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Cruising

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cruising

di precint13
10 stelle

Quando uscì nel 1980, Cruising detonò come una bomba. Il suo ritratto della comunità gay notturna newyorchese fu accusata di razzismo omofobo, colpevole di ritrarre gli omosessuali come perversi pederasti. Suscitò l'indignazione e le proteste di associazioni gay che arrivarono a boicottare le riprese in esterni e provocò l'ira dei benpensati per le scene di violenza (riviste oggi, di una cruenza quasi risibile rispetto ad eccessi gore di tanto cinema successivo) e di sesso hard (che, com'è come non è, viene spesso lasciato fuori campo).
Era tratto da un romanzo (1970) del reporter Gerald Walker, ma l'intreccio fu sviluppato anche basandosi su alcuni articoli di Arthur Bell per Village Voice riguardanti taluni omicidi (insoluti) di omosessuali in locali sadomaso e sugli incontri tra Friedkin e l'agente Randy Jurgensen (che nel film ha una piccola parte) che, come Al Pacino nel film, dovette fingersi gay per incastrare un assassino seriale... Senza dimenticare l'impatto che sul regista ebbe la notizia che Paul Bateson, una comparsa de L'esorcista (uno dei precedenti film dello stesso Friedkin, e il suo più famoso), era stato arrestato per aver commesso alcuni omcidi ai danni di omosessuali da lui adescati in locali promiscui.
Raccontava la storia dell'agente Steve Burns, incaricato d'infiltrarsi tra i frequentatori di locali gay notturni, fingendosi omosessuale, per rintracciare un serial killer. L'incarico, però, ha un effetto devastante sulla sua psiche, mentre poliziotti omofobi si compiacciono della propria brutalità.

Ho appena riguardato il film per due volte consecutive (e non ho idea di quante volte l'abbia ripassato - anzi, ri-visto - mentalmente). Raccogliendo opinioni dalle più disparate fonti, posso dire di comprendere perfettamente (nonché umanamente) le ragioni di chi ha rifiutato questo film per i motivi prima citati, ma bisogna ammettere onestamente che la cruda, quasi asettica rappresentazione di poliziotti stupidamente, acriticamente omofobi è altrettanto chiara e potente (Pacino:"Non si più arrestare una persona solo perché gay")... E non è forse vero che la scena più dolorsamente commovente del film è quella in cui un gruppo di agenti costringe un povero ragazzo innocente, arrestato per vizio tecnico, a masturbarsi di fronte a loro e lasciar galleggiare i testicoli nell'acqua (scena che per giunta, con una condivisibile scelta di moralità della visione, rimane ferma alla coercizione psicologica e amputata dell'atto fisico)? Certo è che Friedkin, precedentemente accusato di giustizialismo (Il braccio violento della legge), è qui diventato "reazionario" e addiritura "fascista". Non scherziamo con le etichettature facili.
Si è parlato di pornografia e violenza. E, probabilmente, all'epoca la pellicola poteva essere uno shock; ma oggi, bombardati da teorie d'immagini accavallatesi le une sulle altre, bisognerebbe riformulare certi giudizi: Battaglia nel cielo di Reygadas si apre con una fellatio praticata da una ragazzina ad un uomo maturo; il troppo poco visto Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco esordisce con un rapporto anale tra un'asina e un oligofrenico; Eyes Wide Shut ci ha mostrato una massoneria occulta dedita ad orge di piacere e potere... E l'elenco potrebbe essere interminabile.

Ma veniamo strettamente al film.

Inevitabile pensare che Friedkin, regista profondamente cattolico, sia rimasto affascinato da una nuova meditazione su ciò che comunemente chiamiamo Male. Se L'esorcista raccontava il germogliare di un'ancestrale malvagità immanente in un contesto sociale (una malvagità "mestruale" di cui la piccola Reagan è in qualche modo "madre"), in Cruising siamo già oltre. Questa comunione/cesura tra male sociale e male genetico è già stata assorbita da una giungla urbana priva di certezze, è diventata in qualche modo a-fisica (più che meta-fisica, come ho letto da qualche parte). Non c'è più bisogno di appellare il demone Pazuzu. L'identità stessa (non solo sessuale) è completamente indefinibile, circoscrivibile, è materiale plastico capace di deformarsi ad ogni minima sollecitazione. "Ci sono molte cose che non sai di me" - dice Steve alla fidanzata Nancy. Ma siamo sicuri che lo stesso Steve abbia un'idea chiara di ciò a cui si riferisce? Quando Nancy risponde "Che cosa?", un gravido, minacciso, perturbante silenzio conduce alla dissolvenza incrociata del cambio scena. L'assassino stesso è solo un involucro senza corpo, recipiente d'occhi senza volto. E' ripreso in penombra, la sua sagoma è sfumata, è l'innaturale (o naturalissima?) prosecuzione del fuori campo. Lo interpretano diversi attori, tutti doppiati dalla stessa voce ("voce di Jack" si dice nei titoli)... E alla fine non ha quasi importanza se l'assassino sia una sola persona, siano dieci, cento, centomila. La vittoria di Pazuzu è forse simbolica, in una possessione senza posseduti.
Un eterogeneo deliquo di significanze cui però Friedkin si rivolge con l'abituale secchezza, senza filosofismi che non siano pura immagine (o suono... meraviglioso il lavoro sulla colonna sonora di Jack Nitzsche). Basti pensare alla straordinaria, allucinante descrizione della New York notturna; una metropoli tinteggiata da cromie nette e distinte, in cui pressoché ogni scena ha una singola tonalità dominante (il blu principalmente, ma anche il rosso, il nero, il verde ecc.). E per contrasto, i contesti quotidiani e burocratico/amministrativi sono invece padroneggiati dai "normalizzanti" grigi, marroni, acciaio.
Comprendo chi nella pellicola ha intravisto diversi difetti strutturali o costruzionali, ed effettivamente a qualcosa essa presta il fianco. Si possono rimpreverarle alcune imperfezioni: il personaggio della Allen è poco sbucciato, forse insipido; la crisi d'identità di Pacino sembra avvenire quasi troppo velocemente (si sente la mancanza di quei 40 minuti di tagli di momenti ritenuti allora troppo "osceni"); la denuncia dei piccoli, deprimenti escamotage politici conseguenza di questo "malato" patto sociale la si vorrebbe più sviluppata (ed è esplicitata in una sola scena tra il personaggio di Paul Sorvino e il suo diretto superiore); il retaggio psicanalitico del presunto assassino è francamente un po' tirato via... Tutte cose che si debbono deontologicamente citare, ma che ho assorbito senza problemi nel corso della visione (e delle visioni ed extra-visioni). Perché, se accettato, il film ha una potenza raggelante, quasi agghicciante, è un lento stillicidio d'inquietudini e turbamenti atavici che sono impossibili da esplicitare verbalmente. E perché l'immenso Pacino che si guarda allo specchio dopo essersi rasato è una di quelle immagini che penetrano nella mente (senza bisogno di tirare in ballo la coscienza) senza uscirne più.

P.S. Ho rivisto il film in inglese in entrambe le occasioni, ma ricordo il doppiaggio italiano sufficientemente bene per permettermi comunque di lodare la straordinaria performance di Giancarlo Giannini

P.S. 2: il rapporto tra Friedkin e Pacino non fu proprio un rapporto d'amore, e non sono sicuro che il regista fosse del tutto soddisfatto della performance dell'attore italo-americano... ma Cruising senza Pacino che film sarebbe stato? (pensate anche solo a come i pochi spunti interessanti di Jade siano spazzati via dalla piattezza di David Caruso!)

P.S. 3: è la seconda volta in cui Friedkin ritorna sulla tematica omosessuale. Lo aveva già fatto con Festa per il compleanno del caro amico Harold (dal testo teatrale di Mart Crowley), in cui però la vertenza era su personaggi d'estrazione borghese, intellettuali o (quasi tutti) benestanti.

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