Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
La tesa e fine riflessione sul peso delle parole è magistralmente intessuta.
In talune situazioni, capirsi l'un l'altro è basilarmente necessario. Ma in linea generale, checché ne si dica, è sempre possibile? Per il regista (Denis Villeneuve) e lo sceneggiatore (Eric Heissener) di Arrival, sì. Di barriere che arrestano la comunicazione se ne formano più velocemente del suono, ma nessuna di queste resiste a un ariete impetuoso qual è il buonsenso di voler comprendere. Strumento principe al servizio di questa volontà è la lingua: e nel film, la tesa e fine riflessione sul peso delle parole – ogni simbolo emesso per nebulizzazione dagli alieni è un colpo al cuore, dal momento che sono molteplici e non per forza liete le sue potenziali conseguenze sulle sorti del pianeta – è magistralmente intessuta. Amy Adams interpreta con trasporto una donna che ha in grembo il dramma della vita, madre sconvolta ed eroina zelante alla ricerca dei perché che tutti gli altri rigettano. Villeneuve sprona gli animi a cassare il pregiudizio verso il prossimo ed esterna una visionarietà che funziona da banco di prova per il suo seguito di Blade Runner. Ma nella seconda fetta di pellicola i colpi di scena (certamente stupefacenti) rischiano di sbigottire per la loro bruschezza, e la progettualità che li lega è incolmabilmente debitrice di quella del più convincente Interstellar. Professionale Jeremy Renner. Tratto da un racconto di fantascienza di Ted Chiang.
Fra le musiche di Jóhann Jóhannsson, la sonorità di Heptapod B ricorda i fonemi dell'alfabeto Morse.
BUON film (7) — Bollino GIALLO
VISTO al CINEMA
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