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Cruising

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Cruising

di cheftony
6 stelle

Questo lavoro non posso farlo, capitano. Non credo di farcela, ecco, tutto qui. Non lo so neanche io che… che… Mi stanno succedendo delle cose – capisce – che… Non credo di potercela fare. E comunque non è perché… perché ho paura o roba del genere! È che devo mandare giù delle cose schifose che… non credo di poter…”

Tu mi servi! Sei il mio collaboratore, non mi puoi piantare! Ci siamo dentro fino al collo e conto su di te!”

 

Fumosa e movimentata, l'estate newyorkese, soprattutto per i gay dediti al cruising, ovvero all'attività di rimorchiare: un serial killer sta seminando il panico da tempo tra i frequentatori dei locali S&M, abbordando di consueto giovani vittime dai capelli neri per poi ucciderle dopo averci praticato sesso e bondage.

È qui che entra in scena per banali caratteristiche fisiognomiche l'agente Steve Burns (Al Pacino), incaricato dal superiore Edelson (Paul Sorvino) di agire sotto copertura nei club leather per attirare l'assassino e consegnarlo alla giustizia. Tanto perplesso quanto allettato dalla prospettiva di una promozione, Burns accetta di buon grado, tenendo all'oscuro di tutto – primariamente per ragioni di sicurezza – la dolce fidanzata Nancy (Karen Allen).

Dopo aver affittato un appartamento sotto falso nome, Steve fa amicizia col vicino omosessuale Ted (Don Scardino), morigerato, fidanzato, estraneo agli ambienti del clubbing e dunque di poco aiuto ai fini delle indagini. Per contro, immergersi a capofitto nelle serate a tema sadomaso nei club più malfamati di New York sembra dare pian piano i suoi frutti, ma gli omicidi proseguono, una pista si rivela falsa e il caso assume vaghi contorni politici a livello di gestione da parte delle forze dell'ordine. Intanto Burns si sente combattuto e cambiato, proprio quando ha individuato la pista giusta…

 

Al Pacino

Cruising (1980): Al Pacino

 

Cruising” è un a dir poco controverso lavoro partorito da Friedkin, che si incaricò anche della sceneggiatura ispirandosi ad un omonimo romanzo di Gerald Walker, reporter del New York Times. L'ispirazione gli venne un po' all'improvviso: a detta sua, rimase molto colpito dall'arresto di Paul Bateson, tecnico radiologo apparso fra il personale specializzato ne “L'esorcista” e responsabile dell'assassinio di un uomo conosciuto in un gay bar; Bateson si accusò – anche poco verosimilmente – di altri delitti commessi negli anni '70, in gergo detti “fag in the bag” (finocchio nel sacco, letteralmente): omosessuali uccisi, fatti a pezzi e gettati in sacchi neri nel fiume Hudson, in sostanza. Casi tuttora irrisolti. Con la consulenza di Randy Jurgensen, poliziotto del NYPD (che si infiltrò nella scena gay newyorkese per risolvere i delitti) e occasionale attore, Friedkin avvertì scaturire la scintilla.

Diversi esponenti della comunità LGBT e della subcultura leather, ritratta nei dettagli e con connotati poco graditi, protestarono fin dalla lavorazione stessa di “Cruising”, forse a ragion veduta, forse pretestuosamente; fatto sta che Friedkin al tempo aggiunse un disclaimer ai titoli di testa, col quale avvisava che le scene ritratte rappresentavano solo una piccola parte della comunità gay. Il gesto venne tuttavia interpretato come paraculo e come ammissione di colpa, ma poco cambia, giacché la scritta è stata rimossa dall'edizione rimasterizzata del 2007. Certo, se questa faccenda arriva al massimo ad essere opinabile, resta quantomeno discutibile il messaggio subliminale disseminato nella scena del primo omicidio (peraltro girata in modo superbo), con l'inserzione di fotogrammi raffiguranti una penetrazione anale fra due uomini in concomitanza alla lama del coltello che affonda nella carne.

 

scena

Cruising (1980): scena

 

Al fine di evitare almeno la tagliola censoria, Friedkin rimosse personalmente 40 minuti di pellicola, perlopiù contenenti materiale decisamente spinto e andati perduti, ad ogni modo; allo stato dell'arte, l'organicità del film risente parecchio del montaggio poco felice e contribuisce alla tremenda ambiguità da cui comunque “Cruising” trae linfa. Lo smarrimento d'identità dell'agente Burns è poco chiaro e precipitoso, le dinamiche dell'intrigo affossano presto il versante thriller, la critica alla polizia perde efficacia e l'individuazione dell'assassino risulta scolastica, per quanto la figura dell'omicida sia esaltata da un'originale trovata: quella di farlo interpretare da attori diversi, riprendendone in modo sfuggevole i connotati, così facilmente riscontrabili in molti dei partecipanti alle calche leather dei bassifondi di New York. Ma anche qui c'è un problema: l'idea sembra suggerire che gli assassini siano sempre diversi, quasi a voler dimostrare che ogni omosessuale sia potenzialmente un pervertito omicida. Questa chiave di lettura, al tempo largamente diffusa, è un po' forzata ma accalorata dal romanzo di Walker e dal pre-finale, in cui il faccia a faccia rende indistinguibili poliziotto e maniaco, abbigliati alla stessa maniera.

Un altro appunto sollevabile a “Cruising” è relativo alla direzione degli attori, dei quali l'incontentabile regista non si disse soddisfatto: tuttavia Al Pacino è una garanzia (nonostante contribuisca all'ambiguità del suo personaggio con uno spaesamento forse involontario), mentre la deliziosa Karen Allen è praticamente sprecata, costretta ad una particina mortificata. La colonna sonora è stata curata da Jack Nitzsche, che ha inserito nel mucchio un pezzo dei Germs (band seminale e urticante della tardiva scena American punk) e molti dei Mink DeVille, senza i quali la sordida rappresentazione dei club non avrebbe avuto la stessa potenza, nonostante la scarsissima attinenza della musica al contesto.

Insomma, a trentasei anni di distanza è ancora difficile parlare di “Cruising”: vituperato allora, oggigiorno parzialmente rivalutato, è un film mosso da un certo coraggio nello “scomodare” certe tematiche, laddove il cinema di primo piano offriva al massimo sguardi marginali e macchiettistici all'omosessualità; il tutto, però, con fare ostinato, pretestuoso e confuso, mancando completamente della lucidità psicanalitica di “Festa per il compleanno del caro amico Harold”, sempre diretto da Friedkin nel 1968 e - quello sì! - film a tema queer fondamentale.

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