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Doctor Strange

Regia di Scott Derrickson vedi scheda film

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La recensione su Doctor Strange

di supadany
7 stelle

Con Doctor Strange, la Marvel prova a rinnovarsi senza rinnegare se stessa, con due anime conciliate attraverso una sintesi che toglie parziale respiro al nuovo che (vorrebbe?) avanza(re). Con similitudini tra Inception e Matrix, fantasie visuali geometriche e avvolgenti, e un discreto Cumberbatch. Lo spettacolo è servito, con qualche rinuncia.

Doctor Strange era una new entry molto attesa nel Marvel Cinematic Universe, viste le premesse che spaziavano dalle variazioni al classico tema dei vendicatori, alla presenza di un mostro di recitazione qual è Benedict Cumberbatch, accompagnato da un cast florido, composito e ricercato (Tilda Swinton, Chiwetel Ejifor, Mads Mikkelsen) ma anche un regista qual è Scott Derrickson, apprezzato in campo horror (The exorcism of Emily Rose, Sinister), ma fin qui fallimentare quando si è trovato al cospetto di un budget più importante (Ultimatum alla terra).

Sicuramente è una produzione che in parte si smarca da quanto fin qui proposto dal marchio multimiliardario guidato da Kevin Feige, ma mettere insieme anime, ed esigenze, differenti non è detto porti con sé solo oro colato.

La vita del dottor Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) è costellata da successi, fino a quando un incidente stradale gli toglie il bene più prezioso nella sua attività, ossia la sensibilità delle mani.

Dopo aver percorso senza successo alcuno tutti i tentativi concessi della conoscenza medica, si reca a Katmandu, dove entra in contatto con un personaggio mistico soprannominato l’Antico (Tilda Swinton) che potrebbe aiutarlo.

Con il tempo, seppur oggetto a forze interiori di natura opposta, comincerà a vedere le cose sotto un’ottica diversa, mentre un pericolo globale è alle porte.

 

Benedict Cumberbatch

Doctor Strange (2016): Benedict Cumberbatch

 

La missione di Doctor Strange - espressa procedendo esplicitamente per semplificazioni, riduzioni e agglomerazioni - non era tra le più facili; unire complessità spirituali a licenze di entertainment da blockbuster marchiato a fuoco, richiedeva rinunce e comportava anche l’assunzione di rischi che, in questo caso, portano frutti ma anche qualche appunto dubbioso.   

Dopo un’introduzione che naviga tra convenzioni di rito per quanto riguarda il personaggio principale e un assaggio visuale che mette l’acquolina in bocca – due aspetti che insieme dettano una linea generale con meno smancerie, più pulita e snella - si entra nel vivo di un processo evolutivo di conoscenza che richiede una discesa in campo.

In evidenza, frasi ad effetto in salsa new age - a tratti, l’Antico sembra Yoda depurato dal suo caratteristico slang - con un addestramento di fisico e psiche che ricorda Matrix e un concept visuale che pesca, graficamente e simbolicamente, da Inception, stando comunque a distanza di sicurezza dalla tipica rocciosità di Christopher Nolan.

Come da titolo, il cardine principale è il personaggio di Strange, brillante e arrogante, un egocentrico Tony Stark prestato alla chirurgia e in rapida successione maestro delle arti mistiche, mentre tra gli altri solo l’Antico è trattato con attenzione. Di conseguenza, l’onore della cronaca non può che spettare a Benedict Cumberbatch, all’altezza, divertito e comunque comunicativo, e a Tilda Swinton in versione mistica (di suo, una gran scelta) e rasata a zero, mentre ai notoriamente abili Mads Mikkelsen e Chiwetel Ejiofor non rimane altro che l’abnegazione alla causa; infine, a Benedict Wong tocca il compito, superato con discreto successo, di offrire barlumi più leggeri.

In aggiunta al materiale umano di prima scelta ma non sempre spremuto a dovere, va detto che gli effetti speciali sono mirabolanti, adatti a dar luogo a geometrie introiettate e aderenti alla trama, fase finale a parte quando si rientra in territori più dozzinali per prestazioni e caratteristiche, mentre i significati estrapolati dall’esoterico sono forti e affascinanti, ma anche snocciolati dovendo fare i conti con tempi troppo stretti (o in alternativa, con difficoltà di plot).

Così, ci ritroviamo di fronte alla difficoltà di guardare oltre il proprio naso, quando accettare ciò che va oltre il tangibile e il materiale diventa necessità; si addentra nelle sfere spirituali, arrivando a esplorare sensi sconosciuti, dovendo accettare di farsi trascinare da una nuova corrente che fa a pezzi i paletti consolidati, con la vita eterna che porta a fare i conti con il lato oscuro e il tempo che soggioga, mentre l’accettazione del dolore per aiutare il prossimo è un sacrificio non procrastinabile.

Una pietanza raffinata, ma sintetizzata - il pericolo implicito è che lo sia troppo per qualcuno e troppo poco per qualcun altro - con il classico umorismo marveliano relegato nella seconda fase e un gadget in lizza per essere menzionato tra i migliori degli ultimi anni, la Cappa della Lievitazione.

Alla fine, Doctor Strange è uno dei film Marvel più saporiti, ma anche meno coesi, nuova proposizione delle seconde possibilità da prendere con vantaggi e svantaggi annessi, attraversato dal fascino alchemico proprio di ciò che va oltre l’umana comprensione, sostituendo i protettori della vita materiale (gli Avengers) con gli stregoni e un doppio extra lungo i titoli di coda, tra un’incursione gaudente (quanto si vede diventerà per alcuni il sogno materiale di una vita) e una preview sul futuro, del Doctor Strange e di tutto l’universo Marvel.

Versatile ma solo in parte esplorativo.

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