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Un padre, una figlia

Regia di Cristian Mungiu vedi scheda film

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La recensione su Un padre, una figlia

di EightAndHalf
6 stelle

Guardare Bacalaureat è come osservare un gigantesco telo, spesso e rigido, sotto al quale si cela una miccia esplosiva. Il film di Mungiu (miglior regia a Cannes 69) è un film sempre sul punto di esplodere. La mdp infatti non è mai realmente ferma, tranne in rari casi in cui la tensione proviene da altro, da ciò che non vediamo, da ciò che sta dietro qualcos'altro. O magari da qualcosa che è oltre il piano nitido dell'immagine, e si cela nell'out of focus. C'è una continua tensione fra le parti nelle immagini di Mungiu, è il segreto della sua grande regia. Nasce dal suo sapersi occupare con fervore degli spazi pur con dei movimenti di camera che sembrano del tutto improvvisati, disattenti. In Bacalaureat però non c'è la discesa agli Inferi oscuri di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, non c'è la fissità disperata di Oltre le colline, ma c'è un'inquadratura mai realmente ferma, uno sguardo scostante, che non è neanche tanto consapevole di sé, tant'è che spesso non riesce a parlare e si fa ammutolire dai tanti, tantissimi fatti che si susseguono nella pellicola. E' splendido come Mungiu cerchi di rielaborare sotto un punto di vista meno contingente la percezione che Romeo ha del mondo che lo circonda. Nessun'altro personaggio è al centro come lui, in Bacalaureat, anzi la percezione degli altri sfugge sempre a noi spettatori. Noi rimaniamo (quasi!) sempre su questo filo, quello di Romeo, costretti fra un vuoto e un altro, fra l'onestà e la convenienza, fra l'affetto sincero e l'inconsapevole egoismo, se non addirittura arroganza. Ma in realtà noi stiamo ancora più a monte, fra la cortese voglia di appassionarci a una vicenda e la quieta rassegnazione che con Bacalaureat sembra che a Mungiu oggi serva qualcosa di cui parlare quasi didatticamente per riempire le sue immagini già chiare di per loro, e che non sia più abbastanza, per lui, il piccolo gesto o il piccolissimo evento, per raccontare l'oscurità di un intero Paese, evitando liste di istituzioni tutte più o meno corrotte (con i lati buoni e brutti, umani e puramente giuridici, che si porta appresso la pesantissima espressione "corruzione"), ed evitando di etichettare ogni suo personaggio come pedina di una trama mai del tutto oggettiva mai del tutto soggettiva (l'esagerazione dello spiegone sulle pietre scagliate). E' sempre bello vedere come la singola immagine ricorrente (la mdp fissa nell'auto, e l'immagine filtrata dal trasparente finestrino che si frantuma letteralmente) torni a mettersi sempre in discussione, oppure come ogni singola parte dell'immagine sia funzionale all'altra, anche quando Mungiu costringe i suoi personaggi a rimanere insistentemente fermi, stretti nelle sue inquadrature asfissianti. Ma Bacalaureat sembra più il problema del soggetto Mungiu e dell'oggetto Cinema, su come il primo possa porsi rispetto al secondo, se è interessato alla soggettività o all'oggettività: un'ambiguità che un tempo gli garantiva un grande fascino, ma che qui risulta appesantita dal suo sguardo maturo e disincantato che racconta con il rischio però della logorrea una (bellissima, eh) storia di denuncia. 

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