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Cure a domicilio

Regia di Slávek Horák vedi scheda film

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La recensione su Cure a domicilio

di OGM
7 stelle

Andare via. Anche quando non si ha scelta, il viaggio può diventare fantastico.

Senza illusioni. Per Vlasta la realtà è stata sempre una dura banalità: troppi chilometri da percorrere, troppa gente sola e malata da accudire, troppa sofferenza cronica da alleviare con tanta fatica. I suoi giri tra i paesi della sua zona, come operatrice della sanità pubblica, l’hanno forgiata alla semplicità, quell’arma dolce sotto la cui carezza si piegano anche le avversità più rigide e tenaci. Preoccuparsi per gli altri è il suo mestiere, dimenticarsi si sé il suo segreto per andare avanti. La vita le ha insegnato che non c’è ferita, vera o finta, che non si possa curare, anche quando non serve a nulla. Essere presenti e offrire ascolto e conforto significa fornire un senso alle stranianti creazioni della disperazione, che genera mostri, follie, credenze e visioni. Vlasta è lì per condividere storie che hanno perso la strada, e dunque se ne inventano una a caso, da poter inseguire anche quando non sono più in grado di camminare o di orientarsi. Gambe piagate, schiene dolenti, corpi pesanti, menti paralizzate: il suo mondo è invaso da un immobile culto della magia, che riempie liricamente i giorni con la sua lamentosa e commovente assurdità. Uno spettacolo che si può amare assistendovi dall’esterno, ma di cui si può scoprire la sconcertante potenza solo cadendoci dentro: succede in un attimo, subito dopo aver saputo che la morte ha già cominciato a divorare le tue viscere, silenziosamente, e non ti lascia più scampo. Il calvario della malattia terminale può essere una fuga, anziché una battaglia: l’evasione in un sogno, che annienta l’incubo di una condanna senza appello. Vlasta recide il suo solido legame con la concretezza per imboccare fantasiose vie dell’anima, che promettono una salvezza indefinita e per questo incantano, forti di una seduzione malleabile a cui ognuno può dare la sua forma preferita. La sua esistenza si scioglie nelle fluide movenze di una danza, negli acrobatici viaggi dell’immaginazione, che indirizza il pensiero verso un altrove forse irraggiungibile, me che sembra ormai l’unica meta a portata di mano. Fuori dai percorsi obbligati della quotidianità c’è, per lei,  un universo privo di regole, in cui ogni errore è perdonato, compreso quel benedetto vizio del bere, quel bicchierino a colazione che probabilmente è stato la causa della sua rovina. Intano Lada, suo marito, continua a saldare. Congiunge pezzi di ferro, mentre sta chiuso un cantina, a costruirsi un letto che non potrà più far uscire dalla porta.  Lui sta fermo, a tenere insieme le cose che rischiano di finire sparse, come quella famiglia che deve rimanere unita, la figlia che si deve sposare, che sta per dargli un nipotino, che occorre festeggiare secondo la tradizione, stappando una bottiglia di acquavite sepolta tanti anni prima nell’orto. Riannodare i fili del passato è un antidoto contro un futuro che spaventa: un correre all’indietro che cerca il confortante abbraccio del vecchio per voltare le spalle al nuovo. Vlada, nel frattempo, ha iniziato a volare via: attraversa il presente sollevando i piedi da terra, ed è così che affronta anche i ricordi, mettendoli in musica, volgendoli in poesia. La sua scelta resiste alla consapevolezza che gli eventi non badano a lei, non stanno al suo gioco, e seguono invece indisturbati il loro crudele corso. Un’amarezza morbidamente addomesticata infonde al declino un accento di venerabile modestia e adorabile ingenuità. Il tramonto scende su una donna che ritorna bambina. Ed è sul suo saper essere, nel contempo, piccola e grande che, fra i canti e i balli degli increduli, miracolosamente si fa sera. 

 

Home Care ha concorso, per la Repubblica Ceca, al premio Oscar 2016 per il miglior film straniero.

 

Alena Mihulová, Tatiana Vilhelmová

Home Care (2015): Alena Mihulová, Tatiana Vilhelmová

   

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