiante e Akim Tamiroff nel ruolo del capo di una bizzarra gang di malviventi. A contrastare la legge individuale di Quinlan c’è la legge codificata del detective messicano Ramon Vargas, uomo onesto ma di scarsa consistenza indagatoria rispetto al voluminoso poliziotto disonesto che Welles fa giganteggiare nella sua stessa interpretazione: appesantito da un trucco che ne deforma i connotati, Quinlan occupa la scena illuminato dalla fotografia espressionista di Russell Metty.

Soffermarsi sul lungo piano sequenza dell’inizio del film significa far torto a Welles, il quale, discorrendo con Peter Bogdanovich che gli confessa tutta la sua ammirazione, risponde [cito a memoria]: “Te ne sei accorto?, allora vuol dire che la scena non è riuscita.”; un esercizio di modestia che difetta nei registi che si sono cimentati in sequenze simili.

L’infernale Quinlan è, secondo quanto afferma Paul Schrader, l’epitaffio del noir e “il preludio di un disfacimento di un’epoca, la crisi del cinema classico. Da quel momento, il noir […] diventerà per molti tra i nuovi cineasti un semplice materiale di riferimento; sfondo convenzionale di  una mitologia guardata con distacco, al massimo come oggetto di recupero o citazione.” [Renato Venturelli]         

        

Per anni Quinlan fu considerato un ennesimo esempio della tendenza di Hollywood a umiliare il “Genio” e si sostenne che in fase di montaggio il film fosse stato rovinato. La critica recente afferma che i tagli della Universal sono stati invece provvidenziali: in virtù di questi il montaggio esaltava il senso di mistero metafisico che è una delle ragioni del fascino del film.

Citizen Kane, Othello, Chimes at Midnight... sono belli, ma è discutibile che siano i migliori. Restiamo invece folgorati proprio da alcuni di quelli che gli sono (a Welles) stati strappati di mano, infarciti di scene girate da altri, montati senza di lui o contro di lui: The Lady from Shangai, Confidential Report, Touch of Evil. Tutto il talento di Welles si manifesta pienamente in questi tre film di serie ‘b’, girati con un budget ridotto, impuri e discontinui eppure così pieni di ombre e di emozioni da costituire i fiori più anomali e affascinanti della grande serra neogotica del film noir americano. Riconosciamo al vecchio illusionista il merito anche di aver fatto scomparire e riapparire, a colpi di bacchetta magica, una filmografia di frammenti, scaglie, footages, critofilm, riuscendo così, in nome del work in progress, a trasformare in modernità perfino i vuoti, le falle e gli aborti, ammucchiati dentro il suo labirinto come i trofei europei del castello di Xanadu.”, ha scritto Enzo Ungari.

 

[1] Renato Venturelli, L’età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano, 1940-60, Einaudi editore, 2007.

 

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