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The Founder

Regia di John Lee Hancock vedi scheda film

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La recensione su The Founder

di Piace91
6 stelle

Il sogno americano. 
Ancora? Dai, ci mettiamo ancora a raccontare sogni che si realizzano, imprese impossibili che diventano realtà solo tra le stelle e le strisce? Sì, perché in questo grande calderone cinematografico iperinflazionato, molto spesso incensato più dai registi stranieri che dai figli di George Washington, mancava forse la figura più iconica del capitalismo del dopoguerra: mister McDonald's, Ray Kroc. Nonostante il suo nome ricordi più le ciabatte di plastica che hanno infettato l'inizio millennio, questo signore è l'Henry Ford della ristorazione. Così come il grande industriale del Michigan, per la sua innovativa catena di montaggio, prese ispirazione dai macellai di Detroit, Ray Kroc ruba il progetto di ristorante dei fratelli McDonald's e lo rende un impero da miliardi di dollari, che rivoluziona ristorazione, abitudini, società, lavoro, economia, mondo. 

 

Ray Kroc è Michael Keaton, che a sua volta è stato il Riggan Thomson ideato da Iñárritu. Ray Kroc è un Riggan Thomson al quadrato: non cerca di disfarsi del suo Birdman per ambire a un'evoluzione come attore e come uomo, ma, al contrario, lui il suo Birdman se lo crea e lo alimenta. Un uomo modesto, senza troppe qualità, che accresce il proprio super-io fino a spazzare via chiunque gli ostacoli la strada. Keaton è un mio debole, lo trovo sempre bravo e affascinante e anche in questo ruolo non fa eccezione: ipnotico, con un fare da rettile ma allo stesso tempo esplosivo, iracondo e spesso con un bagliore luciferino negli occhi. Pian piano farà piazza pulita dei piccoli e onesti fratelli McDonald, comprerà il loro silenzio insieme alla loro creazione, drogato di arrivismo, bramoso di successo e ossessionato dal dominio.

 

Il film in generale è discreto e, come è lecito immaginarsi, il film è LUI. I personaggi di contorno ci sono per esigenza, talvolta abbozzati, talvolta manichini. Lo stesso discorso vale per lo svolgimento: le situazioni veramente importanti e approfondite sono quelle riguardanti gli affari, il resto viene inserito per contorno e spesso lasciato ad appassire. Entusiasmo ce n'è poco mentre scrivo questo commento. L'evoluzione del film può essere fotografata in questo modo: i primi minuti sono densi di ironia, causata dallo squilibrio tra il piglio vigoroso di un venditore e le situazioni da sfigato in cui si ritrova; ma pian piano quell'ironia svanisce, seguita a ruota dalla freschezza che avrebbe potuto migliorare molto la visione. Non che sia un film mal riuscito, ma alla lunga appesantisce.

 

Ma, alla fine, l'aspetto che più interessa gli spettatori è sicuramente il ritratto che il regista delinea: cosa ne pensa di Ray, di McDonald's, del capitalismo, dell'America? Li esalta, li distrugge, ci dà una morale? No. Niente di tutto questo. John Lee Hancock compie, secondo me, la scelta più azzeccata: racconta. Basta. Ray Kroc ci viene messo davanti come un uomo normale, ma con una fame e una voglia di spaccare il mondo che lo rendono l'incarnazione del demonio. Umanamente è un uomo spregevole, ma gli affari sono affari. Hancock ci disegna le regole del capitalismo: se vuoi andare nello stagno dei pesci grossi, devi essere più grosso di loro. Starà allo spettatore giudicare Ray Kroc. Hancock ci mette davanti a una scelta di vita, ci chiede cosa vogliamo essere, cosa vogliamo diventare, cosa siamo disposti a sacrificare. Questo è quello che, forse, resta maggiormente di un film per alcuni tratti domenticabile.

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