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The Accountant

Regia di Gavin O'Connor vedi scheda film

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La recensione su The Accountant

di amandagriss
5 stelle

 

L’assassino di pietra

 

Potrebbe essere un’idea nient’affatto malvagia quella di ingaggiare un esercito di individui autistici-geni della matematica (spesso le due cose vanno a braccetto) per combattere la dilagante, purulenta piaga dell’evasione fiscale.

Il debito pubblico ne gioverebbe, la popolazione ne risentirebbe positivamente ed anche i fondi cassa destinati alla ricerca medico-scientifica, per fare un esempio, potrebbero rimpinguarsi.

Un cervello da premio nobel associato ad un intensivo allenamento fisico (l’addestramento militare), all’adozione di una ferrea disciplina etico-comportamentale, all’elevato grado di dimestichezza con le armi (da fuoco e da taglio), nonché all’assoluta mancanza di empatia, fanno del genio autistico proiettato nel nuovo millennio una perfetta macchina da guerra a servizio dei Tesorieri dello Stato, l’incarnazione -antropomorfizzata- della nostra entità maligna Equitalia, tanto per fare un altro esempio.

Irriducibile, inesorabile.

Inevitabile.

Ed ecco che il cinema abbandona l’abusata fantascienza per incamminarsi sui terreni più comuni ma non per questo meno straordinari della scienza, del misterioso-arzigogolato-complesso-complicato calcolo matematico, dei grandi imperi più o meno leciti della finanza che su tale calcolo si fondano e proliferano, con i suoi inaccessibili segreti, le sue ruberie, i suoi vistosi ammanchi, i suoi rattoppi, le sue frodi quotidiane.

Profetizza, quindi, la nascita di una nuova stirpe di supereroi, “i contabili” (per il momento un solo esemplare in giro), categoria umana già di per sé particolare e impenetrabile, di gran lunga a noi più vicina, nelle fattezze e nel modus operandi, seppur comunque spettacoloso, di quella dei bambolotti in costume intenti a sfoggiare/sprecare improbabili poteri magici necessari a salvare il mondo sempre ad un passo dalla catastrofe totale.

Ma se è vero che il pianeta si consumerà in un lungo lamento piuttosto che disintegrarsi per mezzo di un’improvvisa esplosione, allora, i contabili potranno scongiurare l’agonia generata dai disastri finanziari abbattutisi sulle nostre teste, ridistribuire la ricchezza, colmare il pauroso divario tra ricchi e poveri, rendere la terra un posto migliore, soprattutto se poi si dedicheranno a far piazza pulita dei grandi cattivi che la popolano. Senza battere ciglio, chiaramente, come l’essere autistici comanda, il che li rende dei Terminator fatti di carne, ossa, cartilagine e sangue.

Rispolverare Robin Hood, rubando (o qualcosa del genere) ai ricchi sfondati (che rubano a se stessi per aggirare il fisco, rimpinzarsi ulteriormente le tasche, quotarsi in borsa e fare soldi a palate), e combattere contro gli stessi con adeguati mezzi, un arsenale di guerra che si rispetti e l’efficienza fisica di Batman.

È questa la natura ibrida del nostro uomo, l’accountant del titolo.

Professione: contabile. Missione: giustiziere.

Ben Affleck asseconda con innegabile talento (naturale?) la figura monolitica di questo adulto autistico che scopriamo ben integrato nell’avida società odierna. Perfetto nella sua (naturale?) mancanza di espressività che aiuta ed ottimizza il certosino lavoro in sottrazione -da lui sicuramente praticato, oltre ogni dubbio- sulla mimica, anzitutto facciale (!)   

E sta simpaticamente al gioco di un copione particolare e interessante che, seppur lungi dall’essere brillante, ha il pregio di farsi seguire per la natura stramba del soggetto, perennemente sospeso tra ironia e dramma, e l’inclassificabilità in un genere preciso (che non è un male) atti a stimolare la curiosità e scoraggiare la prevedibilità del racconto.

Tuttavia, se l’inizio della storia promette bene (grandi e belle cose, seppur di un’idea vaga) è il suo dipanarsi sgangherato a procurare un crescendo di perplessità fino a tradirne del tutto le allettanti aspettative; il film a metà percorso pare subire una battuta d’arresto significativa (o decide di arrestarsi e basta, non sapendo dove e come proseguire, o non volendo spingersi oltre) che ne compromette la riuscita, appiattendolo e impantanandolo in una serie di scontri a fuoco e inutili spiegoni (per di più non del tutto lineari) che ne affossano il potenziale, lasciando percepire la sensazione di trovarsi di fronte ad uno strano oggetto abortito, abbandonato per mancanza di idee, indefinito ed incompiuto.

O, forse, è proprio questa l’impressione che The Accountant vuole imprimere nello spettatore -al di là del suo valore qualitativo o addirittura artistico, di cui, è probabile, poco se ne curi- quella di un’opera straniante, che vuole celebrare la diversità nei contenuti (l’autismo, appunto, che può rivelarsi una risorsa e non per forza una condanna) come nella forma, tra le pieghe della sua banale, ordinaria, omologata, classica confezione.

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