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La cura dal benessere

Regia di Gore Verbinski vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su La cura dal benessere

di alan smithee
6 stelle

Thriller di forte e suggestiva ambientazione, che si perde, dopo un avvio efficace ed accurato, nella necessità di dipendere dall'elemento esoterico-fantastico legato a antichi tormenti familiari. Meglio allora l'inizio ad effetto, che gioca bene le sue carte nel contrasto tra lo stress da risultato e la pace fasulla della clinica dell'inganno.

Un giovane ambizioso venditore, che dopo il decesso improvviso per infarto del vecchio leader, si trova all’apice della la forza lavoro in capo ad una multinazionale minacciata da una concorrente con un tentativo di scalata ostile di borsa, viene inviato dall’assemblea dei principali azionisti in Europa, tra le amene valli della Svizzera, nel prestigioso centro di recupero e riabilitazione ove da tempo si è rifugiato l’anziano CEO del gruppo.

Il lavoro dell’abile venditore è quello di riportare negli Usa il dirigente, per impedire che l’acquisizione vada in porto.

Giunto in loco, affascinato, ma anche insospettito dall’aspetto affascinante, ma pure tetro della imponente magione – un vero e proprio castello situato su una pendice che domina la valle lussureggiante tutta pendii scoscesi intervallati da boschi secolari – il ragazzo nota una cordiale ostilità da parte di tutto lo staff nei confronti dell’ipotesi mai nascosta dal manager di riportarsi a casa il capo.

Nel far ritorno verso l’aeroporto che lo rimpatri, il ragazzo rimane vittima di un serio incidente d’auto che lo immobilizza e costringe a trasformarsi pure lui in un paziente della prestigiosa struttura.

In tal modo il ragazzo diverrà dapprima testimone, poi vittima pure lui della particolare cura che viene assicurata ai pazienti, e a conoscenza della fosca e torbida storia inerente gli ultimi capostipiti noti dell’antica famiglia nobiliare un tempo proprietaria del castello.

Gore Verbinski, cineasta ecclettico al soldo dell’Hollywood che punta ai ritorni economici (vedasi la fortunata, ma pure alla lunga puerile epopea della serie dei Pirati dei Caraibi, ma è suo pure il remake di successo dell’horror giapponese The ring), torna a riproporsi dopo la batosta commerciale di Lone Rangers, con un film dalle accurate atmosfere gotiche che gioca – inizialmente con grande efficacia – sull’accumulo di situazioni forti per incamminarsi lungo le tortuose vie del thriller complottistico, in linea con i virtuosismi di un paesaggio naturale tutto eccessi ed amenità visive.

La vicenda tiene bene nella sua prima concitata parte, ma si svilisce quando si tratta di virare alle conclusioni e far quadrare una matassa concatenata di situazioni tra il mistery ed il paranormale; in tal senso l’apparire maldestro e insistito di viscide anguille da pozze acquifere sotterranee, sancisce ufficialmente una fisiologica debolezza di un film inizialmente affascinante, ma sul cui svolgimento gli sceneggiatori non hanno saputo giostrarsi con l’efficacia del suo felice ed intrigante avvio.

Forse per l’ansia sin troppo manifesta e pedante degli autori dello script, di cercare una spiegazione a tutto quanto accumulato in sede di avvio, in un contesto in cui ogni quesito viene in qualche modo puntualmente ed ossessivamente chiarito.

Forte di alcune scene d'avvio sul treno e riprese dall'alto davvero suggestive, il film si avvale di un’ammirevole fotografia che ci ricorda il thriller scorsesiano Shutter Island e le sue torbide compiaciute atmosfere ad effetto, e a questo proposito il protagonista, un valido e tormentato Dane Dehaan, nonpuò non ricordarci, un’altra voltacome già avvenuto in passato lungo la sua già nutrita carriera da protagonista,un giovane e tormentato, seppur forse un po’ meno seducente, Leonardo Di Caprio.

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