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Oceania

Regia di Ron Clements, John Musker vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Oceania

di kosmiktrigger23
9 stelle

...ovvero come ho imparato a non preoccuparmi della Natura e ad amare il Capitalismo

Ho sempre pensato che la Disney, anche nella sua forma maggiormente disincarnata: la Disney, possedesse una sorta di filo diretto con l'immaginario del mondo occidentale. Questo film non fa eccezione, e, detto senza mezzi termini, è un capolavoro, una fantasia tanto onirica quanto ideologica, una riflessione sull'impossibilità da parte dell'uomo di far parte della Natura in relazione alla cultura del capitalismo.

Infatti, ciò che tenterò di mostrare è proprio che, lungi dall'essere un apologo vagamente ecologista, questo film predica esattamente il contrario di un ritorno alla natura: il suo assunto centrale, appena velato dalle mistificazioni che mostreremo, è che la natura vivente, lo stato di quiete, l'armonia primigenia non solo siano delle dimensioni inattingibili, ma che rappresentino proprio la dimensione che deve essere uccisa per consentire lo sviluppo umano, senza mezzi termini qui identificato con il mito del progresso.

Cominciamo dai personaggi principali, cioè Vaiana e Maui. La cosa che colpisce è che sono in pratica il medesimo personaggio; o meglio, sono uno il riflesso speculare dell'altra. Addirittura, mi verrebbe da pensare, sono legati in questo senso: Maui è la fantasia narcisistica di Vaiana. Maui è un trickster: ha deviato la creazione naturale (ha rubato il cuore alla Natura), e ha civilizzato gli uomini. Inutile sottolineare la ricorrenza di una simile figura nelle culture più disparate: basterà dire che è una figura prometeica.

Il suo segno è un grande e affilato uncino, che ci consente, inoltre, di avvicinarlo a un'altra figura del pantheon greco-romano, che forse ci è più familiare di quello polinesiano: Crono, il dio che, armato di falce, ha perpetrato la prima divisione traumatica nel mondo unitario del Cielo e della Terra, evirando il padre e separando per sempre le due dimensioni, dando così, in pratica, inizio alla realtà come la sperimentiamo ogni giorno.

La medesima operazione, il furto del cuore, è qui ammantata da una fosca aura di maledizione, ma questo non ci può impedire di scorgere nè la somiglianza con il gesto fondativo di Crono, nè la profonda consequenzialità del furto con l'attività civilizzatrice di Maui. Sarei anche tentato di operare un'inversione cronologica, ponendo il furto a monte dei doni del dio agli uomini: in ogni caso, il furto è il senso, la verità, di Maui.

Come ogni verità, anche la verità di Maui è violenta e perturbante: necessita di essere velata nel mito della Natura Offesa.

Ma cosa ha di particolarmente difficoltoso questa verità? Semplice: che riguarda noi in due sensi molto precisi. Innanzitutto come uomini quindi esseri culturali e non naturali, in particolare come uomini moderni.

Veniamo quindi a Vaiana: innazitutto lei è una principessa, quindi una figura che già socialmente si trova in condizione inquieta: una successione e allo stesso tempo una discontinuità col passato. Non importa quanto amorevole sia la successione: perchè Vaiana possa regnare, ciò che c'era prima deve morire. Vaiana vive spasmodicamente in attesa di poter attuare la sua missione faustiana e distruttiva: quanto più il mondo che la circonda le appare idilliaco e quieto, omogeneo e unitario, tanto più l'istanza della distruzione si fa pressante; quanto più si avvicina l'avvento del suo regno, tanto più la fine traumatica dei tempi appare necessaria.

Tuttavia Vaiana non è una figura nichilistica: se la sua base è la cieca forza oceanica, la sua vocazione è mosaica. La navigazione è il suo segno.

A questo punto la favola primitivista si mostra per quello che è: un ragionato apologo del capitalismo, come forza propulsiva del progresso. E si mostra tale proprio per sottrazione, meglio: rimozione. Infatti, quello di navigare appare come un obbligo assoluto e cieco: non se ne rivelano le contingenze. All'apice della sua avventura isolana, Vaiana arriva a scoprire che la storia del suo popolo è il presente del suo desiderio: guidata dalla nonna, che poi opportunamente muore (in questo senso è una figura del padre), Vaiana scopre una grotta che celerebbe le navi che hanno condotto gli antenati del suo popolo sull'isola, navi che il padre - sovrano geloso, anche qui una figura dotata un'ampia risonanza culturale - cela alla vista di tutti i suoi sudditi a causa della sua personale avversione alla navigazione. La ridicolaggine della scoperta del segreto di pulcinella (davvero nessuno si era mai chiesto come si era popolata l'isola?) è un tocco da maestro degli sceneggiatori che rivela una verità profonda: il passato è creato dal presente di Vaiana, la storia, questo viaggio senza un perchè, senza istanza di commercio o conquista è ciò che Vaiana vuole vedere della sua missione, un po' come Maui risulta riluttante a mettere compiutamente in relazione furto e dono.

Ecco l'ideologia della storia nella sua forma base: una sorta di autorizzazione del presente sulla scorta del passato. "Navigavano i nostri padri, navigavano le nostre madri, e noi che figli siamo..." canticchia tutta contenta la principessa.

Un male oscuro comincia ad appestare l'isola, la conseguenza del primigenio dissidio con la Natura, il nulla, il caos, si dice.

Edipicamente: è Vaiana il contagio che appesta la sua città. È Vaiana il regno del miasma, o meglio, il nero nulla è il travaglio in cui il suo regno nasce. Un altro tocco di classe della sceneggiatura: sposiamo tutti senza dubbio alcuno la versione di Vaiana nei confronti di se stessa: "Dobbiamo andare a restituire il cuore alla natura, in modo da far cessare il contagio".

Questa interessante versione dei fatti, una mistificazione ideologica necessaria a far accettare ai suoi sudditi e a se stessa la necessità della distruzione dell'idilliaco mondo isolano, è assolutamente smentita dal finale del film. Qui non si tratta di pacificare la natura, ma di ucciderla, di nuovo e definitivamente, e non si tratta di salvare il giardino dell'Eden, ma di abbandonarlo.

Mano nella mano con se stessa, con il suo doppio divino in cui si è alienata (delirio di onnipotenza di Vaiana), la principessa, dopo varie prove - tutti episodi assolutamente gustosi, ripeto: il film è un capolavoro da  ogni punto di vista, canzoni comprese - giunge allo scontro finale con il temuto demone Te Ka, che altri non è che la versione distruttrice e adirata della materna Te Fiti Natura. Per non saper nè leggere nè scrivere, Vaiana li fa fuori tutti e due: il primo a legnate, la seconda mettendola a dormire previa restituzione del cuore. Che Vaiana si comporti nello stesso modo con entrambe le incarnazioni della Natura, è assolutamente evidente, solo che lo spettatore resta impigliato nella stessa mistificazione della narrazione. In fondo: il film comincia con una storia di mostri raccontata a dei bambini. E se tutto il film fosse la storia di Vaiana, il discorso di Vaiana, la fantasia di Vaiana su se stessa e sul suo ruolo regale? E se tutto il film  fosse, quindi, l'ennesima fantasia di noi moderni su noi stessi e sulla nostra natura deicida e regale al tempo stesso? Il capitalismo non rivelerà mai apertamente il suo piccolo e sporco segreto, che non è quello di abusare degli uomini e della natura - quello è pacifico, bensì quello di non essere, e non poter costituzionalmente essere un ordine. Pacificata la natura, non resta che tornare nell'Eden e finire il lavoro. Il miasma è rimosso, e adesso l'Eden può essere abbandonato: la contraddizione stridente di questo sviluppo del film è la sua verità. Non ci sono mai stati nè Te Ka, nè Te Fiti, nè Maui e forse neanche Vaiana, ma solo la forza indomita del progresso capitalistico.

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