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The Broken Key

Regia di Louis Nero vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Broken Key

di alan smithee
1 stelle

Il ritrovamento di un importante papiro risalente ai tempi dell’antico Egitto (che un vecchio vuole inviare nel mondo moderno direttamente dallo scavo in cui è riapparso, via “posta pneumatica” (??)… ma sorvoliamo almeno sui questo particolare esilarante…., mette in moto le ricerche di un giovane ambizioso ricercatore inglese, orfano di padre e finito a lavorare sotto l’ala protettiva di un facoltoso professore di nome Moonlight (?), amante delle collezioni d’arte e delle relative aste.

Siamo nel 2033, in una Torino indubbiamente affascinante, spesso notturna, sovrastata nei cieli scuri e talvolta piovosi da astronavi come in Blade Runner, che vediamo atterrare pure sul tetto del noto palazzo ex Fiat del Lingotto. Il ragazzo, testimone di alcuni omicidi avvenuti ovunque, puntualmente e maniacalmente ogni qualvolta egli intervenga ad investigare, intuisce una serie di punti in comune tra la città, che non a caso ospita il più importante museo sull’antico Egitto dopo quello del Cairo, e l’insieme dei monumenti funebri della necropoli di Giza, a sua volta condizionati da influssi derivanti dai vari pianeti del nostro sistema solare.

Fino a trovare, dopo giri (dell’oca….) e divagazioni che ci portano sino in Val Susa (e tra le suggestive panoramiche dalla cima della vetta fino giù sul fondovalle, il nostro occhio cinico prova a scorgere se, nel 2033, i lavori della TAV saranno terminati o abbandonati a loro stessi), nella sontuosa abazia di San Michele, a trovare quella chiave spezzata che – letteralmente dal film - “rappresenta l’impossibilità di accedere ad un segreto che è sotto i nostri occhi”. ….chiaro vero?

Se non vi è chiaro metteteci pure l’androgino del quadro di Bosch, o il pellicano che diviene il simbolo degli angeli che proteggono Torino, e che “nutre i suoi figli con la sua stessa carne”, ed ecco che, come per magia, vi accorgerete che “la verità è proprio davanti ai vostri occhi”.

Ah beh… allora siamo a posto!

Cosa devo fare?...si chiede l’inetto ma volonteroso nostro eroe (lo interpreta un certo Andrea Cocco, che mi dicono abbia vinto un G.F. e qui viene costretto a fare il nuovo Keanu Reeves, azzeccandone una buona dose di inespressività di fondo, specie quando lo costringono a piangere).

Gli verrà risposto: “Trova il pellicano di Bosch”… e lui a questo punto, motivatissimo, inizia a cercare tra le piazze di Torino, osservando la direzione dello sguardo degli sventurati monumenti coinvolti in questo delirante scempio di immagini, situazioni e parole. Fino a ritrovarsi sulla Mole faccia a faccia con una mummia con le trecce bianche da rasta: così hanno conciato la povera Geraldine Chaplin, molto spesso attratta da folli progetti cinematografici in odore di kitch come questo.

Bisogna certo ammettere che il tentativo di andare oltre gli schemi ormai consunti della solita commedia all’italiana, spesso inconsistente e piena di cliché, e svoltare verso territori che guardino al mercato internazionale, senza peraltro rinunciare a mettere in campo scorci e luoghi del nostro bel Paese, è senz’altro lodevole.

Molto meno, anzi proprio indifendibile, è la sceneggiatura devastante che affligge tutta questa baraonda di situazioni senza capo né coda, che si riduce ad una vetrina d’antiquariato rappresentata da una accozzaglia di comparse attoriali che paiono inesorabilmente dei colleghi delle mummie del Museo, lo stesso che accoglie alcune scene dell’intrico irragionevole e lambiccato oltre misura.

Volti di attori quasi tutti un tempo ottimi almeno in qualche preziosa circostanza (Rudger Hauer, Michael Madsen, la Chaplin, Franco Nero, Christophe Lambert, persino Sandokan-Kabir Bedi, Maria de Medeiros, il più giovane del clan Baldwin, William, che tuttavia ricordare come bravo risulta davvero arduo), qui ricondotti ad una massimo di 2/3 pose per poi essere letteralmente eliminati dalla scena, fatti schiattare giusto in tempo per far affiorare i loro nomi, a volte altisonanti, sugli accrediti della pellicola.

Non che piaccia affermare ciò, ma la carriera certamente originale, ma anche piuttosto controversa del giovane Louis Nero (nome d’arte e non figlio del Franco già citato con cui si trova spesso coinvolto) subisce con questo film, tra l’altro il meglio distribuito ad oggi in tutta la sua avventura di regista, il più clamoroso tonfo, risultando il film una delle opere più imbarazzanti che si ricordino da anni.

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