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La linea gialla - Bologna, 2 agosto

Regia di Emilio Marrese vedi scheda film

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La recensione su La linea gialla - Bologna, 2 agosto

di OGM
7 stelle

Come si fa a dire di no. A dire che questo film non ci convince, perché non ci racconta niente di nuovo. Perché forse rompe il silenzio inutilmente, con un brusio inventato ad arte, solo per riempire lo spazio immensamente vuoto di un ricordo. È vero, non serve a niente piangerci addosso, per il fatto che, dopo trentacinque anni, di quella maledetta strage non sappiamo ancora nulla, e dobbiamo accontentarci di immaginare ciò che può essere successo.  Ma il punto è che possiamo fare di più. Possiamo immaginare ciò che sarebbe stato, se, in quel tragico giorno d’estate, nel cuore di Bologna, nessuna bomba fosse esplosa. Se quelle riprese, offuscate dalla polvere e dal pudore che, talvolta, frena il dovere il cronaca, fossero solo sequenze di un film che gioca con i flashback, con i fantasmi del passato appartenenti a personaggi di fantasia. Sarebbe un modo legittimo, e delicatamente poetico, di ridare dignità alla nostra ignoranza, alla nostra incapacità di capire, al nostro rifiuto di archiviare l’assurdo come componente inevitabile della nostra storia repubblicana. Emilio Marrese propone, coraggiosamente, la sua sfida, lanciata contro una memoria che non c’è, che non si può elaborare razionalmente a causa della sua incompletezza. Il suo film è un invito ad attraversare quello squarcio che è rimasto aperto, nella parete di una sala d’attesa: una ferita dai bordi irregolari, dotata di una trasparenza che ci fa sì guardare oltre, ma che, allo stesso tempo, ci inchioda alla sensazione di abbracciare il nulla. L’elenco dei morti è affisso lì accanto. Sono 85 assenze, rappresentate simbolicamente da una sola: quella di Angela Fresu, la bambina di soli tre anni che, in un primo momento, insieme alla sua giovane madre, sembrava essersi dissolta nell’aria. Si può allora pensare di lasciarsi trasportare da quella transitoria illusione, carica di  ingenua speranza come di straziante disperazione, per proseguire una storia che non doveva finire. Angela potrebbe essere viva, oggi: una ragazza comune, anonima, sfuggente, così diversa da quel nome inciso a chiare lettere nel marmo. Potrebbe essere portatrice di quell’oblio salvifico che non deriva dalla dimenticanza, ma dalla sbadataggine che giustamente accantona le cose poco importanti, come un viaggio verso il mare interrotto, un’eternità fa,  per chissà quale futile motivo.  Sarebbe bello poter consegnare alle nuove generazioni un’eredità diversa, in cui quel 2 agosto del 1980 fosse una casella bianca sul calendario, senza nessuna annotazione, senza nessun punto interrogativo. Ma se ciò è impossibile nella realtà, ci resta solo l’inesauribile risorsa del sogno, in cui la verità dolorosa sfuma fino al’impercettibilità, riducendosi ad un sussurro che solo pochi sono in grado di udire. Una volta deposta la rumorosa retorica delle ipotesi fantapolitiche e delle accuse strumentali, dal fondo emergono le voci autentiche di chi conosce solo l’inestinguibile sofferenza di una vita recisa, di un addio repentino, di una vittima innocente, che conta infinitamente di più di tanti (quanti?) ignoti colpevoli.  I protagonisti di questo racconto – tutti vicini, in varia maniera, a qualcuna delle persone scomparse -  sono gli unici degni di raccogliere quelle testimonianze vive, benché postume,  di un dramma che, a dispetto dei depistaggi e delle reticenze, continua a stagliarsi netto nello specchio interiore in cui l’anima confronta il sé e l’altro da sé. La differenza, la distanza, la discordia si compongono allora in un dialogo spirituale il quale, nella dimensione delle emozioni individuali, offre quelle preziose risposte che la coscienza collettiva non ha saputo dare. Ognuno trova in sé i significati perduti, che aiutano a superare lo sbigottimento e il senso di impotenza, per trasformarli in nuove consapevolezze: conclusioni che, all’esterno, potrebbero apparire irrilevanti o discutibili, ma che, per chi le ha maturate, equivalgono ad una morale personalizzata, scritta in fondo ad una strana e triste favola, che non poteva restare incompiuta.  Non ho mai più pregato. Ho continuato a fumare, e sono ancora qui, io. Quel giorno sono diventato bolognese.  Le vite di tanti sono rimaste al di qua della linea gialla oltre la quale un fatale risucchio, in un attimo, ti può portare via. È una frontiera fittizia, colorata di luce per farla notare, che comunque è necessaria, per separare il nostro andare avanti, alla scoperta del nostro futuro, dai fatti che non possiamo più cambiare. Una striscia che ci trattiene nella realtà, entro confini sicuri che vorremmo davvero fossero ben chiari e precisi, anziché tanto fragili e confusi. 

  

Valentina Lodovini

La linea gialla - Bologna, 2 agosto (2015): Valentina Lodovini

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