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Mean Streets

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Mean Streets

di Raffaele92
6 stelle

“Mean Streets”, ovvero: la giovinezza di Scorsese. Difficile immaginare qualcosa di più autobiografico di questo film: è insieme un diario di gioventù e uno spaccato di quartiere, di luogo, di etnia, un’opera personalissima. Non così sperimentale come “Chi sta bussando alla mia porta?” (1969) – precedente film del regista – e non contrassegnata da quello sguardo grottesco, onirico e visionario che l’autore avrebbe fatto proprio negli anni a venire. Trattasi invece di un film fortemente realista, non propriamente asciutto ma decisamente sobrio.

E c’è tutta la Little Italy degli anni ’70 in questa pellicola: le strade marce, i locali fumosi e (più o meno) malfamati, il denaro, la malavita e la chiesa. O meglio, la religione, che è uno dei temi cari a Scorsese.

È una fotografia d’epoca che dà l’effetto (voluto) di un documentario, intervallato però da stupendi momenti di cinema (Harvey Keitel che all’inizio entra nel locale con “Tell Me” dei Rolling Stones in sottofondo, e Robert De Niro che fa lo stesso poco dopo accompagnato da “Jumpin’ Jack Flash” degli stessi).

Quell’indescrivibile forma che di lì a qualche anno si sarebbe erta a stile comincia ad emergere, ma ci troviamo ancora agli albori. In altre parole manca quella sicurezza che avrebbe reso grande il regista italoamericano, che deve ancora crescere e fare strada, ma promette benissimo. Nel trascinarci dentro i bar e le sale da biliardo, nel farci ascoltare le canzoni che lo hanno tenuto sveglio la notte e che hanno fatto parte delle sue serate e scorribande, Scorsese regala un concentrato di pura nostalgia propria sì ad un passato esistenziale a lui esclusivo, ma del quale finiamo per sentirci partecipi.

“Mean Streets” va visto in quest’ottica, adottando questo punto di vista.

Un cult movie – seppure non tra i più irrinunciabili – nel quale Scorsese flirta col gangster anticipando le atmosfere di “Quei bravi ragazzi”.

Quella in analisi è quindi un’opera importante per tre motivi in particolare:

1-      Perché senza di esso non ci sarebbe mai stato il capolavoro del 1990 appena citato

2-      Perché ha lanciato attori del calibro di Harvey Keitel e Robert De Niro

3-      Perché ogni autore che sia disposto ad aprirsi, mettendo in scena (e quindi condividendo) il proprio vissuto personale, merita di considerazione e rispetto.

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