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Delicatessen

Regia di Jean-Pierre Jeunet, Marc Caro vedi scheda film

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DeathCross

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Delicatessen

di DeathCross
10 stelle

Gioiellino francese diretto da Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet (celebre per "Le Fabuleux Destin d'Amélie Poulain" e "Aliens - Resurrection"), il film racconta in chiave grottesca una storia post-atomica (tra i vari indizi, si capisce che gli animali si sono praticamente quasi tutti estinti, e di loro restano solo dei suoni riprodotti in scatola), resa a-temporale dalla fotografia virata in seppia.

 

Già nel prologo, con la vittima che si cammuffa da spazzatura per scampare al suo macabro destino, i due registi riescono a catapultare lo spettatore nell'atmosfera dell'opera, grazie anche all'uso attento del sonoro (i rumori di lame diffuso per i tubi). Ciò che segue, a partire dagli ottimi titoli di testa sul tavolo da macellaio, è un parto continuo di scene memorabili tanto nella concezione quanto (ed è questo l'importante) nella messa in scena: il vecchio che vive in mezzo ai rospi in un appartamento-stagno nutrendosi di chiocciole; la scena del tè con la figlia del macellaio che si muove per la stanza miope come una talpa; il doppio incubo dalle tinte fortemente surreali; la vecchietta attirata per le scale facendo rotolare un gomitolo (e che, invece di spaventarsi per il macellaio, urla per il ragno); l'allagamento finale del condominio; i tentativi di suicidio orchestrati con particolare abilità dalla moglie dell'inquilino ricco; infine, la celebratissima scena dove i cigolii del letto sui cui il macellaio e la sua amante fanno sesso danno il ritmo a tutte le azioni svolte nell'edificio, e l'orgasmo è accompagnato dalla rottura della corda del violoncello, dalla caduta del protagonista (intento a verniciare il soffitto) e da altri disastri; scena, questa, parzialmente ripresa nella riparazione da parte dell'artista della molla, solo che in questa scena sono lui e la donna che seguono il ritmo della musica hawaiana e dell'orologio.

 

La genialità dello stile della coppia di autori, oltre a regalare numerosi momenti di grande divertimento, risulta ottimale anche per la fruizione, da parte del pubblico, dei contenuti che l'opera contiene, senza esprimerli in maniera eccessivamente retorica o banale, ma servendosi di un linguaggio squisitamente poetico: in un periodo di crisi, laddove il pessimista e misantropo (ovvero il Macellaio, interpretato magistralmente da Jean-Claude Dreyfus) vede come unica via di sopravvivenza la sopraffazione del prossimo, rappresentato attraverso la metafora del cannibalismo, l'Artista (il magnifico Dominique Pinon), con l'uso della propria immaginazione e in virtù della sua visione positiva dell'Umanità, cerca (e trova) vie alternative affinché la società possa non solo sopravvivvere ma soprattutto convivere. Il protagonista, inoltre, riesce anche a perdonare chi fa del male agli altri individui (non solo umani), perché, pur non notando la natura cannibale dei suoi conquilini (di cui nota, ingenuamente, solo la gentilezza), comprende come la "cattiveria" della gente non sia colpa di una natura malvagia quanto frutto delle coincidenze o dell'inconsapevolezza. Infatti, il Macellaio è una vittima della situazione di carestia e della filosofia totalmente negativa che si è costruito, e per questo crede fino alla fine di essere nel giusto (l'apparente redenzione dopo aver origliato la conversazione tra sua figlia e l'artista si rivelerà essere un trucco per attirare sul tetto la sua preda). Nascosto dalla sua visione spietata del mondo, egli subisce con profonda sofferenza l'odio che la figlia nutre per lui, e la sua vena distruttrice si tradurrà inevitabilmente (e quasi shakesperianamente) in una spinta auto-distruttrice: il male da lui commesso, pur con tutte le buone ragioni, gli tornerà indietro, e non a caso l'arma responsabile della sua morte è un boomerang affilato (e la sequenza in cui, con la lama piantata nel cranio, chiede se abbia qualcosa infilzato in testa, si siede e muore è una scena tragicomica da antologia).

Particolare interessante è il fatto che i cereali siano usati dai cannibali come monete, perdendo così il loro valore concreto di cibo: ciò significa, con tutta probabilità, che per i due autori il denaro non ha una vera utilità e quindi l'ansia di possesso di stampo capitalistico è oltremodo stupida e (auto)distruttiva.

Per quel che riguarda i personaggi,  i due autori non esprimono giudizi e sentenze, perché nessuno in fondo è realmente cattivo e nessuno, comunque, è privo di pecche, nemmeno i protagonisti: l'ingenuità dell'artista rischia di portarlo al macello, e la visione smaliziata del mondo della figlia del macellaio in certi punti è vicina al pessimismo (se non addirittura al cinismo) del padre (quando l'altro la spoglia, dall'espressione si nota leggermente che lei crede/spera che intenda approfittarsi di lei).

 

Concludendo, va precisato che, pur non essendo esente da difetti come l'eccessivo buonismo (e non l'apparente illogicità di fondo, essenziale per la narrazione), l'opera in questione resta in ogni caso, se non un Capolavoro, uno dei film (non solo europei) più riusciti negli ultimi decenni, e merita la visione (e l'apprezzamento) di chiunque si professi amante del Cinema.

Poetica la scena finale coi due protagonisti che si cimentano in un curioso duetto ad archi (violoncello lei, sega lui), mimati dai due bambini.

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