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Lulù

Regia di Georg W. Pabst vedi scheda film

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La recensione su Lulù

di ed wood
7 stelle

Considerato uno dei capisaldi del cinema muto tedesco, in particolare della cosiddetta "Nuova Oggettività", il film di Pabst entra di diritto nella leggenda per aver lanciato una figura di femme fatale maledetta, dalla caratteristica capigliatura a caschetto, che sarebbe stata fonte di ispirazione per svariati artisti nei decenni a seguire. Al di là dell'indubbio valore iconografico, l'aspetto prettamente espressivo di questa opera andrebbe, a mio avviso, almeno in parte ridiscusso. "Lulù" non è proprio paragonabile a certi grandi film espressionisti e kammerspiel che venivano prodotti in Germania in quel periodo, come quelli di Lang e soprattutto Murnau, ma non solo: "Lulù" perde forse il confronto anche con altre opere, molto meno celebrate, della Nuova Oggettività, come "Asfalto" di May. Quest'ultimo, ad esempio, beneficia di un gusto ed una fantasia non comuni nella messinscena (in particolare una mdp molto mobile e suggestive riprese in esterni metropolitani). Pabst opta invece per uno stile composito ma impersonale, conteso fra la stilizzazione teatrale e il realismo psicologico. Indubbiamente la direzione attoriale è ottima, sensibile, raffinata e capace di cogliere la complessità del testo. Quello che manca è un certo grado di fascinazione visiva, quella capacità di definire uno stile peculiare, inconfondibile, di marchiare a fuoco ogni inquadratura, di inventare una estetica, di imporre uno sguardo. Certo, è una prerogativa dei più grandi e un Murnau, per fare un esempio, non nasce certo tutti i giorni: il fatto è che Pabst viene considerato fra i Maestri del cinema e, a giudicare da questo film, parrebbe invece qualcosa di meglio di un "minore", chiaramente, ma non certo uno di quelli che hanno segnato nel profondo il linguaggio cinematografico. Non bastano le influenze su Fassbinder o altri esponenti del cinema moderno a consegnare "Lulù" all'Olimpo della Settima Arte: senza dubbio, dal punto di vista sia stilistico sia ideologico, in questo caso l'allievo (RWF) supera il "maestro". Pabst si ritrova inoltre a gestire un copione fin troppo elaborato e dispersivo, afflitto da una debordante varietà di personaggi coagulati in articolate sequenze corali: il dietro-le-quinte del vaudeville, il matrimonio-farsa di Lulù, la bisca clandestina. Verrebbe da pensare che forse, a livello narrativo e descrittivo, questo film sia troppo avanti per le possibilità del cinema muto e che sarebbe stato bello veder realizzato qualche anno più tardi, col sonoro e i dialoghi fluenti. C'è da dire che Pabst si districa bene nel labirinto, indovinando il momento dei primi piani e tenendo ben tesi i fragili fili che reggono l'impalcatura. Senza dubbio, la carica erotica sprigionata da molte scene è anche opera di alcune sue ardite intuizioni, come la schiena nuda della Brooks, ma ancora di più i dettagli delle sue mani mentre accarezzano voluttuosamente il corpo della lesbica Anna e, in generale, i frequenti primissimi piani sui volti divorati dal desiderio. Discutibile è anche la gestione di luci ed ombre, che non raggiunge l'efficacia e la potenza della scuola espressionista, forse proprio per distinguersi da questa, creando un universo di "penombre" a significare l'ambiguità morale dei personaggi. In una galleria che alterna figure riuscite (la contessa omosessuale, il vecchio arrapato) ad altre del tutto fuori luogo (Jack lo Squartatore!), domina incontrastata la Lulù di Louise Brooks, perno attorno a cui ruotano interessi finanziari e bramosie sessuali di tutti gli altri personaggi, donna-oggetto in cui convivono irrazionalmente cinismo ed ingenuità: tanto svampita quanto crudele, consapevole e complice della sua condizione di "sfruttata" ma per nulla decisa a ribellarsi (piuttosto, pronta a capovolgere la situazione a suo favore), Lulù è il prototipo dell'anti-eroina moderna, indifferente, apatica, sfuggente (cosa nasconde, ogni volta, dietro a quello spavaldo sorriso?), ambigua, sempre pronta a correre il rischio di auto-distruggersi (o a sacrificare qualche suo spasimante) pur di ottenere ciò che vuole.

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