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Guardiani della Galassia Vol. 2

Regia di James Gunn vedi scheda film

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La recensione su Guardiani della Galassia Vol. 2

di solerosso82
7 stelle

Torna la banda di eroi più squinternata della galassia, costretta a dividersi su più fronti ma pronta a riunirsi per salvare ancora una volta il destino dell’universo. Accompagnato da Gamora (Zoe Saldana),  Drax  (Dave Bautista) e Mantis (Pom Klementieff), Starlord (Chris Pratt) si ricongiunge col padre Ego (Kurt Russell), mentre il procione Rocket, baby Groot e la sicaria Nebula (Karen Gillan) cadono prigionieri dei Ravagers capitanati da Yondu (Micheal Rooker).

 

Difficile non ripetersi, soprattutto dopo l’avvincente esordio del 2014, per Starlord e compagni:  con questo secondo capitolo  James Gunn esaspera ancor più la caciara non-sense, consapevole dell’appeal dei suoi personaggi, molto più importanti di un canovaccio che ormai gli spettatori conoscono. Blockbuster corale che alla storia preferisce il brio del dialogo e la sospensione più estrema dell’incredulità (facendo staffetta con Fast & Furious 8, uscito tre settimane prima), risulta però meno compatto e fluido del suo predecessore (a sua volta, una sorta di viaggio di formazione sul modello de Il Mago di Oz): fedele alla formula “bigger’s better”, si evolve come una sequela di esilaranti sketch al suono dell’Awesome mix (con brani di Electric Light Orchestra, Parliament, Fleetwood Mac, Geroge Harrison, Sweet) senza risparmiare i titoli di coda (intervallati da ben quattro post-credit). Seguendo in modo funzionale il modello televisivo (separando i personaggi in gruppi di due o massimo tre componenti), infarcendo a dismisura il plot di ester-egg ripescate dal vasto repertorio anni ’70-’80  e, inevitabilmente, dai fumetti, in un turbine di colori che ci riporta alla psichedelia delle tavole kirbyane (incontriamo anche gli Osservatori, strambi alieni pelati dalla testa gigante), Gunn si diverte a parodiare il fantasy contemporaneo e la sua estetica digitale videoludica facendo combattere i Guardiani contro un esercito di avatar virtuali, telecomandati a distanza dentro una sorta di hangar più simile a una vecchia sala giochi a 32 bit di trent’anni fa, i cui soldati (comandati da un’irriconoscibile Elizabeth Debicki), nascosti dietro make-up dorato,  sfoggiano un look che ricorda tantissimo quello dei Rockets, storica band di rock elettronico francese (citata da Elio & Le Storie Tese al Festival di Sanremo del 1996 con La Terra dei Cachi).

E’ impossibile non amare questa combriccola di nerd, le incomprensioni linguistiche tra Drax e Mantis (buffa aliena con antenne interpretata dalla franco-coreana Pom Klementieff ), le rivalità tra Nebula e Gamora, il tenerissimo baby Groot  formato rametto, lo scorretto procione Rocket Recoon o i dementissimi Ravagers. A conquistarsi la platea è però Yondu, l’avvincente alieno dalla pelle blu col volto di Micheal Rooker. Decisamente meno riuscito, invece, il villain, impersonato dal redivivo Kurt Russell, i cui dialoghi col figlio Starlord soffrono di eccessiva esposizione narrativa, nell’ennesimo rapporto conflittuale fratricida padre-figlio (propinato ormai in ogni franchise disneyano e non solo) sulla falsariga del “Tu non sei mio padre!”, de L’Impero colpisce ancora. Cameo di Stan Lee nei panni di se stesso, Jeff Goldblum nel ruolo del Collezionista, David Hasselhoff (autore anche del brano musicale Guardian Inferno) come Micheal Knight di Supercar, breve apparizione di Howard il Papero (già visto nella post-credit del primo capitolo) e introduzione del mercenario Stakar col volto di Sylvester Stallone. Sean Gunn, fratello del regista, torna nel ruolo di Kraglin, braccio destro di Yondu, offrendo le sue movenze anche per la performance-capture di baby-Groot e Rocket Recoon, doppiati ancora rispettivamente da Vin Diesel e Bradley Cooper.

Con un botteghino proiettato a superare gli 800 milioni di dollari nel mondo, continua l’epopea Marvel al cinema con il suo quindicesimo film, confermandosi ancora una volta come uno dei prodotti più freschi e longevi del momento.

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