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Assassin's Creed

Regia di Justin Kurzel vedi scheda film

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La recensione su Assassin's Creed

di Tom_96
4 stelle

Il paragone non è mai propedeutico alla critica cinematografica, perché aggiunge della nozionistica sterile del tutto inutile all'analisi e alla valutazione del prodotto. Per questo dire che “Assassin's creed” di Justin Kurzel, pur nella sua mediocrità, è il miglior film tratto da un videogame di successo non è solo sbagliato (o quantomeno relativo, visto che ad esempio la prima trasposizione di “Silent hill” era molto valida) ma ancor di più irrilevante nell'economia di un giudizio complessivo. La critica è coerente nel momento in cui vengono messi in evidenza pregi e difetti di un'opera senza che questi vengano giustificati da fattori esterni all'opera stessa, in relazione anche ad un elemento vincolante come la soggettività di chi ne parla. Dunque “Assassin's creed” è un bel film? Non lo è, tuttavia se lo si vuole salvare almeno in parte è possibile farlo evitando i paragoni con altri prodotti dello stesso genere francamente ignobili. Si può partire, invece, dalla struttura narrativa: Callum Lynch è un omicida dal passato tormentato a cui viene risparmiata la condanna a morte in quanto ultima speranza per la fondazione Abstergo di recuperare la mela dell'Eden, manufatto leggendario conteso nell'antichità e nascosto dall'assassino Aguilar de Nerha, del quale Callum è discendente diretto. La missione del protagonista sarà quella di rivivere il ricordi del suo antenato tramite una particolare tecnologia (l'Animus) e trovare il prezioso oggetto. Kurzel si pone in maniera ambigua nei confronti della storia, perché se da una parte sembra essere consapevole delle scarse potenzialità di una narrazione tanto improbabile, dall'altra sceglie di raccontarla in maniera fin troppo solenne, ricercando un senso di epicità non riscontrabile in una sinossi nella quale il regista stesso non crede. Per tutto il film si ha la sensazione che a Kurzel non stiano particolarmente a cuore le dinamiche narrative, tanto che non è chiaro quale sia l'effettivo potere della mela dell'Eden o quali siano le motivazioni di fondo alla base di una rivalità come quella tra assassini e templari che attraversa i secoli e la storia; mancanze simili a livello di scrittura, che si riflettono anche sui personaggi e i rispettivi background, non costituirebbero un problema se Kurzel scegliesse di abbassare i toni intimisti e seriosi per evitare di prendersi davvero sul serio. Se la semplicità della trama era un pretesto per immergere lo spettatore nell'azione frenetica e nelle sequenze di combattimento al cardiopalma, il regista doveva essere coerente con sé stesso e non cercare una tensione verso l'eroico che non esiste. Solo a quel punto le scene d'azione, ben coreografate e spettacolari, avrebbero avuto una loro ragion d'essere: al contrario così risultano solo delle sporadiche ventate di adrenalina in un mare di noia. Non viene in aiuto l'approccio registico e fotografico di Kurzel, in quanto sì le sequenze action sono visivamente accattivanti e dalla dinamica quasi sempre leggibile grazie a un buon montaggio, ma l'utilizzo insistito della ripresa aerea (caratteristica del videogioco) e del giallo polveroso come colore primario per tutti gli esterni, sia quelli ambientati nella Spagna del 1492 che quelli moderni, rendono il ritmo più blando e la pesantezza più evidente. Michael Fassbender, che è anche produttore, riesce a donare al proprio personaggio un minimo di carisma che qualsiasi altro attore, con una scrittura tanto anonima, avrebbe reso dimenticabile; Marion Cotillard riesce quasi a tenergli testa ma lo stesso non può dirsi né per i comprimari, davvero inesistenti, né tanto meno per il villain, un annoiatissimo Jeremy Irons che per la maggior parte del film non fa altro che guardare quello che succede con le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto. Una situazione che per certi versi lo accomuna allo spettatore, ugualmente apatico e distaccato seppur più amareggiato, perché “Assassin's creed” poteva essere un film vincente se solo avesse preso le distanze dall'abitudine, ormai sempre più frequente nel cinema di oggi, di voler essere molto di più di quello che in realtà è. E questo sì che può essere propedeutico, specialmente alla macchina Hollywoodiana recente: l'umiltà

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